La strenua difesa dell’Azione Cattolica da parte di Pio XI raccontata in un libro di Piero Pennacchini

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Già il conte Dalla Torre scriveva nel 1964 che “fra l’Azione Cattolica e il Fascismo ci fu sempre una irriducibile incompatibilità di carattere”. Il tema viene adesso approfondito in un volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana, “La Santa Sede e il Fascismo in conflitto per l’Azione Cattolica”, redatto da monsignor Piero Pennacchini, officiale in Segreteria di Stato ma con una lunga carriera in Vaticano e una specializzazione in Storia della Chiesa alla Lateranense. La sua tesi sullo scioglimento dei circoli giovanili di Azione Cattolica nel 1931, discussa nel ’76, è stata rivisitata e arricchita con i documenti finora inediti dell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, Fondo della Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, relativi al pontificato di Pio XI. Il volume – dedicato al padre e a monsignor Michele Maccarrone, docente “che mi ha introdotto alla ricerca della verità storica”, ideale che anima questo studio –, è stato presentato nei giorni scorsi presso la Pontificia Università della Santa Croce, ove l’autore tiene un corso di Storia della Chiesa.

“L’incompatibilità e la conflittualità tra Azione Cattolica e fascismo – ha spiegato monsignor Pennacchini – sta nella stessa essenza delle due identità” e riguarda principalmente due punti: politica ed educazione dei giovani. Da una parte, “l’accusa e il perenne sospetto del fascismo nei confronti dell’Azione Cattolica di fare politica si basavano sulla convinzione che essa fosse un ricettacolo di ex membri e simpatizzanti del Partito popolare italiano”. Dopo l’eliminazione dei maggiori partiti d’opposizione, infatti, il partito fascista mantenne sempre il sospetto che l’Azione Cattolica, proprio perché aveva appoggiato il Partito popolare, potesse ancora svolgere azione politica. Dall’altra parte, nell’ottica di una “totale fascistizzazione di tutti i campi della vita della nazione”, il regime voleva “monopolizzazione l’educazione dei giovani”, esercitando uno “stretto controllo su tutte le attività giovanili con l’intento di creare una nuova classe dirigente e una nuova mentalità improntata ai suoi dettami ideologici”. Non ammettendo l’esistenza di realtà che costituissero un’alternativa ai suoi progetti, il regime aveva istituito l’Opera nazionale Balilla ed escogitato “una programmata ‘escalation’ di soprusi, violenze, forzate chiusure di associazioni vicine all’Azione Cattolica per arrivare all’epilogo della soppressione di tutti i circoli giovanili di Azione Cattolica”.

Philippe Cheneaux, ordinario di Storia della Chiesa presso la Lateranense, che ha seguito monsignor Pennacchini nel suo lavoro, ne ha lodato “l’attenzione scrupolosa alle fonti archivistiche” – il volume (437 pagine più due inserti fotografici, 38 euro), oltre i cinque dettagliati capitoli nei quali è suddiviso, riporta in un’appendice molto ricca 94 documenti – e gli ha riconosciuto il merito di aver ripreso dopo molto tempo una prima ricerca basata solo sugli archivi statali, arricchendola della documentazione vaticana adesso accessibile.

“Il regime – ha notato l’autore – colpì indiscriminatamente chiunque potesse ostacolare il suo programma di totale fascistizzazione dell’Italia, sacerdote o laico che fosse”, mostrandosi particolarmente duro “con i sacerdoti che godevano di un notevole ascendente sulla popolazione, manifestavano grandi capacità organizzative ed erano impegnati nel sociale”. Scorrendo il libro si apprende che le violenze degli squadristi contro le opere cattoliche iniziarono fin dal 1919, a pochi mesi dalla nascita dal partito, nelle aree più cattoliche del Veneto, allargandosi poi alla Lombardia e a varie parti d’Italia, culminando nel ’23 con l’assassinio di don Minzoni. Pio XI, che aveva fatto dell’Azione Cattolica un caposaldo del suo pontificato, si preoccupò che questa si sviluppasse ovunque, tenendo a un suo esplicito riconoscimento nel Concordato, all’articolo 43. La firma del documento comportò un’esplosione di entusiasmo in tutta Italia, ma l’attivismo e la crescita esponenziale dei tesserati e dei circoli giovanili preoccuparono molto il regime fascista. Dapprima esso cercò di convincere clero ed aderenti che, con la Conciliazione, la difesa della religione sarebbe stata una preoccupazione del governo. Constatata però una scarsa adesione a tale strategia dissuasiva, il regime tornò prima all’accusa di attivismo politico, poi intensificò le indagini sulle associazioni cattoliche e infine cominciò ad applicare il principio dell’incompatibilità della contemporanea appartenenza dei giovani alle associazioni cattoliche e a quelle Balilla. Fino alla repentina chiusura di tutti i circoli giovanili, il 31 maggio 1931, che colse il Vaticano impreparato. Pio XI non poteva tollerare. “La dimensione religiosa della vita non è una dimensione disincarnata, ma al contrario ti chiede di immergerti con forza nella realtà in cui vivi” ha ricordato nel suo intervento Franco Miano, presidente nazionale di Azione Cattolica, richiamando la definizione che di essa diede il Pontefice: “La partecipazione del laicato all’apostolato gerarchico della Chiesa, per la difesa dei principi religiosi e morali”.

Meno di un mese dopo Pio XI diffuse la dura enciclica “Non abbiamo bisogno”, con la quale esecrava il tentativo “di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime”, confutava le accuse false e ingiuste e muoveva critiche alle violenze e irriverenze perpetrate dal regime. Ma soprattutto ribadiva che l’opera della Chiesa non poteva essere limitata a pratiche esterne di religione, tralasciando l’educazione dei giovani, parlando inoltre di una “ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana”.

Il Duce rispose con un ordine che stabiliva l’incompatibilità dell’adesione al partito fascista e all’Azione Cattolica. La questione si ricompose, dopo un intenso lavoro diplomatico che l’autore ripercorre in ogni dettaglio, solo il 2 settembre successivo. Da allora si assistette a un periodo di relativa pace nei rapporti tra Stato e Chiesa, benché di tanto in tanto turbato da intemperanze fasciste. Ciò fino al 1938, anno dell’introduzione delle leggi razziali, che portarono Chiesa e regime a una definitiva rottura.

Nel volume emergono alcuni aspetti dell’operato e della personalità di Pio XI meno conosciuti e viene messo bene in luce l’uso strategico dei mass media da parte del Papa. Pio XI aveva infatti compreso quanto fossero utili per diffondere il bene e la verità, ma anche per neutralizzare le cattive informazioni. Sentendosi accerchiato dalla stampa del regime, concentrò la sua attenzione sull’Osservatore Romano, tramite il quale smentiva e rettificava insinuazioni e distorsioni del vero. “La difesa a oltranza di Pio XI per salvare l’Azione Cattolica Giovanile, con l’accettazione della limitazione del suo raggio d’azione alla sola formazione religiosa – ha concluso Pennacchini –, portò tuttavia i suoi frutti più tardi, al momento della ricostruzione dell’Italia libera e democratica, dopo l’immane tragedia della guerra. De Gasperi, Moro e tanti altri, provenienti dal serbatoio della Fuci e dell’Azione Cattolica, confermano quanto la formazione sia importante per avere una nuova classe dirigente nel nostro Paese”.

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