La corretta ermeneutica del Concilio vaticano II secondo Agostino Marchetto

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«Si potrà dire: “La Chiesa che esce dal Concilio è ancora quella di ieri, ma rinnovata”. Mai si potrà invece dire: “Abbiamo una Chiesa nuova, diversa da quella di ieri”». Il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian, cita un passaggio della lettera con la quale il vescovo Albino Luciani, prima dell’apertura del Vaticano II, spiegava ai suoi fedeli cosa fosse un Concilio, per introdurre l’incontro sul nuovo volume dell’arcivescovo Agostino Marchetto: “Il Concilio ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. La presentazione dell’opera, la seconda che monsignor Marchetto dedica al Vaticano II – la prima apparve nel 2005, anch’essa per i tipi della Lev, con il titolo “Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia” – si è svolta nel pomeriggio del 7 novembre presso la sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini, promossa dal Centro europeo per il turismo cultura e spettacolo. “Si tratta di libri un po’ particolari: non sono opere unitarie, sono raccolte di recensioni”, chiarisce subito Vian.

 

 

La passione per il Concilio

“Monsignor Marchetto – ricorda il cardinale Agostino Vallini – è stato al servizio diplomatico della Santa Sede in diversi Paesi, portando però sempre con sé nella valigia gli strumenti di una passione allo studio, alle istituzioni ecclesiastiche e al Concilio”. Il cardinale Vicario, che ritiene “per tanti aspetti non ancora compiuta” la recezione del Concilio, afferma che “un testo come questo è importante per apprezzare ancora di più quanto sia stato benefico il punto fermo messo da Benedetto XVI nel famoso discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia romana, nel quale precisava il concetto di ermeneutica con cui accostarsi ai documenti conciliari: l’ermeneutica della riforma nella continuità della tradizione e non quella della discontinuità e della rottura”. E il volume, attraverso l’analisi critica della bibliografia sul Concilio, intende arricchire con la documentazione questo indirizzo del Magistero, “smontando le tesi dei sostenitori dell’ermeneutica della rottura, sia in senso liberale che di tendenza tradizionalista, sia appoggiando gli studi dei sostenitori dell’ermeneutica della continuità”. “Si tratta in fondo di una storia critica della storiografia conciliare” conclude Vallini, “la cui tesi finale è questa: con il Concilio non nasce una nuova figura di cattolicesimo, ma c’è stato un aggiornamento, un rinnovamento, una riforma nella continuità, come autorevolmente ha indicato Papa Benedetto”.

“Una storia della storiografia”

Il volume è “diviso chiaramente in due parti – nota con perizia accademica il cardinale Raffaele Farina –, una breve riguardante la recezione del Concilio Vaticano II e l’altra più ampia riguardante l’ermeneutica del medesimo Concilio”. Questa viene individuata e descritta in tre categorie: ermeneutica della rottura, ermeneutica della rottura nella tendenza tradizionalistica, ermeneutica della riforma nella continuità. Si tratta di “una storia della storiografia”, rileva il cardinale Farina, “una fabbrica di materiale storico-critico” che raccoglie le recensioni di monsignor Marchetto a 28 pubblicazioni apparse tra il 2004 e il 2011, insieme a diversi interventi inediti dell’autore. 49 erano invece le recensioni contenute nel volume del 2005, riferite a opere pubblicate dal 1990 al 2003. Il cardinale si sofferma su alcuni termini-chiave: “aggiornamento”, come “volontà della Chiesa di rendersi credibile a quelli che sono fuori di essa” e “riforma”, quale “volontà della Chiesa di rendersi credibile a se stessa, ai suoi membri”. E infine il “rinnovamento”, che “consiste in questa duplice dinamica, esterna (aggiornamento) e interna (riforma), che – pur se talvolta condizionata nel suo evolversi dalle situazioni del tempo – è sempre coordinata e guidata dall’inscrutabile movimento dello Spirito, che anima la Chiesa, la custodisce e la conduce”.

Le diverse letture storiche di un “avvenimento”

Il Vaticano II è “materia viva”, e in questo risiede la difficoltà di farne “una storia e una seria storiografia”, osserva il ministro Andrea Riccardi, storico di fama. Il Concilio è stato “un evento obiettivamente globale, per la Chiesa ma anche per la storia del mondo”, e oggi “ha qualcosa da dire al mondo della globalizzazione”. Pertanto esso va collocato “in una storia di più lunga durata” premette Riccardi, notando che non fu una “restaurazione” ma un “rinascimento”, non “un abisso” o “un taglio”, ma “un ponte” con la tradizione della Chiesa. L’avvenimento Concilio, di cui Giovanni XXIII “in un certo senso è stato il padre” e Paolo VI “il suo architetto”, secondo il ministro “fu in parte vissuto come una rivoluzione ecclesiastica”, ma anche “come un mito, il mito del Concilio tradito”.

“Il Vaticano II fu recepito sia all’esterno che all’interno del mondo della Chiesa come una rottura” evidenzia Ricardi. Perché? Occorre riflettere sul metodo in cui il Concilio è arrivato alla base cattolica, non attraverso gli “organi ecclesiastici tradizionali” (vescovi, sinodi diocesani, concili nazionali, ordini religiosi), ma attraverso la stampa, che li ha “completamente spiazzati”. “C’è stata la crescita dell’informazione religiosa, che in una qualche misura si è autoproclamata come una specie di magistero ecclesiale, ritagliando alcuni messaggi del Concilio”. E in secondo luogo ragionare sul periodo in cui è arrivato, la seconda metà degli anni ’60, quando il mondo occidentale era scosso dalla rivoluzione del ’68. “C’è stato come un incrocio tra il ‘messaggio’ del Vaticano II e lo ‘spirito’ del ’68, che ha portato a degli effetti nella recezione che paradossalmente hanno avuto più eco di quella che è stata la recezione voluta da Paolo VI”. L’avvenimento non può quindi essere isolato dal suo contesto storico e sociale: è in quel periodo che si apre la “forbice”, il “bipolarismo interno” tra “una lettura progressista e una lettura conservatrice del Concilio”, mentre Paolo VI si era focalizzato “sul rinnovamento di quelle strutture che avrebbero dovuto guidare la recezione del Concilio, a partire da Roma che di questa doveva essere il faro, con la riforma della Curia”. “La dimensione del rinnovamento conciliare – ritiene Riccardi – è una Chiesa in missione e la vera alternativa a chi vuole conservare è la missione, non il progressismo”. Quindi “il bilancio storiografico andrebbe fatto anche sulla questione di quanto la Chiesa del dopo Concilio sia stata una Chiesa in missione, o abbia solo parlato di missione” ha concluso il ministro.

La ripresa di un cammino

Ai ringraziamenti del direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa, che si è rallegrato con l’autore per aver rilanciato il logo dell’editrice vaticana “in un contesto così ricco e stimolante” e perché mediante le sue opere fa riflettere il pubblico su un avvenimento “iscritto nei recessi della nostra memoria cattolica e civile”, sono seguiti i saluti dello stesso monsignor Marchetto, che ha definito il Concilio il suo “secondo amore storico”, dopo gli studi dedicati alla storia della Chiesa e al Medioevo. L’arcivescovo ha in particolare ribadito che “le due anime del cattolicesimo, Tradizione (identità) e ‘apertura’, o rinnovamento, o riforma, devono stare insieme, come del resto è avvenuto in Concilio, ma molto meno nel post Concilio, in genere”. L’Anno della fede, indetto dal Papa a 50’anni dall’inizio del Vaticano II, costituisce pertanto un’“occasione per riprenderlo come cammino insieme”.

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