Padre Dall’Oglio: un mandato per ricomporre la Siria

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Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita fondatore del monastero ecumenico di Deir Mar Musa a nord di Damasco, attivista per una rapida soluzione per uscire dalla guerra civile in corso in Siria, ha vinto l’edizione 2012 del premio Pace della Regione Lombardia, riconoscimento che ricevono personalità che hanno mosso i loro primi passi nelle comunità lombarde e si sono rese poi attive nella costruzione di strutture di pace, di socialità, educazione. Insieme a padre Dall’Oglio è stato premiato anche padre Renato Kizito Sesana. Dopo la sua espulsione dalla Siria, il padre gesuita ora risiede in un monastero a Suleymania, in Iraq: “Mi state dando un premio per la pace che mi devo ancora meritare”, sono state le sue parole dopo aver ricevuto il premio dal presidente dimissionario della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Padre Dall’Oglio ha chiesto di pensare e pregare per i giovani siriani in questa fase delicatissima della crisi, in cui tutto l’impegno deve essere per la riconciliazione: “Questo premio è stato un modo in cui molti amici, soprattutto lombardi, hanno espresso solidarietà con la comunità di Mar Musa, in questi mesi terribili della repressione della rivoluzione e di grande sofferenza per la gente di Siria. E’ un incoraggiamento a continuare a impegnarsi a cercare nuove iniziative di pace”.

 

 

Nel suo breve intervento padre Dall’Oglio ha osservato che il regime di Assad prima o poi cadrà: “Non bisogna rassegnarsi, però. Ora bisogna evitare i massacri, le vendette e lavorare per la ricucitura del tessuto nazionale. Se alcuni strappi saranno inevitabili, che siano meno cruenti possibili”. I siriani nella grande maggioranza hanno una cultura della riconciliazione e della pace, ma le derive violente che si sono accumulate in questi mesi, non solo con connotazioni islamiste, ma contrassegnate da odio intercomunitario che coinvolge tutti gli schieramenti, rischiano di essere ingestibili: “Propongo che si chieda un intervento di contingenti di Paesi della Lega araba, Paesi che hanno fatto la rivoluzione, perché svolgano un ruolo neutrale di sorveglianza, diano garanzia internazionale e ci aiutino in questa fase di transizione. Non per intavolare negoziati con il regime che sta cadendo, ma per accompagnare la ricostruzione…

Sono in stretto contatto con l’Organizzazione siriana per la pacificazione civile e con la commissione nazionale per la riconciliazione, che sta discutendo su come potrebbe volgere al termine il conflitto, con meno violenze possibili oltre a quelle già perpetrate in questi orribili 20 mesi. Infine sto collaborando con la televisione rivoluzionaria Orient, che si occupa di dare voce a chi vuole la caduta del regime di Bashar Al Assad e la nascita di una nuova Siria. In particolare, gestisco un talk show itinerante che invita siriani esiliati a raccontare la propria storia, per questo mi reco spesso in vari paesi tra cui in primis Turchia ed Egitto”.

Poi ha spiegato perché ha scelto Suleymania: “In primo luogo perché nel cuore del Kurdistan iracheno c’è una comunità molto attiva e con tre persone laiche mi sto adoperando per fondare un centro monastico nel centro della città, nel cuore del vecchio mercato, sulla scia di quanto iniziato più di 30 anni fa a Mar Musa. Poi perché ci tengo a non esser troppo lontanto dalla Siria, in vista di poterci andare avanti e indietro una volta che le cose laggiù si metteranno meglio… Bisogna assolutamente ridare il potere che merita alla Lega araba, che più delle forze occidentale può far terminare il regime senza ulteriori spargimenti di sangue, data la loro esperienza nell’area”.

E nel silenzio dei media circa 150.000 cristiani vivono nel terrore in oltre 40 villaggi della cosiddetta ‘Valle dei Cristiani’, nella Siria occidentale; per questo Caritas Internationalis ha lanciato una sottoscrizione di 800.000 dollari per aiutare Caritas Siria: “Abbiamo sei punti d’azione in vari territori del Paese dove si opera tramite volontari, organizzazioni religiose, missionari, per aiutare i più vulnerabili. Abbiamo bisogno di aiuto. Poi ci sono anche altri appelli per i rifugiati in Giordania, Iraq, Libano, Turchia… I cristiani sono in tutti i campi politici in Siria. Come sempre hanno la tentazione di emigrare. Molti sono già partiti. Per il futuro della Siria, di una società aperta, anche i musulmani vogliono che rimanga la presenza di una comunità cristiana”.

Il presidente della Caritas Siria, mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo, ha sottolineato: “Nelle sei regioni organizzate dalla Caritas (Damasco, Aleppo, Homs, Jaziré, Horan e la costa), diamo la priorità all’aiuto alimentare con 4000 pacchi di alimenti (del valore di circa 20- 30 dollari ) distribuiti mensilmente in tutto il paese: un totale di 100.000 dollari finanziati principalmente dai nostri partner tradizionali (Catholic Relief Services, Caritas Germania, Svizzera e Lussemburgo). Sviluppiamo assistenza medica, in particolare a Damasco e Aleppo, per dare libero accesso alle cure sanitarie. E ad Aleppo, abbiamo aperto un contratto con il St. Louis Hospital gestito dalle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione perchè tutti i feriti vi siano operati e curati gratuitamente e ho deciso di finanziare questo progetto per la somma di $ 50.000 al mese. Abbiamo anche un ‘programma invernale’ ($ 300.000 fino a marzo 2013) per l’acquisto per 3.000 famiglie in tutta la Siria, di stufe e petrolio, coperte e vestiti caldi e di aiuto per pagare l’affitto.

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