Il Papa dispone che le attività caritative siano tutte sotto la guida dei vescovi

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Nel “proemio” il Papa spiega le necessità di questa decisione. “All’esercizio della diakonia della carità –si legge nel testo del Papa – la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale”; per questo serve un’“organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato”, che abbia pure “espressioni istituzionali”. Scopo del Motu proprio è, dunque, “fornire un quadro normativo organico che serva meglio ad ordinare, nei loro tratti generali, le diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegata alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale”. E la carità per un cattolico “deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante”.

E’ necessaria una “speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo”. Per la maggior parte queste attività è svolta dalle Caritas parrochiali, diocesane o internazionali. Ma ci sono anche molte altre iniziative che partono dai fedeli, una pluralità di realtà verso le quali “la Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea”. Ed è necessario “garantire che la loro gestione sia realizzata in accordo con le esigenze dell’insegnamento della Chiesa e con le intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date dall’autorità civile”.

La prima norma ricorda che tutto deve essere fatto in accordo con il vescovo locale, e Benedetto XVI ricorda anche che he le iniziative di carità, “sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e non possono accettare impegni” che ne condizionino l’osservanza. L’appellativo “cattolico” può essere usato “solo con il consenso scritto dell’autorità competente”, ovvero “del vescovo diocesano”, al quale spetta il compito di “vigilare” affinché “siano sempre osservate le norme del diritto universale e particolare della Chiesa”, e “coordinare nella propria circoscrizione le diverse opere di servizio di carità”, curando che quanti vi operano “diano esempio di vita cristiana e testimonino una formazione del cuore che documenti una fede all’opera nella carità”. C’è poi una pedagogia da applicare tramite le Caritas parrocchiali che vanno sostenute e sviluppate “per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità”.

Sia il vescovo locale e i e parroci “dovranno impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa”, come pure “il vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa”.

Il Papa dispone poi che a promuovere l’applicazione di queste norme sarà il Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

 

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