La penitenza nel corso dei secoli, da Gregorio VII alla nuova evangelizzazione
“Conoscere la storia è una garanzia per elaborare cultura in ogni contesto – ha rilevato don Manlio Sodi, preside della Facoltà di Lettere cristiane e classiche della Pontificia Università Salesiana, introducendo i lavori –. Conoscere la storia della Penitenzieria è una sfida complessa” ha aggiunto, spiegando che il progetto “si proietta fino al 2019, quando speriamo di poter celebrare il X Simposio, che dovrebbe completare il percorso”. La Penitenzieria Apostolica è il più antico dicastero della Curia romana, e queste assisi desiderano rispondere a un bisogno di conoscenza della sua storia. Nel 2009 si tenne il I Simposio: “La Penitenzieria Apostolica e il sacramento della penitenza”. Nel 2010, invece, il secondo appuntamento su: “La penitenza tra I e II millennio”. Nel novembre del prossimo anno si svolgerà il IV Simposio, che affronterà il periodo successivo all’istituzione del dicastero. Il Simposio in corso indaga un “periodo complesso – illustra don Sodi – che si muove tra il pontificato di Gregorio VII, che muore nel 1085, e quello di Bonifacio VIII, che termina nel 1303”.
Contestualizzando quell’epoca, Maria Pia Alberzoni, docente di Storia medievale alla Cattolica di Milano, ha evidenziato che se ancora Gregorio VII parla di penitenza soprattutto in relazione a sanzioni canoniche inflitte all’imperatore o ai vescovi suoi seguaci, al contempo il termine acquista sempre più il significato di conversione. Questa è indispensabile per la purificazione dei costumi, anzitutto all’interno della Chiesa, per combattere i vizi della simonia e del concubinato, mentre si affermano anche gli ideali penitenziali laici, come il pellegrinaggio, l’assistenza ai poveri e ai malati. Fino ad arrivare alla scelta della povertà volontaria, che dalla fine del XII secolo caratterizzò la nascita di nuovi ordini religiosi, come quelli Mendicanti.
Sui contenuti della predicazione rivolta alla penitenza e alla conversione si è soffermata Nicole Beriou, direttrice dell’Institut de recherche et d’histoire dex teste di Parigi. Tre erano i vizi capitali commentati più di frequente: avarizia, lussuria e superbia, dai quali discendono ricchezze, piacere e onori. La predicazione avveniva più spesso nelle città ed era particolarmente intensa nel periodo quaresimale. I sermoni intendevano indurre i fedeli al rifiuto del peccato e alla conversione a Dio, “curando” il male attraverso il racconto del pentimento di grandi figure e la proposta di esempi di virtù.
Il cardinale Manuel Monteiro de Castro, Penitenziere Maggiore, ha rilasciato a Korazym una breve intervista al termine della prima sessione del Simposio.
Eminenza, qual è il senso di questo Simposio, che guarda molto al passato?
È un Simposio molto ricco e, come i precedenti, intende aiutare la gente a riflettere, è questa la nostra missione.
Nella prima relazione si è parlato di “Agere poenitentiam” (fare penitenza): è un invito ancora comprensibile nel mondo attuale?
Sì. Molta gente dice che il cattolicesimo stia diminuendo, ma in realtà non abbiamo mai avuto tanti cattolici nel mondo come adesso. È necessario portare il Signore alla gente, perché tutti noi avvertiamo il desiderio di una vita calma, tranquilla, serena e questa si ha quando c’è una tranquillità di coscienza, che si raggiunge nell’unione con il Signore. Dio ci parla sempre, in un modo o in un altro ci chiama. All’uomo la risposta, noi siamo liberi. La confessione ci avvicina al Signore, che è nostro padre e come un padre, o una madre, cura sempre i suoi figli, non importa ciò che fanno. Dio fa lo stesso, sta sempre vicino a noi. Occorre però che l’uomo si apra, che risponda positivamente quando Dio bussa alla porta. Troviamo quest’esperienza nel figliol prodigo e in tante altre parabole che Gesù Cristo ha espresso in modo chiarissimo, ma anche ai nostri giorni, per esempio nel Cammino Neocatecumenale, che oggi conta 90mila persone attive in tutto il mondo.
La confessione, un sacramento da riscoprire?
Dipende dalle zone. A Fatima, per esempio, ci sono moltissimi confessionali e aumentano sempre di più. In altre zone non c’è confessione perché mancano i sacerdoti. Nella nostra area non ci sono sacerdoti perché non nascono bambini. Se ci si domandasse quanti bambini nascevano e quanti diventavano sacerdoti alcuni decenni addietro, e si rapportasse ad oggi questo numero, forse non ne avremmo di meno. Il problema è che non nasce gente, e l’Europa ha bisogno di un cambiamento in questo campo, ha bisogno di dare maggior valore al ruolo della donna, che svolge in casa una missione per il benessere della famiglia e della società.
Nel suo intervento al Sinodo da poco concluso, lei indicava il volto di Cristo come “mysterium pietatis”, nel quale Dio “ci riconcilia pienamente a sé”. Il problema oggi, in un mondo che ha perso il “senso del peccato”, non è forse che l’uomo non si riconosce più peccatore, mentre tutto è considerato lecito?
Questa è la posizione della nostra gioventù, che non ha ricevuto una preparazione adeguata. Lì sta la nuova evangelizzazione. Chi è il grande evangelizzatore? La famiglia. Sono stato a Bergamo, di recente, e ho visitato la casa di Giovanni XXIII. C’era una foto del Papa e una letterina scritta a mano, che sono andato subito a leggere. Era indirizzata alla famiglia in occasione dei 50’anni di sacerdozio e diceva tra l’altro: “Io ho letto molti libri, ma quello più importante, da cui ho imparato di più, è stato con voi, a casa”.
Il suo ministero l’ha portata in numerosissimi Paesi…
Nei cinque continenti.
Può delineare una geografia della fede? La scristianizzazione è un problema solo occidentale?
In molte parti del mondo le persone sono tali e quali a noi, dipende dalla formazione che hanno ricevuto. Il cattolicesimo sta crescendo soprattutto in quelle zone in cui non era ancora arrivato.
Ci potrà essere perdono divino senza pentimento e richiesta di perdono da parte dell’uomo?
Questo lo lasciamo al Signore, io non voglio giudicare. Naturalmente il Padre vuole che il figlio si avvicini alla casa.