Gruppi armati islamici attaccano villaggi in Mozambico e Tanzania, effettuando decapitazioni e “azioni macabre”

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La radio britannica BBC Africa, la televisione statale del Qutar Al Jazeera e il quotidiano londinese The Times ha riferito di nuovi attacchi recenti, tra una serie di azioni di gruppi di jihadisti, come Ansar al-Sunna, che cercano di stabilire nella regione la sedicente “Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico-ISCAP”, stanno compiendo dal 2017 in Cabo Delgado. Questa provincia nel nord-est del Mozambico, ricca di gas naturale e a maggioranza musulmana, confina a nord con la Tanzania, a sud con la provincia di Nampula e a ovest con la provincia di Niassa, mentre a est si affaccia sull’Oceano Indiano.
Le notizie degli eventi recenti sono stati confermati in una conferenza stampa dalla polizia mozambicana e riportati dai media locali, tra cui l’agenzia di stampa statale Aim, poi ripresi da BBC Africa, da Al Jazeera e da The Times, con l’aggiunta delle testimonianze del Vescovo di Pemba e delle informazioni dell’ONG Helpo.
Invece, l’Agenzia Nova oggi riferisce, che Valige Tauabo, il Governatore della Provincia di Cabo Delgado ha negato le notizie di decapitazioni di massa da parte dei jihadisti islamici nella provincia.

Si sa pochissimo dei gruppi responsabili delle stragi. La formazione si fa chiamare al-Shabab come la milizia islamica somala. Ma alcuni analisti, ha riportato Al Jazeera, dubitano che ci siano legami solidi con l’ISIS, il sedicente Stato Islamico nell’Africa Centrale e con il jihadismo islamico organizzato. Quello che è sicuro, è l’ispirazione, dal momento che, nelle immagini diffuse dalla formazione, i jihadisti sfoggiano i passamontagna e i vessilli neri dell’ISIS. I gruppi armati islamici stanno guadagnando slancio in Sud Africa e l’ISIS ha rivendicato gli attacchi che sta soffrendo Cabo Delgado. Le comunità sono state gradualmente costretto a fuggire. In quattro anni di massacri nel Cabo Delgado sono finora morte oltre 2.000 persone, più della metà delle quali civili. L’ondata di violenza, che ha causato più di 400.000 sfollati interni, si è intensificata quest’anno. Gli sfollati cercano rifugio nelle altre province, come Nampula e Niassa. Migliaia di rifugiati hanno attraversato anche il confine con la Tanzania, aggravando le preoccupazioni della comunità internazionale su una regionalizzazione del conflitto.

Secondo quanto riferito da BBC Africa, da Al Jazeera e da The Times, terroristi islamici hanno decapitato circa 50 persone nel villaggio di Muatide. Il Vescovo di Pemba, la capitale della provincia di Cabo Delgado, Mons. Luiz Fernando Lisboa ha confermato alla radio portoghese TSF-Rádio Notícias, che le operazioni armate condotte dai gruppi radicali sono costanti, come quella registrata la scorsa settimana in 11 villaggi nel distretto di Muidumbe. I terroristi islamici hanno interrotto una cerimonia di iniziazione uccidendo e decapitando una ventina di persone tra adolescenti e accompagnatori. I cadaveri furono ritrovati nella foresta sparsi in un’area di 500 metri. “Quello che possiamo confermare è che nel villaggio 24 de Março hanno ucciso circa 20 persone, tra cui 15 giovani che erano in rito di iniziazione”, ha detto Mons. Lisboa a TSF, rilevando inoltre che le azioni armate sono perpetrate da gruppi che si dicono legati allo sedicente Stato Islamico e che distruggono tutto ciò che si trovano davanti: “Distruggono case, beni pubblici, uccidono persone, rapiscono, soprattutto ragazze. Abbiamo casi di ragazze che sono fuggite, ma vengono riprese e non tornano, sono lì con loro. Molte ragazze sono già state rapite”. La popolazione della parte settentrionale del Mozambico vive nella paura costante. Le persone “sono tutte spaventate e perplesse per tutto ciò che sta accadendo”. Ci sono “persone che hanno perso il marito, che hanno perso i genitori, genitori che hanno perso i loro figli, persone che hanno visto i membri della famiglia decapitati… C’è un trauma generale”, ha riferito Mons. Lisboa.

