Giuseppe Falanga: Natale al tempo del Covid 19

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“Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui”: così iniziava la lettera apostolica ‘Admirabile signum’, scritta lo scorso anno da papa Francesco.

Partendo da questo ‘incipit’ abbiamo chiesto al teologo Giuseppe Falanga, docente di Liturgia alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma e redattore di ‘Liturgia’, la rivista del Centro di Azione Liturgica, ed autore del libro ‘Fai vivere e santifichi l’universo. Eucaristia, creazione e fede’, abbiamo chiesto di raccontarci come vivere Natale in questo tempo di Covid 19: “Quando sento dire che questo Natale 2020 sarà diverso dagli altri mi rattrista, e non poco. Certo, il coronavirus sta seminando distruzione fisica, mentale, economica…

Ma che cosa, anzi chi festeggeremo? La mascherina al volto o le zone di vari colori potranno alterare il vissuto di un Natale dei sentimentalismi, delle illusioni o delle favole, ma non il Natale dei cristiani! Le prossime feste, dunque, possono rappresentare un momento di grande discernimento, per fare silenzio e non baldoria, e scoprire, al di là della mascherina, il vero volto degli altri.

E anche il nostro. Cristo, la Luce vera, viene a illuminare il buio del mondo: è la celebrazione di questo mistero che può fare anche di noi delle persone luminose, perché aperte alla sua luce che va oltre i confini del tempo e dello spazio. Il Natale ci richiama ancora a questa verità”.

Lei è napoletano e la ricca tradizione napoletana è rappresentata soprattutto da ‘Quanno nascette Ninno’ e ‘Tu scendi dalle stelle’; ci può dire perché esse furono scritte?

“‘Quanno nascette Ninno a Bettalemme era nott’e pareva miezo juorno’, così scriveva il prete poeta Mattia Del Piano (e non Alfonso Maria de Liguori come per secoli è stato scritto) raccontando il Natale, componendo insieme al verso una delle più famose melodie che celebrano la nascita del Salvatore. ‘Quando nacque il bimbo era notte e pareva mezzogiorno’, la scrisse in dialetto per farsi comprendere, metodo antico e sapiente di passaggio del Verbo nella lingua di chi ne è destinatario, per accompagnare il Vangelo che va passato alla vita reale di chi dovrà farlo suo.

‘Tu scendi dalle stelle’, che ne riprende le tracce (questa sì di sant’Alfonso), con parole semplici, raccoglie vari elementi: il racconto della nascita di Gesù, la pietà, la tenerezza e la devozione popolare, ma soprattutto una teologia che tocca le corde profonde del cuore”.

Perché per sant’Alfonso de Liguori la nascita di Gesù cambia il mondo?

“Alfonso, il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, è stato un grande teologo, non a caso proclamato poi Dottore della Chiesa. Nel testo di ‘Tu scendi dalle stelle’, in 7 strofe, egli mette in risalto con semplicità alcuni concetti a lui cari: l’abbassamento di un Dio che scende dalle stelle, dall’alto, e si fa uomo per amore dell’uomo, cambiando così la storia.

C’è la sorpresa di essere fatti oggetto di questo amore, che si esprime nella domanda frequente: ‘perché tanto patir per amor mio?’ Sant’Alfonso, poi, tiene sapientemente insieme il Natale e la Pasqua, come quando dice: ‘Deh mio bello, e puro Agnello, a che pensi dimmi tu? O amore immenso! A morire per te, rispondi, io penso’. Ecco l’amore gratuito di Dio che, in Gesù, viene e fa nuove tutte le cose!”

Non c’è il rischio di vivere Natale come a casa Cupiello, come ha sapientemente  narrato De Filippo?

“Sicuramente. Eduardo De Filippo, con il suo ‘Natale in casa Cupiello’, è di un’attualità sconvolgente. Al grande commediografo il napoletano piaceva eccome; ne conosceva la storia e l’importanza e lo preferiva all’italiano quando si trattava di mettere in scena i sentimenti, anche quelli più cupi.

Che non ci tocchi la sorte di Tommasino, il quale, alla domanda che suo padre Lucariello gli rivolge in punto di morte, ‘Te piace ‘o presepio?’, tra le lacrime gli sussurra un laconico ‘sì’. Il nostro sia invece un ‘sì’ sincero alla vita, con le sue gioie e i suoi dolori, perché vivere non è solo un piacere; un ‘sì’ alle sofferenze, perché amare significa anche soffrire, non soltanto godere; un ‘sì’ – il più difficile – alla morte, perché morire è nascere alla vita vera.

Guardiamo, allora, al presepio e riscopriamo la gioia condivisa di farlo nelle nostre case, nelle nostre chiese, sapendo che ciascuno può esserne un personaggio. Sì, perché nel presepe, come nella vita, i protagonisti sono gli uomini amati dal Signore”.

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