Educare alla solitudine, la letteratura del silenzio
Passeggiavamo, qualche giorno fa, per le strade di Padova, nei pressi della basilica di Sant’Antonio. Sotto i portici, i passi echeggiavano solitari, mentre cadevano le prime ombre: una sensazione sempre meno familiare, quella di camminare lungo una strada immersa nel silenzio, ovattata nei primi freddi autunnali. In questo strano stato d’animo ci siamo fermati davanti la vetrina di una libreria – libreria specializzata in pubblicazioni religiose – e, tra i tanti titoli, uno ha colpito l’attenzione, perché in completa sintonia con lo stato d’anima di quel momento: Educare alla solitudine di Domenico Cravero, Edizioni Messaggero Padova. Lo abbiamo acquistato e abbiamo scoperto, fin dalle prime pagine, che davvero la solitudine può essere una risorsa, e non una condanna. E questo filo conduttore si è dipanato per molti giorni, accompagnando molte riflessioni. Silenzio, solitudine, ascolto interiore, meditazione, contemplazione. Preghiera. Parole oggi più che mai “misteriose”, cancellate dal vocabolario d’uso quotidiano, se non in qualche accezione negativa.
Eppure… Eppure, proprio queste parole, che rimandano ad una realtà diversa, ad un mondo parallelo e invisibile, ma concreto, presente, cancellate, inespresse, appena si apre un qualche spiraglio fanno capolino nella via di ciascuno e persino nell’orizzonte confuso della nostra società. C’è bisogno di silenzio, di solitudine, di ritornare in noi stessi. Anche se non vogliamo ammetterlo, ma il bisogno preme, urge, assale. Tornano ad essere scelte da giovani coraggiosi forme di consacrazione che sembravano essere scomparse, come quelle della clausura, e queste vocazioni, lo spiegano le statistiche, anche se in numero sempre contenuto, sono in aumento, rispetto alle vocazioni, diciamo così, più tradizionali.
In molti hanno scoperto il fascino di una donna straordinaria come Ildergarda di Bingen, recentemente proclamata dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI, vissuta tra il 1098 e il 1179, monaca e scrittrice, musicista, cosmologa, artista, drammaturga, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa, poetessa, consigliera politica e molto altro ancora. Il monastero le permise una pienezza di vita difficilmente immaginabile per gli uomini del suo tempo, ma soprattutto per quelli del nostro tempo. Per leggere di lei ci sono molte biografie e studi. Per molti, soprattutto i cultori di una religione “fai da te” la lettura della vita e della personalità di Ildegarda è soddisfacente crearle intorno un’aurea di “ribelle” contro la Chiesa, ovviamente oscurantista e misogina. In questo senso si orientano libri che nel mondo scandinavo sono diventati best sellers come e (in Italia editi da Sonzogno) di Anne L.Marstrand-Iorgensen.
In assoluto noi preferiamo ancora il saggio della studiosa francese Regine Pernoud, dal titolo , (edizioni Piemme), completo e affasciante, senza alcuna scivolata nella New Age o nella visione romantica della donna-ribelle-fedele-solo-a-se-stessa-e-alle proprie-intuizioni-interiori. Di coincidenza in coincidenza, di riflessione in riflessione, di avvenimento in avvenimento, siamo venuti a conoscenza del fatto che proprio in questi giorni, ad Assisi, è stata organizzata una giornata di studio sulla figura di santa Colette de Corbie. Coletta Boylet nacque a Corbie, il 13 gennaio 1381. Nel 1399, rimasta orfana di entrambi i genitori, iniziò la sua travagliata ricerca di una forma di vita religiosa che rispondesse al suo desiderio più profondo; dopo varie esperienze, prima fra le beghine, poi presso le benedettine, vestì l’abito del Terz’Ordine francescano.
Dal settembre 1402 al 1406, con il consenso dell’abate benedettino Raoul di Roye, cui era stata affidata, condusse vita da reclusa. Alcune apparizioni di san Francesco, che la invitava a riformare il suo Ordine, la condussero da papa Benedetto XIII. Il papa accolse la sua proposta di riforma e la nominò badessa generale dei monasteri che avessero aderito alla riforma. Coletta cercò di riportare le clarisse alla primitiva osservanza, a una maggiore austerità personale, a una povertà vissuta anche a livello istituzionale e, stimolata dall’esperienza benedettina, diede molta importanza anche alla preghiera liturgica, a cui dare uno spazio sempre maggiore.
La sua vita fu sempre favorita da interventi divini eccezionali: visioni, estasi, profezie, miracoli. Morì a Gand il 6 marzo 1447. Ad Assisi c’è un bel monastero a lei dedicato e retto dalle clarisse francesi. Qui si è svolta la giornata di studi, in collaborazione con il monastero di Santa Lucia di Foligno, la Scuola superiore di studi medievali e francescani la Pontificia Università Antonianum di Roma. Una vita e una missione che ancora oggi ci parlano, anzi ci sfidano, mostrandoci una dimensione “altra” del vivere, che davvero ha realizzato la profezia evangelica del promesso a tutti quelli che hanno il coraggio di lasciare ogni cosa per correre incontro a Cristo.