Premi alle donne bersaglio dei talebani

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Il V Premio Internazionale per la giustizia sociale 2012 in memoria di Madre Teresa di Calcutta è stato assegnato a Sima Samar, ex vice-presidente afghana, e Mala Yousufzai, la giovane pakistana di 15 anni diventata bersaglio degli attacchi dei talebani  per il suo impegno in difesa dei diritti delle donne. La ragazza è ancora convalescente in un ospedale di Birmingham (Gran Bretagna) dopo le terribili ferite causate da un attacco di un estremista islamico, che il 9 ottobre scorso le ha sparato alle testa. Abraham Mathai, presidente dell’Harmony Foundation, fondazione che organizza l’evento, ha dichiarato che le due donne sono state premiate per il loro coraggio, che le ha condotte a rischiare la vita per il loro ideale. Sima Samar ha ricevuto il premio per il suo lavoro nel campo dei diritti umani femminili e per i programmi di educazione ed emancipazione delle donne. Fuggita in Pakistan dopo la salita al potere dei talebani, la Samar ha lavorato oltre 20 anni per far conoscere al mondo il dramma delle donne afghane. Dopo la caduta del regime dei mullah, essa è divenuta la più importante figura femminile del Paese. A tutt’oggi è responsabile dell’Afghan Indipendent Human Rights Commision (Aihrc). All’adolescente Malala Yousufzai è stata invece consegnata una speciale onorificenza della giuria per il coraggio e la determinazione nella lotta contro la discriminazione delle ragazze pakistane della valle dello Swat, vittime della sharia imposta dai talebani.

 

 

Ed il 15 dicembre, la nazionale spagnola piattaforma HazteOir, dedicato alla difesa della vita, della famiglia e dei diritti umani, ha conferito un premio ad Asia Bibi, ancora imprigionata in Pakistan con un condanna a morte per l’accusa di blasfemia contro l’Islam, pur dichiarandosi non colpevole. Asia Bibi, madre di cinque figli, è una donna cattolica in un paese dove i musulmani fondamentalisti possono imporre la legge islamica della Sharia, che include una severa legge contro la blasfemia, punendo insulti o dichiarazioni contro l’Islam e Maometto. Nel 2010, la piattaforma spagnola ha raccolto più di 60.000 firme consegnate al presidente, Asif Zardari, attraverso l’Ambasciata del Pakistan in Spagna. In questa occasione la piattaforma spagnola ha iniziato una nuova campagna per la libertà di Asia Bibi e suo marito Ashiq Masih, accompagnato da sua figlia di 19 anni, Sidra, ha incontrato parlamentari, leader di ONG spagnoli ed il ministro degli Esteri spagnolo, Juan Manuel García-Margallo, per chiedere l’immediata liberazione di Asia Bibi: “Siamo molto felici e molto fiducioso nella mobilitazione per ottenere la liberazione di mia moglie… Asia Bibi in carcere è protetta e trattata bene delle autorità pakistane. Ma soffre perché stata accusata ingiustamente ed è molto lontano dalla sua famiglia”.

Nei giorni scorsi Asia Bibi ha scritto una lettera ad Avvenire: “Se il Signore misericordioso vuole che ciò avvenga, chiedo agli spagnoli di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissimo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto… Prego in ogni momento perché Dio misericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabiliscano l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti religioni nel mio grande Paese. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato una grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era intervenuto a mio favore. Dio mi permetta di vivere abbastanza per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmente…  Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e, se puoi, prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia”.

Paul Bhatti, consigliere speciale per l’Armonia nazionale, ha ricordato  che nel Paese ci sono molti casi analoghi e bisogna lavorare perché tutti vengano liberati da false accuse, evitando scontri frontali con il mondo musulmano e la società pakistana: “La comunità internazionale deve collaborare per aiutare il Paese a dar vita a un piccolo, ma radicale cambiamento”. Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ha raccontato all’agenzia Asia News i numerosi incontri con ulema e imam radicali, le discussioni a tavola e gli inviti in moschea: “Il loro approccio è totalmente mutato. Questo elemento è fonte di speranza, perché solo dialogando e confrontandosi è possibile risolvere assieme i problemi”.

Giovedì 13 dicembre Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui ha denunciato che milioni di persone vivono in uno stato permanente di assenza di legalità nelle aree tribali del Pakistan nordoccidentale, regione in cui gli abusi commessi dall’esercito e dai talebani restano al di fuori della portata della giustizia. Polly Truscott, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International, ha denunciato: “Migliaia di uomini e ragazzi sono stati arrestati dalle forze armate. Molti hanno denunciato di essere stati torturati, altri non sono stati piu’ visti dopo essere stati trasferiti in centri segreti di detenzione. Le assai rare indagini avviate su questi casi sono risultate inefficaci.  Dopo un decennio di violenza, lotte e conflitti, anziché essere protette le comunità tribali continuano a subire attacchi, rapimenti e intimidazioni… I talebani e altri gruppi armati continuano a costituire una minaccia mortale per la società pakistana e a mostrare un completo disprezzo per le vite civili”.

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