La Chiesa può salvare l’Africa?

Quali sono le sfide dell’Africa di oggi? È una domanda che ha una duplice connotazione. Prima di tutto, una connotazione politica. Si pensa all’Africa e si guarda alla curva dei conflitti, alla lotta per l’accaparramento delle risorse, alla corruzione dei governi. Il Papa su questo ha avuto parole coraggiose e importanti, durante i suoi due viaggi in Africa. L’altra connotazione è religiosa. Il cardinal Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, l’ha definita “polmone spirituale dell’umanità”. In quest’ultima settimana, due sono state le circostanze che hanno riportato l’Africa al centro della riflessione: la creazione a cardinale di John Onaiyekam, vescovo di Abuja; e la visita resa a Benedetto XVI da Thomas Boni Yayi, presidente del Benin, lunedì 19 novembre. Il presidente è poi intervenuto due volte in un convegno presso la Pontificia Università Lateranense.
Il neo cardinale Onaiyekam è cresciuto, negli ultimi anni, in stima e considerazione all’interno delle Mura Vaticane. Al sinodo della Parola di Dio, nel 2007, era stato scelto per pronunciare la relazione continentale sull’Africa. Una relazione in cui spiegò che “l’attenzione” doveva essere puntata soprattutto sulle Chiese giovani dell’Africa sub-sahariana, delineò gli sforzi per la cura pastorale e la prima evangelizzazione in molte zone del continente, delineò l’importanza del dialogo interreligioso. Un dialogo reso difficile, nella sua Nigeria, dai continui attacchi della setta Boko Haram ai cristiani. Il nome Boko Haram evoca terrore. Ma sarebbe solo un brand, il nome di una setta territoriale che è stato applicato agli attacchi su larga scala che stanno avvenendo in Nigeria. E che avrebbero come fondamento non tanto la questione religiosa, quanto la povertà endemica, all’emarginazione e alla marginalizzazione economica e politica. “I miei sforzi in realtà – ha detto il neo cardinale Onaiyekan – non sono rivolti sostanzialmente a risolvere il problema di Boko Haram, quanto piuttosto a cercare di conservare tra i nigeriani il senso della famiglia e dell’unità, affinché non permettano nemmeno a Boko Haram di distruggere questo valore. Io credo che sia possibile isolare qui pochi che chiaramente rappresentano una anomali, perché i musulmani nigeriano non sono i Boko Haram“.
Quali sono i problemi dell’Africa di oggi? Le statistiche sembrano consolatorie: negli ultimi 15 anni è drasticamente calato il numero dei conflitti africani. Le notizie che vengono dal continente sono sicuramente meno consolatorie. Ci sono stati, nell’ordine: colpi di Stato in Guinea Bissau e in Mali; violenza nel Nord del Mali, con la richiesta di indipendenza tuareg; una quasi dichiarazione di guerra tra i governi di Khartoum e Juba (Sudan e Sud Sudan) dopo appena un anno dalla proclamazione di indipendenza del Sud Sudan; il Congo, che vive una situazione di emergenza umanitaria; la Nigeria, appunto, che tra l’altro è soggetta a Nord alle violenze di Boko Haram e a Sud ai ribelli del delta del Niger, con i quali si raggiunse un difficile e fragile accordo nel 2009.
Ci saranno sempre conflitti in Africa? Qualcuno ha detto che sono strutturali, perché – ha spiegato Paul Collier in L’ultimo miliardo ci ricorda -ogni Paese a basso reddito affronta ogni 5 anni un rischio di guerra civile pari al 14 per cento, e più il reddito di una nazione è basso all’inizio del conflitto, più il conflitto è destinato a durare. Intanto, in Africa – sono dati del Sipri, istituto svedese internazionale indipendente che si dedica alla ricerca in materia di conflitti, produzione e controllo delle armi e disarmo – la spesa militare è cresciuta dell’8,6 per cento. Un continente inondato di armi.
Eppure, l’Africa ha anche delle speranze. Ci sono Paesi pacificati, dove i frutti elettorali raccontano di un mondo in cui il conflitto non è endemico come verrebbe da pensare. Sono Paesi come il Senegal, il Ghana, il Sudafrica, il Botswana, e il Benin. E qui veniamo al secondo evento di questa settimana, la visita del presidente del Benin Boni Yayi.