Lo scenario ritrovato ad Aldeia da Paz, dopo un attacco di militanti islamici ad agosto 2020 (Foto AFP).

All’inizio di novembre nove persone sono state decapitate nella stessa provincia. Durante gli attacchi ai villaggi, alcune persone riescono a scappare e cercano aiuto da familiari di altri distretti. “Chi non ha dove andare viene a Pemba, quindi negli ultimi giorni sono arrivate più di 12.000 persone e più di 200 barche”, ha riferito Mons. Lisboa, confermando che, oltre al governo mozambicano, la Chiesa e diverse ONG stanno cercando di aiutare la popolazione sfollata.

La BBC Africa ha riportato, secondo quanto hanno riferito media locali mozambicani, tra cui l’agenzia di stampa statale mozambicana Aim, che durante l’ultimo attacco iniziato domenica scorso e durato tre giorni, nel distretto di Miudumbe i jihadisti islamici hanno fatto irruzione nel villaggio di Nanjaba, sparando e dando fuoco alle case, portando via numerose donne, al probabile scopo di farne schiave sessuali.

Poi, nel villaggio di Muatide circa 50 uomini sono stati radunati nel locale campo da calcio, trasformato in un mattatoio dai terroristi islamici, che hanno tagliato la testa alle loro vittime e poi hanno fatto scempio dei loro corpi tagliandoli a pezzi con i machete, gridando “Allāhᵘ akbar” (“Dio è il più grande” [*]). Secondo quanto riferito, diverse persone sono state decapitate in un altro villaggio. Anche The Times riporta l’attacco e riferisce che diverse donne e ragazze sono state smembrate e uccise dopo che le loro case erano state incendiate. Gli eventi sono stati confermati in una conferenza stampa dalla polizia mozambicana, ha detto ancora The Times. L’emittente televisivo statale del Qatar Al Jazeera cita anche il Comandante generale Bernardino Rafael, che ha riferito: “Hanno bruciato le case, poi hanno inseguito le persone che sono fuggite nella foresta e hanno iniziato le loro azioni macabre”. La polizia, sempre secondo Al Jazeera, avrebbe riferito che militanti islamici avrebbero decapitato e smembrato più di 50 persone nel corso di tre giorni. Al-Jazeera ha riferito che secondo Rafael, combattenti legati al sedicente Stato Islamico hanno attaccato diversi villaggi nei distretti di Miudumbe e Macomia, dove hanno ucciso civili, rapito donne e bambini e dato fuoco alle case. Si tratta dell’ultimo attacco di una serie di azioni che gruppi di terroristi islamici hanno compiuto dal 2017 nella provincia di Cabo Delgado, in cui duemila persone sono state uccise e oltre 400.000 persone fuggite dalle proprie case e dai villaggi dall’inizio del conflitto nella provincia, abbandonando i campi e costringendole a fare affidamento solo sull’assistenza umanitaria.

L’insicurezza e le violenze crescenti hanno aumentato la minaccia della fame a Cabo Delgado, dove le comunità non hanno più accesso a cibo e a fonti di reddito. Gli ultimi dati del sistema di allerta precoce per le carestie FEWSNET indicano che le comunità continueranno ad affrontare livelli di “crisi” di insicurezza alimentare (la fase 3 nella classificazione IPC) fino agli inizi del 2021. La situazione desta particolare preoccupazione dal momento che a Cabo Delgado si registra il secondo tasso più alto di malnutrizione cronica nel paese, che vede oltre la metà dei bambini al di sotto dei cinque anni soffrirne. Ogni shock ulteriore potrebbe far precipitare la situazione, specialmente per le donne e per i bambini.

Nel settembre scorso, il World Food Program ha detto di essere estremamente preoccupato per l’escalation del conflitto in Mozambico e per il peggioramento della sicurezza alimentare a Cabo Delgado. “Siamo molto preoccupati per la situazione umanitaria in corso a Cabo Delgado, dove il conflitto e la violenza hanno lasciato le persone senza accesso a cibo e ai mezzi di sussistenza”, ha detto Antonella D’Aprile, Rappresentante del WFP in Mozambico. “A causa della crescente insicurezza e delle povere infrastrutture diventa sempre più difficile raggiungere chi ha bisogno, e ora con il Covid-19 la crisi si complica ulteriormente”, ha aggiunto. Al momento, il secondo numero più alto di casi registrati di Covid-19 nel paese è a Cabo Delgado, e gli spostamenti di popolazione potrebbero accelerare la diffusione del virus.

