Il Maligno si aggira come un “leone ruggente”, ma la confessione guarisce il cuore e aiuta ad essere santi
…I secoli seguenti furono secoli di trasformazioni profonde, che segnarono anche la storia della penitenza e delle sue forme, nella quale assumerà un ruolo sempre più rilevante proprio la persona del sacerdote. Un’altra peculiarità di questo periodo storico, degna di essere menzionata, è l’ansia di salvezza e di rinnovamento spirituale che nasce dal cuore del popolo cristiano. Prova ne è la decisione sia di papa Celestino V di concedere una perdonanza generale, sia del suo successore Bonifacio VIII che nel 1300 promulgherà il primo Giubileo della storia cristiana.
Possiamo tentare una sintesi degli argomenti trattati e degli spunti più interessanti emersi in questi due giorni di lavoro?
Durante i lavori del nostro Simposio i diversi relatori ci hanno aiutato ad approfondire diversi aspetti riguardanti il sacramento della penitenza. Infatti, con la riforma della Chiesa dell’XI secolo divenne centrale il tema della conversione di tutti i suoi membri, considerata una condizione importante per il successo della riforma stessa. Se ancora Gregorio VII parla di penitenza soprattutto in relazione a sanzioni canoniche comminate contro i disobbedienti – l’imperatore o i vescovi suoi seguaci –, al tempo stesso il termine acquista sempre più il significato di conversio (metanoia), indispensabile per la purificazione dei costumi, innanzi tutto all’interno della Chiesa per combattere i vizi della simonia e del concubinato. Il laicato non è meno sensibile alle esigenze di riforma e individua nella penitenza volontaria il contributo suo proprio alla riforma della Chiesa. Si affermano così gli ideali “penitenziali” laici per eccellenza: il pellegrinaggio e, in relazione a ciò, l’assistenza ai poveri, ai malati e a coloro che erano posti ai margini della società, tra i quali un posto particolare spettava ai malati di lebbra, una malattia che si era diffusa in Europa in seguito ai contatti con l’Oriente e le crociate.
Il Concilio Lateranense IV (1215) segna il compimento del movimento di riforma sviluppatosi fin dall’XI secolo sotto l’impulso del papato. Due dei canoni che vi furono promulgati esaminano la penitenza dalla prospettiva del sacramento che, proprio in quell’epoca, cominciava ad essere chiamato «confessione», tanto l’atto di confessare i propri peccati al sacerdote vi assume un ruolo centrale: si tratta del canone 10, che associa i compiti pastorali del predicatore e del confessore, compiti ai quali i frati mendicanti in seguito si sarebbero dedicati in modo eminente; e del canone 21 che associa la pratica di due sacramenti – la penitenza e l’eucaristia – che ogni fedele cristiano, raggiunta l’età della discrezione, deve ricevere almeno una volta all’anno, a Pasqua.
L’importanza assunta gradualmente dal sacerdos proprius, l’affermazione della necessità della frequenza dei sacramenti, insieme con l’esigenza espressa anche dai fedeli laici di una cura animarum più assidua e “vicina” hanno indotto, a partire dalla metà del XIII secolo, una moltiplicazione di nuclei pastorali e la formazione delle parrocchie, anche per smembramento e riorganizzazione delle grandi pievi, soprattutto in area padano-alpina. La chiarificazione degli elementi della penitenza si è basata anche sulla diffusione di strumenti per la formazione del clero, in particolare di summae poenitentiae negli anni Venti e Trenta, sintesi scritte che veicolavano le elaborazioni teologiche degli studia in funzione pastorale, preconizzando la figura di un sacerdos discretus et cautus, in grado di orientare e guidare il percorso di penitenza dei singoli e della societas christiana nel suo insieme.
Le trasformazioni sopra indicate producono una evoluzione sul piano celebrativo, riscontrabile nelle indicazioni disseminate nei manuali per la penitenza ad uso dei confessori, e trovano la loro codificazione nel Pontificale del secolo XII, in quello della Curia Romana all’inizio e nel corso del secolo XIII, e in quello di Guglielmo Durando vescovo di Metz alla fine del secolo.
