Buon Natale dalla Terra Santa
Il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, ha rivolto un augurio di buon Natale, tracciando un bilancio dell’anno attraverso un messaggio: “I 50 anni dal Vaticano II sono un’occasione per farci un esame di coscienza nel nostro dialogo con l’ebraismo e l’Islam. I media, che hanno giocato un ruolo molto importante nelle rivoluzioni arabe, devono essere per i cittadini cristiani un mezzo per assumere il proprio ruolo storico nei rispettivi paesi, con i valori della non violenza e dell’invito al dialogo con gli altri credenti delle altre religioni. Siamo una minoranza ma non ci riduciamo ad una cifra. Le iniziative interreligiose sono state numerose e ringrazio tutti coloro che ne sono stati i protagonisti. Questi incontri, tuttavia, non hanno impedito lo sviluppo di un certo radicalismo religioso”.
Per quanto riguarda la politica il patriarca ha affermato: “La situazione in Medio Oriente ci lascia perplessi. Desideriamo maggiore stabilità e più democrazia. La gioia del Natale è oscurata dalla sconcertante violenza in Siria. Siamo pieni di compassione per le vittime e la nostra Chiesa partecipa attivamente all’accoglienza di 250.000 rifugiati siriani in Giordania. Preghiamo anche per la Giordania affinché possa mantenere il suo equilibrio e il buon senso che ha sempre avuto. La decisione dell’Onu con la quale la Palestina è divenuta Stato osservatore è un primo passo verso la pace e la stabilità nella regione. Israele potrà trattare da pari a pari con un altro Stato per il bene di tutti”.
Ed analizzando la ‘questione cattolica’ ha osservato: “A livello complessivo, l’emigrazione cristiana sembra in diminuzione. La Chiesa cerca di mettere a disposizione alloggi, di aiutare i giovani a formarsi per trovare più facilmente lavoro, e, soprattutto, di diffondere una cultura e una pastorale del ‘radicamento’: essere cittadino di Terra Santa è una vocazione che comporta sacrifici e sfide. Per quanto riguarda l’immigrazione, la nostra diocesi accoglie molti immigrati. Si tratta in maggioranza di cristiani. La Chiesa si sente molto vicina a questi fedeli e non esita ad alzare la propria voce quando tali comunità si sentono aggredite, come successo quest’anno al Sinai e a Tel Aviv. C’è un urgente bisogno di coordinamento tra la Chiesa, lo Stato e le Ong… Incoraggio tutti i nostri fedeli a vivere seriamente questo Anno della Fede, mettendo in pratica gli insegnamenti dell’Esortazione apostolica post-sinodale ‘Ecclesia in Medio Oriente’ e il programma promosso dal Patriarcato. La prima comunità di Gerusalemme può servire da modello per il rinnovamento della attuale comunità cristiana: si tratta di tornare alle origini, di fare ritorno a Gerusalemme”.
Il patriarca di Gerusalemme ha ripreso, nel suo messaggio, quanto i Patriarchi ed i Vescovi cattolici (120) del Medio Oriente (CPCO) hanno detto nel secondo congresso tenutosi in Libano per esaminare i contenuti del Apostolica Ecclesia in post-sinodale Medio Oriente e le modalità della sua applicazione nelle diocesi. Il futuro dei cristiani nel mondo arabo è stato al centro del dibattito e la questione palestinese è stata considerata all’origine del conflitto in Medio Oriente. E nel documento conclusivo i vescovi hanno scritto che “il nostro obiettivo è quello di studiare come vivere la comunione tra noi e poi con i cristiani non cattolici e non cristiani in modo da essere testimonianza di unità cristiana nella vita. Le nostre società sono in una situazione di confusione, ansia e instabilità. Allo stesso tempo, sono animate dalla speranza… Soffrono le stesse pressioni politiche, economiche e sociali, è loro vietato di esprimere liberamente i loro pensieri e le loro culti e sono costretti ad emigrare in una nuova terra che assicura la libertà e la vita con dignità. Abbiamo anche lodato il coraggio dei fedeli che rimangono nella terra dei loro antenati e affrontano con coraggio nella fede e nella speranza le sfide quotidiane e vivono l’impegno ecclesiastico per la costruzione di società democratiche costruite sulla pace civile”.
