Un altro calcio è possibile, alla ricerca del Paradiso Perduto. Con Ratzinger e Mondonico

“Si dovrebbe stilare un vocabolario degli allenatori. Sarebbe divertente”. Emiliano Mondonico, a bordo campo, sorride quando sente uno della panchina avversaria urlare ad un suo giocatore “non essere lezioso”. Lui, l’allenatore del record di cinque promozioni con quattro squadre diverse, l’uomo finale di Coppa Uefa del 1992 persa dal suo Torino contro l’Ajax pur rimanendo imbattuto sul campo, ha un solo posto fisso. Quello di allenatore della squadra de L’Approdo, centro di recupero dalle dipendenze (dalla droga, dall’alcool, persino da Facebook) del suo paese, Rivolta d’Adda. Ma per un giorno, si è seduto in via straordinaria sulla panchina della squadra della Guardia di Finanza, per il quadrangolare “Un altro calcio è possibile”, manifestazione giunta alla terza edizione.
A sfidarsi sul rettangolo di gioco, una selezione di sacerdoti e seminaristi Top C.U.P. (Collegi e Università Pontificie); la Gendarmeria Vaticana; l’Esercito Italiano e appunto la Guardia di Finanza. Allenatori d’eccezione Felice Pulici, Fernando Orsi, Delio Rossi ed Emiliano Mondonico. Per la cronaca, ha vinto il mini torneo la squdra dell’Esercito, battendo in finale la Guardia di Finanza di Mondonico per 1-0. Cucchiaio di legno alla Top C.U.P., mentre terza è arrivata la Gendarmeria Vaticana.
Emiliano Mondonico guarda a bordo campo la sua squadra giocare. Dà consigli. È un uomo profondamente innamorato di calcio. E ha già vinto una partita difficilissima: quella con un tumore al fegato, che lo ha costretto a lasciare per qualche tempo il professionismo per curarsi. Ma non ha mai lasciato, nemmeno durante la parentesi in cui è stato allenatore a Novara, il campetto di calcio con i ragazzi de L’Approdo.
“Sono partito quasi dieci anni fa – racconta il tecnico -, con ragazzi che non sapevano fare a meno di droghe o alcolici. Il dottor Giorgio Cerizza, psichiatra, riteneva inutile togliere l’eroina dando semplicemente il metadone. Voleva che reagissero, anche a livello corporeo. L’esercizio fisico unito all’appartenza al gruppo è un valido aiuto”. Comincia così a calcare i campetti de L’Approdo, una volta a settimana. Gruppi di trenta ragazzi che si alternano ogni tre settimane, perché tanto dura il day hospital. “La terapia è durissima – dice Mondonico – le ultime dipendenze che arrivano sono quelle da Facebook. Ragazzi che stanno al computer 22 ore su 24, che arrivano devastati nel fisico. La prima regola è quella di non accendere il computer per sei mesi. E poi, le dipendenze da alcool, le più difficili. Perché basta che dopo dieci anni bevi un solo bicchiere e sei di nuovo nel tunnel”. Mondonico fotografa la realtà con amarezza. “Prima – dice – quando uno si drogava, si vedeva. Lo notavi, devastato dall’eroina, invecchiato di dieci anni. E tutti sapevano, e anche lui lo sapeva, che era stata attuata una autodistruzione. Oggi no. Ci sono quelle droghe sintetiche che ti drogano e ti fanno credere che non sei drogato. Sono le peggiori. Come lavorare sulla consapevolezza? Come far capire alle persone che si stanno rovinando la vita, che anche se quelle droghe sembrano non bruciare il cervello, lo stanno facendo già?”
Nel frattempo, sul campo di calcio, la Guardia di Finanza, sta battendo la Gendarmeria Vaticana nella semifinale del torneo. 1 a 0, palla al centro. E poi, una clamorosa occasione mancata per i ragazzi del Mondo. Il quale si gira, guarda, commenta: “Quando sei lì, mica tiri. Punti il portiere. Così o è gol o è rigore”. Poi riprende a parlare. E si appassiona.