Quando Thomas Boni Yavi, presidente del Benin, fa il suo secondo ingresso nell’Aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense, gli studenti stanno discutendo proprio delle sfide dell’Africa . Dicono che è vero che l’Occidente ruba i tesori dell’Africa, ma che in fondo devono essere loro, gli africani, a far partire il loro riscatto; che prima di tutto si deve trovare una giustizia sociale. Poi, Boni Yavi fa il suo ingresso in aula. Si alzano tutti, e cantano l’inno del Benin. E il presidente racconta di come, nella visita della mattina a Benedetto XVI, abbia sostenuto il ruolo della Chiesa di mediatore per la pacificazione dell’Africa.
Boni Yavi è all’Università Lateranense ospite del convegno su “Africa. Sviluppo locale veicolo della lotta contro la povertà”, organizzato dall’area internazionale di ricerca interdisciplinare per la cultura africana. Ci va prima della sua visita ufficiale a Benedetto XVI e parla di Dottrina Sociale della Chiesa, di riforma dello Stato, dei valori della giustizia sociale, della non esclusione, della legalità. Parole che hanno un senso particolare in Africa.
Si guarda al Nord Africa con una certa curiosità, ma anche apprensione. La primavera araba comincia a dare i suoi frutti, ma qualcuno commenta che potrebbe essere un inverno, e la recente svolta autoritaria in Egitto – alcuni analisti lo hanno chiamato “autogolpe” – sembra esserne una prova. Ma è uno sguardo globale, a livello politico, quello che si fa all’Africa.
Il presidente Boni Yavi segue ogni situazione da vicino, dato che il Benin sta esercitando per turno in questi mesi la presidenza dell’Unione Africana. E ne parla a Benedetto XVI. Il Papa, sempre in francese, replica che è il dialogo la strada da seguire. Ma – afferma Boni Yayi – “io ho confidato al Papa la mia preoccupazione, perché ci sono alcuni che rifiutano il dialogo interreligioso e sostengono ch tutti devono avere la stessa fede”. Insomma, il dialogo politico si fa con tutti, ma con chi vuole imporre la legge islamica (e il riferimento è alla difficile situazione in Mali), che non può essere chiamato con altro nome se non “terrorista”.
Forse il Benin è il Paese che più di tutti può fare da ponte tra le nazioni africane. Pacificato da tempo, “formato” in qualche modo dal cardinal Bernardin Gantin, che si è fatto dispensare dall’incarico di decano del collegio cardinalizio per vivere gli ultimi anni nel suo Paese d’origine, il Benin è ora una nazione che può essere presa a modello.
Non sorprende, dunque, che Boni Yayi sostenga che è la Chiesa che può avere il ruolo di naturale mediatore nelle nazioni africane. Propone, il presidente, forme di partenariato, che riguardino sì i corpi intermedi dello Stato, ma anche nuove relazioni tra la Chiesa e le nazioni africane. E chiede soprattutto un sistema scolastico nuovo, con istruzione obbligatoria e gratuita.
Forse è questo il primo e grande cruccio dei Paesi africani, vittime di una colonizzazione spietata. Negli ultimi tempi, è stata la Cina a investire di più di tutti nei terreni africani. E gli africani, che non hanno visto nei cinesi dei colonizzatori, si sono appoggiati al denaro della Cina anche per cancellare il debito con i Paesi occidentali. Un debito che cresce, invece di diminuire, nonostante le campagne di cancellazione del debito portate avanti a livello internazionale. Perché se poi gli africani non hanno le conoscenze per sostenere un modello di welfare o la struttura di uno Stato moderno, o anche solo per opporsi alla colonizzazione strisciante delle multinazionali, è ovvio che non saranno mai padroni del proprio destino.
Forse è questo che simboleggia la croce d’avorio che il presidente del Benin ha regalato a Benedetto XVI, insieme a casule di vari colori. Boni Yavi ha detto al Papa di essere rimasto ad aspettare che l’aereo che riportava il pontefice a casa, al termine del viaggio in Africa dello scorso anno, diventasse solo un puntino. Magari ricordando quello che diceva il cardinal Gantin al termine della sua vita: “Se volete aiutare l’Africa fatelo attraverso le missioni. È il modo più sicuro”. Sarà la Chiesa la salvezza dell’Africa?