Quale nuovo slancio avete ottenuto da questo Simposio?
Nutriamo la speranza che il sacramento della Penitenza, attraverso l’approfondimento della sua evoluzione storica, venga maggiormente riscoperto e apprezzato; che i confessionali vengano ancora di più frequentati dai nostri fedeli come luogo privilegiato per fare esperienza dell’amore misericordioso del Padre. Mi sia consentito ricordare le parole pronunciate da nostro Signore Gesù: “C’è più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15, 7)
In un mondo che ha perso il senso del peccato e in cui, spesso, tutto è considerato lecito, come far comprendere ai nostri contemporanei le parole di San Paolo: “Dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia”? Come suscitare nei fedeli il desiderio di accostarsi con maggiore fiducia e frequenza al sacramento della riconciliazione?
Durante i lavori della XIII Assemblea Generale Ordinaria del recente Sinodo dei Vescovi, è stato più volte ricordato da alcuni Padri Sinodali che “la nuova evangelizzazione passa anche attraverso il confessionale”. Sarebbe pertanto opportuno che i sacerdoti nelle loro omelie e catechesi parrocchiali aiutassero i fedeli a cogliere l’importanza e la necessità di ricevere il Sacramento della Penitenza, che è strumento efficace che rigenera l’uomo dal di dentro in quanto lo aiuta a cogliere la verità di se stesso, quella cioè di essere figlio prediletto del Padre, ricco di misericordia, sempre disposto a donargli incondizionatamente il Suo perdono e la pace. È nel confessionale, infatti, che ogni sacerdote, assolvendo il penitente dal peccato commesso, diventa comunicatore privilegiato della Divina Misericordia che penetra nell’intimo di ogni coscienza, fino al punto da provocare la conversione del cuore e la gioia della salvezza ritrovata. Riconoscersi peccatori ci spinge a rivolgere il nostro cuore al Signore, implorando il Suo perdono che fa nuove tutte le cose nella vita di coloro che con umiltà si affidano a Lui e confidano nel Suo amore.
Ritiene quindi che una delle sfide attuali sia la formazione della coscienza morale che in tanti si è ormai assopita o smarrita?
Il Santo Padre Benedetto XVI nella Lettera apostolica in forma di motu proprio Porta Fidei ci ha invitati “ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati”(n. 6). Nella società odierna c’è infatti come un annebbiamento del senso del peccato. Siamo come avvolti da un’atmosfera amorale. Una pratica più assidua del sacramento della confessione non può che favorire la formazione della coscienza e la riconciliazione, aiutando a superare le diverse paure e a resistere per non abbandonarci alla tentazione, acconsentendo alle suggestioni del Maligno, che “come leone ruggente va in giro cercando chi possa divorare” (1Pt 5,8). Non dobbiamo affatto dimenticare che il sacramento della riconciliazione, oltre a rimettere i peccati e a liberarci dal male, ha un efficace potere terapeutico di guarigione del cuore e, pertanto, può aiutare noi cristiani a rispondere con sempre maggiore slancio alla personale ed universale chiamata alla santificazione.
Questo è stato il III appuntamento di un percorso che prevede 10 tappe. Quando si svolgerà il IV Simposio e quali temi affronterà?
Il cardinal Monteiro de Castro, Penitenziere Maggiore, nel suo saluto conclusivo ai partecipanti ha dato l’annuncio che il prossimo IV Simposio si terrà nei giorni 22-23 novembre 2013 e avrà come tema: “La Penitenza tra Umanesimo e Rinascimento. Dottrine e prassi dal Trecento agli inizi dell’età moderna (1300-1517)”. Sarà certamente una ulteriore occasione per riscoprire tutta la ricchezza spirituale e teologica che questo Sacramento assume oggi nella vita della comunità ecclesiale.