“C’è un solo altro centro in Italia, oltre L’Approdo, che fa recupero delle dipendenze attraverso lo sport, ed è in Basilicata. Quattro anni fa siamo stati invitati là, per un torneo organizzato per spiegare l’introduzione dell’allenamento con il pallone nel periodo di degenza. Vincemmo il quadrangolare contro il centro lucano, una squadra di politici e l’altra di sacerdoti: in semifinale battemmo i preti, poi giocammo assieme, estrapolando il meglio dei due gruppi. Furono giorni bellissimi, proficui”.
Lo racconta anche ai suoi giocatori, prima della partita. Tutti vogliono fare una foto con lui, molti chiedono dei consigli. In conferenza stampa, confessa: “Un altro calcio esiste quando dei papà insegnano ai figli a giocare a calcio, non per farli diventare dei campioni. Un altro calcio esiste quando aiuta a superare le dipendenze da alcol, droga o internet. Il calcio ha aiutato anche me a superare momenti difficili, senza il calcio oggi non sarei qui”.
Il riferimento è alla malattia, al tumore che lo ha strappato lontano dai campi di gioco per un po’. Ma Mondonico un campo ce lo ha sempre, lì, all’Approdo. “Un giorno – racconta – uno dei nostri ragazzi aveva un’udienza per un processo. Noi ci alleniamo sempre dalle dieci in poi, in genere il lunedì. L’udienza era prevista per le otto e trenta. Il giudice tarda una mezzora, ma dopo un quarto d’ora il ragazzo si alza. ‘Giudice – dice – io non posso proseguire, mi devo andare ad allenare con Mondonico’. E il giudice che fa? Gli dice di andare, che si sarebbero messi d’accordo per un’altra udienza”. Quando lo racconta, a Mondonico brillano gli occhi.
Nel frattempo, la Gendarmeria Vaticana ha segnato un gol nella finalina per il terzo posto con la selezione Top C.U.P. Mondonico fa qualche commento tecnico veloce. Ma quale è stata la squadra con cui si è divertito di più? “Non ci si diverte – afferma – quando si tratta di un lavoro. È vero che de Coubertin aveva detto che l’importante è partecipare, ma lui era un organizzatore, voleva che alle sue Olimpiadi partecipassero più persone possibili. Ma non vi fate fregare. Se si fa sport agonistico, si vuole sempre vincere. Ma si deve entrare nella mentalità che si vince solo se si migliora. Se dopo una competizione ho migliorato un po’, anche come uomo, allora ho vinto. Non serve per forza avere una medaglia al petto. Si deve solo essere sicuri di avere dato tutto il possibile”.
In fondo anche Giampiero Boniperti, indimenticabile presidente della Juventus, che da calciatore è stato l’unico a segnare in azzurro in tre decenni differenti (anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta) ha sostenuto che “vincere non è importante. È l’unica cosa che conta”. A de Coubertin dice di non credere nemmeno Delio Rossi, allenatore della squadra dell’Esercito ed ex allenatore di Palermo, Lazio e Fiorentina, che batte in semini finale la selezione Top C.U.P. Il quale sottolinea: “C’è una altro modo di giocare a calcio rispetto a quello che di solito ci viene mostrato. Nel professionismo devono esserci delle regole certe e condivise anche se molti cercano di eluderle. Noi dobbiamo dare l’esempio, cercando di essere credibili ogni giorno”.
Lo spiega Mondonico ai suoi ragazzi de L’approdo. “E’ bruttissimo quando li vedi tornare – dice – perché sai che un nuovo percorso è iniziato, e per loro è durissima, devono superare un fallimento. E allora li devi in qualche modo spronare, ma devi anche saper loro dare una disciplina. Che poi è quello che serve perché riescano ad uscire dalla loro dipendenza, perché riescano ad essere se stessi”.