Gli attacchi jihadisti non hanno causato soltanto perdite di vite umane, ma hanno anche gravemente danneggiato le infrastrutture – già fortemente colpite dal ciclone Kenneth nel 2019 – causando difficoltà nel raggiungere i più vulnerabili. Nonostante le significative sfide operative, il WFP, in collaborazione con il governo mozambicano, prevede di raggiungere 310.000 persone ogni mese nelle province di Cabo Delgado, Nampula e Niassa con cibo, vouchers e sostegno nutrizionale. Il WFP ha urgentemente bisogno di 4,7 milioni di dollari al mese per assistere gli sfollati nel nord del Mozambico. Senza fondi aggiuntivi, il WFP sarà costretto a ridurre le razioni alimentari a partire da dicembre.

Popolazioni in preda al panico fuggono dopo un nuovo attacco jihadista a Mocímboa da Praia in Cabo Delgado, il 26 giugno 2020. Foto inviate ad Aiuto alla Chiesa che Soffre del Portogallo da Suor Joaquina Tarse, della Congregazione Figlie del Cuore Immacolato di Maria, Diocesi di Pemba.

La Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre-ACS destinerà aiuti per 100.000 Euro alle popolazioni del Mozambico attaccate nei giorni scorsi dai jihadisti appartenenti al sedicente Stato Islamico nell’Africa Centrale.

Iniziata nel 2017, l’insurrezione jihadista islamica in Cabo Delgado minaccia di destabilizzare gravemente la regione, considerata strategica per le risorse di petrolio e gas presenti e i progetti in corso in questo settore, mentre i jihadisti iniziano a farsi strada anche nella regione del Mtwara in Tanzania, al confine con il Mozambico.

In agosto, dopo giorni di pesanti combattimenti, i jihadisti della sedicente “Provincia dell’Africa centrale dello Stato islamico-Iscap” avevano ripreso possesso della città portuale di Mocimboa da Praia, nel nord del Mozambico, che era stata strappata di recente dalla loro influenza e che è ritenuta strategica per la sua posizione nella provincia di Cabo Delgado. Secondo il sito di monitoraggio del jihadismo online “Site”, l’attacco è stato rivendicato da Iscap sui suoi canali social con immagini dei militari uccisi e del bottino di armi e munizioni saccheggiato sul posto. Negli scontri sarebbero morti fra 15 e 30 militari delle Forze di difesa e sicurezza (Sds). Secondo i media locali, la città era caduta in mano jihadista dopo che l’Esercito mozambicano era stato costretto ad abbandonare le sue postazioni di difesa della città, perché a corto di munizioni. Le Forze armate governative hanno tentato di resistere all’attacco, ritenuto da diverse fonti ampio e ben coordinato, ma sono state costrette alla fuga anche via mare. In loro aiuto sarebbero accorsi senza successo anche gli elicotteri del gruppo sudafricano Dyck Advisor. La conquista della città era stato l’ultimo atto dell’ennesima offensiva condotta dai jihadisti nella zona e iniziata il 5 agosto. Lo scorso 23 marzo i miliziani avevano attaccato la caserma militare di Mocimboa da Praia ed altre basi militari di Cabo Delgado, rivendicando l’uccisione di decine di agenti della sicurezza e di polizia intervenuti sul posto per respingere l’attacco. I jihadisti avevano issato barricate alle entrate principali della cittadina, riuscendo ad innalzare la loro bandiera in caserma. Anche in quel caso avevano sequestrato armi, munizioni ed attrezzature.

La scorsa settimana, nel corso di un briefing telefonico tenuto con la stampa internazionale, il Comandante delle Operazioni Speciali Usa in Africa Dagvin Anderson ha lanciato l’allarme sul rafforzamento degli attacchi jihadisti. “Negli ultimi 12-18 mesi abbiamo visto (i miliziani) sviluppare le loro capacità, diventare più aggressivi e utilizzare tecniche e procedure comuni in altre parti del mondo – in Medio Oriente – che sono riconducibili allo Stato Islamico”, ha detto Anderson. “Crediamo che ci siano attori esterni che li stiano influenzando e rendendo più aggressivi e pericoloso nella regione di Cabo Delgado”, ha concluso Anderson.

