Caritas e Migrantes chiedono interventi urgenti per gli immigrati a Lampedusa

Condividi su...

Al termine dell’incontro della Commissione Episcopale per le Migrazioni (CEMi), i vescovi avevano espresso la loro preoccupazione per l’approssimarsi della data del 31 dicembre 2012, quando è prevista la chiusura dell’emergenza nord africana e delle relative strutture di accoglienza. I disagi e le numerose difficoltà burocratiche, economiche e sociali vissute dai centri e dalle comunità di accoglienza, molte delle quali nelle diocesi, parrocchie e negli istituti religiosi, inducono a tornare sulla prossima scadenza di fine anno per chiedere interventi volti a far uscire le persone da forme di accoglienza occasionali ed emergenziali: “Peraltro, hanno scritto Caritas Italiana e Fondazione Migrantes in una nota congiunta diffusa il 12 novembre, da un monitoraggio condotto dalla rete delle Caritas diocesane che sono impegnate nell’accoglienza è emerso che circa il 60% delle persone è ancora in attesa di ricevere uno status definitivo, o di conoscere l’esito del procedimento amministrativo o di quello giudiziario. A tal riguardo si prende atto del recente provvedimento del Governo volto ad attivare una procedura per il rilascio del permesso umanitario, rinnovando l’istanza precedentemente negata. Si tratta però di una procedura che rischia di essere macchinosa e che potrà essere realizzata efficacemente solo con l’apporto congiunto degli attori istituzionali e degli enti di tutela. Va sottolineato che fra gli ospiti figurano diverse persone vulnerabili, centinaia di nuclei familiari e decine di minori stranieri non accompagnati, categorie verso le quali la prospettiva di una chiusura dell’accoglienza al 31.12.2012 non è auspicabile, oltre che difficilmente praticabile”.

 

 

Infine con i vescovi della CEMi Caritas e Migrantes hanno sottolineato che la prospettiva realistica di nuovi flussi verso l’Italia di persone che vivono il dramma della fuga per ragioni politiche e religiose non permette di lasciare ulteriormente nella precarietà strutture e percorsi di accoglienza e protezione umanitaria nel nostro Paese. E che la situazione nell’isola è insostenibile, soprattutto per i minori, è resa nota da un rapporto di ‘Save the Children’ con dati precisi: dal 18 agosto 2012 a fine settembre sono stati 77 i minori stranieri non accompagnati (la maggior parte somali ed eritrei tra i 12 ed i 17 anni, tra cui 2 ragazze) giunti dalla Libia a Lampedusa.

Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia, ha spiegato: “Per evitare di dormire accalcati nell’area riservata alle donne con bambini piccoli, alcuni di essi hanno preferito dormire all’aperto o in situazione di promiscuità con gli adulti. Si tratta di condizioni non accettabili e che certo non corrispondono agli standard di protezione e accoglienza che dovrebbero essere assicurati ai minori migranti soli”. Molti  minori giunti a Lampedusa, come d’altra parte molti adulti migranti, sono transitati dalla Libia dove hanno vissuto situazioni drammatiche e di grande pericolo. Nelle interviste rilasciate agli operatori di Save the Children presenti a Lampedusa nell’ambito del progetto ‘Praesidium’, in partnership con UNHCR, IOM e Croce Rossa, e con il coordinamento del Ministero dell’Interno, è emerso come molti minori e adulti migranti siano stati detenuti nei centri di detenzione e nelle carceri libiche dove hanno subito violenze di ogni genere, soprattutto nel caso di migranti musulmani o musulmani non praticanti

Altri minori intervistati hanno dichiarato di essere invece rimasti in Libia per un periodo limitato, necessario per l’organizzazione della partenza. Questo pare essere un trend diffuso: molti migranti lavorano in paesi di transito, al fine di recuperare i soldi necessari per il viaggio e partono per la Libia solo quando hanno ottenuto la somma necessaria a partire. I minori hanno anche raccontato che i migranti in attesa di partire vengono nascosti e poi portati verso le barche in partenza in gruppi di 30, su gommoni. M.G., un minore eritreo di 15 anni, ha detto a Save the Children di aver lavorato in Sudan per 3 anni, per guadagnare 1.400 dollari e poter partire. In Libia è rimasto un mese, nascondendosi in una cava. Il viaggio, nella testimonianza di tanti ragazzi, si conferma un’esperienza ad alto rischio e dall’esito incerto. Secondo i racconti resi agli operatori di Save the Children alcuni migranti sono stati abbandonati dai trafficanti vicino a Sabah (nell’area centro-meridionale della Libia) o nel deserto e sono stati poi rintracciati dalla polizia libica che li ha condotti in centri di detenzione.

Quindi, per assicurare adeguata protezione e accoglienza ai minori che arrivano in Italia, a Lampedusa, Save the Children ha chiesto che il porto di Lampedusa sia dichiarato nuovamente porto sicuro al fine di garantire a tutti i migranti immediato soccorso e una prima accoglienza; si identifichino sempre e subito i migranti in arrivo affinché siano correttamente individuati i minori e non si dia luogo al rimpatrio di categorie vulnerabili come i minori stessi, vittime di tratta, di violenza, rifugiati e richiedenti asilo; sia garantito e implementato un sistema nazionale per la protezione dei minori migranti non accompagnati che assicuri loro un’accoglienza adeguata, diffusa sul territorio nazionale, con risorse certe dedicate ed una chiara definizione dei livelli di responsabilità tra Stato, Regioni e Comuni.

151.11.48.50