Scritti in onore di Elio Sgreccia
Nei giorni scorsi è stato presentato dall’associazione ‘Scienza&Vita’ il libro ‘Vita, Ragione e Dialogo: scritti in onore di Elio Sgreccia’, che dal 1974 per 10 anni fu assistente spirituale alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Docente di Bioetica all’interno dello stesso ateneo dal 1984, divenne ordinario nel 1990. Dal 1985 al 2006 fu direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal 1998 al 2005 fu direttore del Centro per la Cooperazione Internazionale per la medesima università. Nel 1990 venne eletto membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, incarico mantenuto fino al 2006. Dal 1992 al 2000 fu inoltre direttore dell’Istituto di Bioetica. Nell’anno 2001 fu un componente della Commissione delle linee guida nell’ambito della consulenza e dei test genetici per il Ministero della Sanità. Dal 2003 è presidente della Federazione Internazionale dei Centri e Istituti di Bioetica d’Ispirazione Personalista (FIBIP), mentre dal 2004 è presidente della Fondazione ‘Ut Vitam Habeant’ e dell’Associazione ‘Donum Vitae’. Dal 3 gennaio 2005 al 17 giugno 2008 è stato presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dalla quale si è dimesso per raggiunti limiti di età e di cui rimane presidente emerito. Papa Benedetto XVI, in considerazione della sua generosità e dedizione nel servizio alla Chiesa, lo ha creato cardinale nel concistoro del 20 novembre 2010, assegnandogli la diaconia di Sant’Angelo in Pescheria. Intanto venerdì 23 e sabato 24 novembre a Roma si svolgerà il X congresso nazionale dell’Associazione ‘Scienza & Vita’ sul tema ‘Embrioni crioconservati, quale futuro?’
Nell’introdurre i lavori il presidente dell’associazione, prof. Lucio Romano, ginecologo all’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha portato la sua personale testimonianza: “Raccogliere sinteticamente, nello spazio proprio di un’introduzione, il pensiero di S. Em.za Prof. Elio Sgreccia è compito inesigibile… L’antropologia personalista ontologica non è lettura della vita che esclude il confronto e la ricchezza dei contributi di altre conoscenze, come quelle della biomedicina. Tutt’altro. Rappresenta una semantica di verità inclusiva, riconoscibile da ognuno e che, dando ragione della irriducibile unicità e intrinseca dignità di ogni uomo, è apertura autentica e rigorosa al dialogo con i vari saperi umani e loro sviluppi. L’antropologia di riferimento, come ci ricorda lo stesso Sgreccia nel suo Manuale di bioetica, è ‘cresciuta nell’alveo del pensiero classico-patristico, fatta propria da Tommaso d’Aquino e ravvivata continuamente da pensatori di grande e non precario valore, come J. Maritain, E. Mounier, E. Gilson, G. Capograssi, A. Gemelli ed altri viventi, che hanno attinto alla forza della ragione, non mortificata ma sostenuta dalla fede cristiana, i criteri di valutazione etica’. In altri termini l’argomentazione e la metodologia di analisi proposte offrono la concreta possibilità di coniugare, con ragionevolezza immediatamente riconoscibile, la dimensione scientifica con quella antropologica, etica e giuridico-deontologica. Infatti, sulla base dell’antropologia personalista di riferimento si armonizzano le riflessioni in ambito bioetico e biogiuridico, con innegabili risultati per quanto attiene anche agli altrettanto attuali aspetti dell’etica sociale”.
La dott.ssa Chiara Mantovani, medico-chirurgo e membro dei Comitati Etici della ASL dell’Azienda ospedaliera e dell’Ordine dei medici di Ferrara, ha trattato il fecondo legame tra la bioetica e la Dottrina Sociale della Chiesa: “Giusto nell’autunno del 1995 mi accingevo a frequentare l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, senza immaginare che avrei appreso ben più di una serie interessante di nozioni e che ne avrei ricavato un frutto umano e spirituale di indimenticabile gusto e spessore. E mi apparve chiaro che appassionarsi ai temi bioetici era un modo non irrilevante di svolgere un servizio, di aderire ad un invito cui avevo personalmente già deciso di rispondere: contribuire – per la infinitesima, eppure misteriosamente necessaria, parte che compete a ciascuno – alla costruzione di una società in cui sia possibile una vita vera, giusta, bella. Era così, per me, già delineato il legame tra Bioetica e Dottrina Sociale. Ma davvero questo legame è una novità apparsa nel 1995? O non piuttosto una radice comune le unisce, così che la Bioetica può legittimamente dirsi un’articolazione specialistica e feconda che sostiene ed esplicita la comprensione e l’applicazione della Dottrina Sociale?…
La Dottrina Sociale della Chiesa non è la versione cattolica del piano di dominazione del mondo; una delle sue caratteristiche è quella di porsi come promemoria, senza sostituire la libertà di scelta; delinea delle coordinate, traccia le righe su cui scrivere, non scrive i testi. Già nella definizione di Dottrina Sociale come branca della teologia morale (6) risulta evidente il suo nesso con la giustizia e il bene comune. La bioetica esplora, con metodologia multidisciplinare, campi in cui l’esperienza del fare è ancora incerta o problematica, al fine di individuare gli ambiti di interventi possibili; descrive scenari, grazie alle competenze generate dalle varie conoscenze: medica, filosofica, giuridica, sociologica; ed esamina le possibili conseguenze e derive, al fine di allertare quella presa di responsabilità che è parte integrante di un atto umano, in quanto tale imprescindibilmente libero e consapevole. Bioetica richiama nel suo etimo all’etos: se lo si accoglie nell’accezione di ‘morale’ si fa ovvio riferimento alla categoria di giustizia, mentre usandolo nel senso di ‘costume’ si sceglie la dimensione descrittiva propria della sociologia. E grandi differenze nascono da queste diverse letture, dove la seconda condanna la Bioetica ad essere dipendente dalle contingenze e dai giudizi soggettivi, mentre la prima la radica propriamente nella ricerca della giustizia…
Nel linguaggio cristiano questa caratteristica universale è propriamente la natura umana, l’insieme di ciò che fa umano l’uomo, lo distingue da ciò che non lo è, lo descrive con accuratezza ed esaustività. La grande capacità di sintesi, lessicale oltre che concettuale, del Cristianesimo ha coniato il termine ‘persona’, intanto che era impegnato a balbettare qualcosa del mistero, insondabile in interezza ma partecipativamente affrontabile, della Santissima Trinità. La conoscenza e il riconoscimento che esiste una natura umana sono condizioni necessarie per aspirare a renderle giustizia, ovvero a non prevaricarla e dunque a costruire un habitat sociale, di vita comune e in comune, in cui la giustizia sia perseguibile. Che cosa è da sapersi sulla ‘natura’ biologica e su quella sociale, non meno che su quella trascendente, è affare di una bio-politica che consulti una bio-etica…”.