Diritti umani: non dimentichiamoli

Oggi, 10 dicembre si celebra la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, emanata nel 1948: è senza dubbio il documento che segna una tappa fondamentale nell’affermazione dei diritti umani. Tuttavia non si può affermare che i diritti umani siano ‘nati’ nel 1948 e forse non si può stabilire nemmeno con precisione una data precisa. La verità è che ciascun diritto proclamato nella Dichiarazione è frutto di un lungo percorso storico che ne ha portato all’affermazione. Si pensi al diritto di voto: un tempo non era nemmeno concepito che i cittadini potessero contribuire alla vita politica del loro Paese, poi questo diritto è stato concesso agli uomini appartenenti a certe classi sociali, poi a tutti gli uomini e si parlava di suffragio universale, che in realtà universale non era perchè per molti anni ancora le donne furono escluse dall’esercizio di questo diritto. Molti diritti, poi, si sono evoluti o addirittura sono nati proprio in seguito alla proclamazione della Dichiarazione. I diritti umani quindi devono rispettare il significato di persona e la legislazione internazionale deve essere improntata al rispetto della dignità umana, come ha sottolineato l’arcivescovo Dominique Mamberti all’Assemblea generale dell’Onu sullo stato di diritto.
Secondo mons. Mamberti “l’umanità attualmente fronteggia una situazione ricca di sfide e difficoltà. Da un lato vi è il sempre sorprendente e rapido progresso scientifico, il crescente accesso di molti all’educazione e al benessere economico, nonché l’emergenza di nuovi attori e potenze mondiali; dall’altro lato non sembra ancora terminare la crisi finanziaria mondiale, che acuisce alcune emergenze umanitarie e ambientali ed è al tempo stesso foriera di nuovi e pericolosi conflitti. In questo contesto, l’effettiva estensione dello stato di diritto con tutti i mezzi diventa un compito particolarmente urgente per una giusta, equa ed efficace governabilità mondiale”. Ribadendo, quindi, il preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ove si afferma che ‘è essenziale che i diritti umani siano protetti dallo stato di diritto’, il porporato ha ribadito che nel documento si riafferma un preciso collegamento tra lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, sottolineando allo stesso tempo che, per governare secondo diritto, sono necessarie regole costituzionali concernenti l’attività legislativa, un controllo giudiziario sulle leggi e sul potere esecutivo, così come la trasparenza degli atti di governo e l’esistenza di una opinione pubblica capace di esprimersi liberamente:
“Nell’esprimere il proprio apprezzamento per queste affermazioni, la Santa Sede desidera tuttavia sottolineare come occorra andare al di là della semplice fissazione di procedure che garantiscano un’origine democratica delle norme e un consenso di fondo da parte della comunità internazionale, al fine di aggiornare e rendere effettivi gli stessi principi sostanziali di giustizia sanciti dal preambolo della Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In questa sede dobbiamo elencare: l’inalienabile dignità e valore di ogni persona umana, anteriore a qualsiasi legge o consenso sociale; l’eguaglianza dei diritti delle nazioni; il rispetto dei trattati e delle altre fonti del diritto internazionale. Il formale rispetto di per sé è insufficiente a garantire un effettivo stato di diritto a livello nazionale e internazionale”.
E citando il discorso di papa Benedetto XVI al Bundestag, mons. Mamberti ha invitato a fondare lo stato di diritto su una visione unitaria e completa dell’uomo: “Lo stato di diritto è messo in pericolo quando lo si equipara con una mentalità legalista, di aderenza formale e acritica alle leggi e ai regolamenti, in un atteggiamento che può paradossalmente degenerare in un mezzo di sopraffazione della dignità umana e dei diritti dei singoli, delle comunità e degli Stati, come accaduto durante i regimi totalitari del XX secolo… Il preambolo della Carta delle Nazioni Unite evidenzia, nel suo secondo paragrafo, l’esigenza di riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo. La parola ‘fede’ indica abitualmente la trascendenza, qualcosa che non dipende da sensazioni, concessioni, riconoscimenti o accordi. Essa può tuttavia essere afferrata dalla ragione filosofica, nel processo in cui ci interroghiamo sul senso dell’esistenza umana e dell’universo e su ciò che offre un vero e solido fondamento allo stato di diritto, nella misura in cui siamo capaci di cogliere l’esistenza di una natura umana anteriore e superiore a tutte le teorie e costruzioni sociali, che l’individuo e le collettività devono rispettare e non devono manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è intelletto e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è rettamente ordinata quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, come qualcuno che non si è creato da sé”.
E ricordando che i diritti hanno come premessa quel diritto alla vita ‘di ogni essere umano, in tutti gli stadi dello sviluppo biologico, dal concepimento fino alla morte naturale’, quale valore assoluto e inalienabile, mons. Mamberti ha sottolineato: “Tutti gli altri diritti umani fondamentali sono evidentemente collegati alla dignità umana, quale norma essenziale, e così si integrano nello stato di diritto, compresi il diritto ad avere un padre e una madre, il diritto a formare e mantenere una famiglia, il diritto a crescere ed essere educato in una famiglia naturale, il diritto dei genitori a educare i propri figli, il diritto al lavoro e alla giusta distribuzione della ricchezza prodotta, il diritto alla cultura, la libertà di pensiero e la libertà di coscienza”. Infine, richiamando la dichiarazione conciliare ‘Dignitatis humanae’, ha concluso con una menzione alla libertà religiosa:
“La risposta alla grande questione della nostra esistenza, la dimensione religiosa dell’uomo, la capacità di aprirsi al trascendente, da soli o insieme ad altri, è una parte essenziale di ciascuna persona e a un certo grado si identifica con la sua stessa libertà. Il ‘diritto di cercare la verità in materia religiosa’, senza coazioni esterne e in piena libertà di coscienza, non deve dunque essere trattato dagli Stati con sospetto o come qualcosa solo da permettere o tollerare. Al contrario, la garanzia di una tale libertà, a prescindere dal suo attuale esercizio, diventa per i credenti come per i non credenti un cardine irrinunciabile dello stato di diritto… Un progresso sarà possibile se, oltre a operare con organismi sempre più specializzati, anche in materia economica e finanziaria, le Nazioni Unite rimarranno un punto centrale di riferimento per la creazione di una vera famiglia delle nazioni, in cui l’interesse unilaterale di quelle più potenti non può prevalere di fronte alle necessità di quelle più deboli. Ciò sarà possibile se la legislazione a livello internazionale sarà improntata al rispetto della dignità della persona umana, a partire dalla centralità del diritto alla vita e alla libertà religiosa”.
Concetto ribadito alla XIX riunione del Consiglio dei ministri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa: “Di fatto, i diritti associati alla religione hanno tanto più bisogno di protezione quanto vengono considerati in contrasto con un’ideologia secolare prevalente o con posizioni religiose maggioritarie di natura esclusiva. La piena garanzia della libertà di religione non può essere limitata al mero libero esercizio del culto, ma occorre dare la giusta considerazione alla sua dimensione pubblica, e quindi alla possibilità che i credenti svolgano la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. Con l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che i cristiani sono tra i più discriminati, anche nell’area Ocse. Malgrado gli impegni assunti dagli Stati partecipanti nell’ambito della libertà religiosa, in alcuni Paesi continuano a esistere leggi, decisioni e comportamenti intolleranti e perfino discriminatori nei confronti della Chiesa cattolica e delle altre comunità cristiane che, attraverso le azioni o per omissione, negano tale libertà”.