Quindi per mons. Marcuzzo, Vicario Episcopale per Israele, che è stato uno dei rappresentanti del Patriarcato latino: “Il Congresso ha offerto l’opportunità di fare un esame di coscienza su questi ultimi anni, soprattutto dopo la prima conferenza nel 1999 e quindi vedere ciò che era stato applicato e che non era stato messo in pratica. E soprattutto nella mente del Sinodo Speciale dei Vescovi del 2010 e l’Esortazione ‘Ecclesia in Medio Oriente’, questa conferenza ci ha aiutato a mettere in luce alcune priorità, assolutamente necessario che ogni Chiesa deve attuare nel proprio ministero: lo studio della Bibbia, la formazione, il lavoro di comunione a tutti i livelli, i mezzi di comunicazione sociale, l’incarnazione della nostra presenza nella nostra cultura e le nostre sfide in Medio Oriente”.
In questo contesto, sono stati ufficialmente approvati dai vescovi due documenti in materia di questioni sociali e politiche e corsi umanitaria nel contesto attuale della primavera araba. Il primo documento si concentra nelle raccomandazioni concrete da mettere in pratica in tutti gli aspetti della vita individuale e comunitaria gli insegnamenti contenuti nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, che Benedetto XVI ha consegnato ai vescovi durante la sua visita apostolica in Libano nel mese di settembre. Il secondo documento, firmato dai partecipanti all’Assemblea dopo che mons. Marcuzzo ha lanciato ‘un vero grido di dolore e di allarme’ rivolto alla comunità internazionale e tutte le persone di buona volontà: il primo punto è l’urgente necessità di trovare una ‘soluzione giusta e pacifica della questione palestinese’ considerata la fonte di tutti i conflitti nella regione; il secondo punto è un fervido appello a fare tutto il possibile per porre fine al conflitto e la violenza che ha interrotto la vita della regione, attuando percorsi di riconciliazione e di pace, che garantisce a tutti la libertà e la salvaguardare la propria dignità.
Mons. Marcuzzo ha affrontato il problema dell’emigrazione dei cristiani: “Essa colpisce soprattutto Betlemme e Gerusalemme. Le cause sono molteplici, ma la causa principale è in realtà causata dall’occupazione, e non dal fanatismo islamico come una campagna di informazione (o disinformazione meglio) ha voluto far credere. L’emigrazione colpisce soprattutto i cristiani, a causa della loro minoranza. La Chiesa, ovviamente, non rimane indifferente… Circa 50.000 (2% della popolazione) cristiani soffrono di instabilità, insicurezza e precarietà. Il palestinese cristiano ha ufficialmente e praticamente i diritti civili e politici di tutti i cittadini. La Chiesa ha firmato un accordo di principio con l’Autorità palestinese e sta negoziando un accordo di attuazione. La costituzione palestinese non è stata ancora approvata ed è ancora oggetto di discussione, ma non sembra un dramma per i cristiani. All’interno di questo quadro generale, la Chiesa continua la sua marcia, con le sue parrocchie e le sue scuole, movimenti e associazioni, i suoi luoghi santi e pellegrini, con molti aspetti positivi, ma anche punti negativi, di cui i più importanti sono la divisione, la mancanza di collaborazione, e quindi la mancanza di testimonianza evangelica”.
Mons. Maroun Lahham, vescovo di Madaba, ha raccontato l’esperienza dei cristiani in Giordania: “E’ vero che la percentuale di cristiani è diminuita (3,5%), ma il loro numero aumenta. Ciò è dovuto in parte alla situazione politica e di sicurezza che esiste in Giordania e speriamo che rimanga tale. Per quanto riguarda i contatti con i residenti ed emigranti con la chiesa madre, dobbiamo dire che i fedeli di rito latino si integrano facilmente nelle chiese che li accolgono a motivo dello stesso rito liturgico. La loro presenza e influenza nella società, scientifico, culturale, sociale ed economico, raggiunge il 30%. Credo che questo fenomeno è comune in molti paesi arabi. I cristiani occupano il 10% dei seggi in Parlamento e almeno un ministro in ogni governo. Però i deputati cristiani, ad eccezione di alcuni casi, non sono guidati dalle motivazioni di fede, ma da motivazioni tribali, personale e materiale. Ciò è dovuto, in parte, al fatto che le chiese cristiane hanno avuto solo di recente, le linee guida per il lavoro cristiana nel mondo politico.
In realtà, sono i deputati musulmani che spesso difendono i cristiani perché si sentono più liberi di agire, come i parlamentari cristiani sono paralizzati dalla mentalità di minoranza e la paura di perdere i loro seggi alle prossime elezioni. Per quanto riguarda la vita sociale la presenza dei cristiani è notevole nelle commissioni miste, nei centri di studio sul Medio Oriente, nei mass media, per non parlare delle opere di carità (i malati, i disabili, gli studenti poveri, borse di studio). In termini economici, questo è ancora più evidente”.