Il sedicente Stato Islamico si è rafforzato nel Sud dell’Africa, sfruttando la povertà e la disoccupazione per reclutare giovani per combattere e instaurare il dominio islamico nell’area. Molti residenti si lamentano di non aver beneficiato delle industrie petrolifere della provincia.

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, durante la sua visita del gennaio 2017 in Mozambico, aveva avvertito già della minaccia di Gulen, dicendo che l’organizzazione responsabile del tentativo di colpo di stato in Turchia (organizzazione terroristica Fethullahista/FETO) potrebbe penetrare nelle strutture di governo nei paesi in cui svolge attività. “Questa organizzazione, che si trova in alcune parti del Mozambico e si estende a quattro angoli del mondo, potrebbe penetrare nelle strutture governative, come si è stata infiltrato nei nostri militari, forze di sicurezza e altri enti pubblici. Questa è una richiesta tra fratelli” ha detto Erdogan.

Per fronteggiare l’ondata terroristica islamica nel Paese, il Mozambico aveva già chiesto aiuti internazionali, sottolineando che le truppe mozambicane necessitano di maggiore addestramento per fermare gli attacchi.

Gli ultimi attacchi, tuttavia, potrebbero essere stati più violenti, riferisce un corrispondente della BBC a Maputo, la capitale del Mozambico. Gli uomini armati hanno gridato il takbīr arabo “Allāhᵘ akbar” (“Dio è il più grande” [*]), hanno sparato e appiccato il fuoco alle case mentre invadevano il villaggio di Nanjaba, la sera di venerdì scorsa. L’agenzia di stampa statale del Mozambico Aim ha citato dei sopravvissuti nella cronaca dell’attacco. Due persone sono state decapitate nel villaggio e diverse donne sono state rapite. Un altro gruppo di terroristi islamici ha compiuto un altro brutale attacco nel villaggio Muatide – hanno riferito le autorità in una conferenza stampa -, dove sono state decapitate più di 50 persone. Gli abitanti del villaggio che hanno cercato di scappare sono stati catturati e portati al campo di calcio locale, dove sono stati decapitati e smembrati tra la sera di venerdì e domenica scorsa.

Persone sedute fuori una casa sovraffollata – in un’area che è diventata uno dei principali punti di arrivo degli sfollati in fuga dalla violenza jihadista che imperversa nella provincia di Cabo Delgado – nel distretto di Paquitequete di Pemba, 21 luglio 2020 (Foto di Ricardo Franco/EPA).

Si dice che gli islamisti siano “tornati” in Tanzania la scorsa settimana e che abbiano rivendicato di un attacco a tre villaggi a Mtwara, ha osservato la ONG Helpo, in un rapporto inviato alla redazione della TSF. Gli attacchi a Michenjele e Mihambwe, e ad un terzo villaggio, che secondo l’organizzazione non governativa è Nanyamba – tutti a meno di 20 chilometri dal fiume Rovuma, che confina con il distretto Nangade del Mozambico – hanno incendiato diversi edifici e saccheggiato una stazione di polizia. Lo stesso giorno, il sedicente Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità del saccheggio, affermando che l’organizzazione ha attaccato tre “villaggi cristiani” nel sud della Tanzania.

Il 31 ottobre, un gruppo terroristico islamico ha attaccato diversi villaggi nel distretto di Muidumbe (Magaia, Muatide, Nchinga, Miteda, 24 de Março e Muambula). Cinque civili sono stati decapitati e bambini rapiti a Nchinga. A Miteda, tre civili sono stati assassinati e a 24 de Março una persona è stata uccisa.

A Namacande, terroristi islamici hanno bruciato edifici governativi locali e si sono scontrati con le forze di sicurezza del Mozambico e le milizie locali durante l’occupazione della città, durata fino al 1° novembre. Quel giorno, aggiunge l’ONG Helpo, si sono sentiti degli spari a Namacule. Lo Stato islamico ha rivendicato gli attacchi nel distretto di Muidumbe con un comunicato in cui si annuncia “l’occupazione” della città di Muidumbe e la sconfitta di un contingente di soldati mozambicani.

Il rapporto dell’ONG Helpo cita anche un altro evento che si è registrato nell’ultima settimana, questa volta a Pangane, nel distretto di Macomia. Più di 200 persone sono state rapite a Pangane, i genitori sono stati separati dai loro figli, che sono stati portati a Quiterajo. Il rapporta riferisce di una decapitazione e afferma che i locali sono stati costretti a partecipare a momenti di preghiera islamica di gruppo.

Invece, l’Agenzia Nova oggi riferisce, che Valige Tauabo, il Governatore della Provincia di Cabo Delgado ha negato le notizie di decapitazioni di massa da parte dei jihadisti islamici nella provincia, riportate – come abbiamo riferito prima – nei giorni scorsi da diversi media locali tra cui l’agenzia di stampa statale Aim, ripresi da BBC Africa, da Al Jazeera e da The Times, con le testimonianze del Vescovo di Pemba e le informazioni dell’ONG Helpo. Il Governatore di Cabo Delgado ha dichiarato che non ci sono state uccisioni recenti in nessun distretto della provincia, contrariamente a quanto riferito e che si è trattato solo di “incursioni di malfattori”, che sono state respinti dai militari. Tauabo ha aggiunto, che le ultime uccisioni note da parte dei jihadisti islamici sono avvenute lo scorso 6 aprile. In quell’occasione decapitarono oltre 50 giovani, che si erano rifiutati di unirsi ai loro ranghi.

[*] L’espressione araba “Allāhᵘ akbar” viene spesso e volentieri quasi esclusivamente associata all’estremismo islamico, perché viene pronunciata prima e durante degli attentati terroristici islamici. Quindi, che qualcuno abbia usato questa frase prima di un attentato viene considerato una garanzia del fatto che quell’attentato abbia motivazioni religiose. Cioè, è nata una sorta di automatismo: se sentiamo o sentiamo “Allāhᵘ akbar”, il primo pensiero che facciamo è rivolto di un attentato. Però, l’espressione che significa letteralmente “Dio è il più grande” non è esclusivamente legata al jihadismo e non è una specie di slogan esclusivo dei terroristi. Ha invece a che fare più generalmente con la religione ed è un’esclamazione di uso comune tra i musulmani.

“Allāhᵘ” è il nominativo di Allah, che vuol dire Dio. L’arabo classico segue le declinazioni come il latino: ci sono tre casi, nominativo, genitivo e accusativo. Il soggetto richiede la forma nominativa e la desinenza del nominativo viene indicata con il suono “u”.

“Akbar” non vuol dire semplicemente “grande”: è un’alterazione del grado positivo dell’aggettivo. “Akbar” è stato interpretato sia come un grado comparativo dell’aggettivo “grande” sia come un superlativo relativo: prevede cioè un termine di paragone, ma in entrambi casi le cose non tornano. Se si volesse dire “Allah è il più grande” sarebbe necessario, in arabo, l’articolo determinativo “al” prima di “akbar” che però non c’è. Dato che “al” non è presente sarebbe necessario esplicitare la comparazione: più grande, ma di che cosa? E questo qualche cosa dovrebbe seguire “akbar”.

L’interpretazione prevalente tra gli studiosi è dunque che l’intera frase sia ellittica. La traduzione risulta più problematica. “Dio è grande” potrebbe funzionare, ma non tiene conto del significato comparativo o superlativo che esprime la forma araba. Dire “Dio è più grande” lascerebbe in sospeso la domanda: “più grande di che cosa?”. Una buona soluzione, dunque, è dire “Dio è il più grande”.

L’espressione araba “Allāhᵘ akbar” – contenuta in un verso del Corano in cui si dice di magnificare Dio – è un “takbīr” (in arabo indica un’espressione generica della religione islamica, simile a quelle frasi ricorrenti presenti in altre religioni tipo “Dio Padre onnipotente” o “Lodate Dio”, cioè è un nome derivato che indica colui che compie un’azione, in questo preciso caso quella di essere il più grande) ed è una forma abbreviata della frase “Akbar min kulli shay” che vuol dire “Allah è più grande di ogni cosa”.

“Allah è il più grande”, per una religione monoteista come l’Islam, sta a significare che al di sopra di Dio non può esserci niente. Viene usata come invocazione per riconoscere i propri limiti di fronte a Dio, viene pronunciata dal muezzin per invitare alla preghiera, dai fedeli all’inizio delle preghiere, nelle cerimonie del pellegrinaggio, all’inizio dei riti religiosi. In generale viene usata dai musulmani in qualunque momento della loro vita per esprimere differenti sentimenti e anche come esclamazione per le situazioni più quotidiane.

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