E che lo sport fosse una terapia efficace per tutti lo scriveva anche Joseph Ratzinger, quando era giovane arcivescovo di Monaco, in un testo del 1977 che poi è stato tradotto e inserito nel volume “Cercate le cose di lassù”. Ratzinger va oltre la spiegazione del panem et circenses, il pane e il circo che sarebbero i contenuti vitali di una società decadente. Spiegazione, per Ratzinger, “non sufficiente”, perché è il gioco che “assume la stessa importanza del pane” e dunque il gioco, azione completamente libera, è “una sorta di tentato ritorno al paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello”.
Schiavi, i ragazzi di Mondonico lo sono. “Sono dipendenti, ma non sanno di esserlo. Si sentono forti. Mi è capitato di avere tra i miei ragazzi un omone, un bullo che creava grandi problemi, picchiava tutti in campo, e picchiava duro, senza disciplina. A un certo punto prendo il pallone e gli dico: ‘In campo si fa come dico io, perché io sto qui per voi, mica per me’. Lui si avvicina, enorme. Mi arriva con il muso davanti al muso. Io mi dico che è fatta, che mi picchia, e che nessuno ci può fare niente. E invece mi dice solo: ‘Scusi mister’”.
Magari è perché, come scriveva Ratzinger nel 1977, il calcio da una parte “costringe l’uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere, con l’allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza la superiorità e con la superiorità la libertà”. Ma inoltre “insegna soprattutto un disciplinato affiatamento”, costringe “l’inserimento del singolo nella squadra”. Ma qualunque spiegazione, aggiunge Ratzinger, è nulla rispetto “all’aspetto positivo che è alla base del gioco: l’esercitazione della vita e il superamento della vita in direzione del Paradiso Perduto”.
E “Paradiso perduto” è proprio quella vita normale di quanti sono caduti in una qualsivoglia dipendenza. Ma il Mondo la prende ancora più alla larga, racconta dei ragazzini amici del suo nipotino, guarda all’educazione in generale, alla scuola che non fornisce più modelli di vita. E parla delle parrocchie, degli oratori che per quelli della sua generazione sono stati delle scuole di vita. “Un parroco – dice – fa moltissimo. Ancora oggi c’è un oratorio dove ogni tanto vado, e l’ho visto trasformare da quando c’è questo nuovo parroco. Pieno di ragazzi, pieno di vita. Era lì che ci formavano, e ci formavamo anche allo sport. Oggi si mandano i ragazzi a giocare nelle scuole calcio. Una, due volte a settimana, e pensano di avere in campo i futuri campioni. Si perde il senso del gioco, l’amore per lo sport. Una volta che allenavo una squadra di ragazzini, mi ritrovai con una serie di genitori molto esigenti con i figli. Gli ho detto di venire in campo, di fare anche loro quello che facevano i ragazzi. Il loro punto di vista è cambiato completamente, hanno capito che anche il gioco non è così scontato”.
Nemmeno la vita è una cosa scontata. E il gioco – sempre usando le parole di Joseph Ratzinger – “va oltre la vita quotidiana”. Nel frattempo c’è la finale. L’Esercito affronta la Guardia di Finanza, e la partita si risolve in un 1-0 in favore dell’Esercito, che vince il torneo per la seconda volta di fila.
E dopo aver sentito parlare Mondonico, ci si chiede perché le società di calcio non si impegnano a creare e finanziare strutture per il recupero dalle dipendenze, se non rientri anche questo nei loro valori etici. Mondonico afferma che “ci sarebbe bisogno di volti noti”, e che i centri che fanno recupero delle dipendenze attraverso lo sport sono solo due in Italia. “E i centri di recupero di dipendenze in genere – afferma – sono quasi tutti gestiti da sacerdoti”. È tempo forse anche per le società sportive di prendersi in carico il problema, anche economicamente. Sarebbe un modo per far fruttare un po’ dei profitti per il bene comune, e per permettere a più uomini possibili di vincere la loro partita con la vita.
“Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!”, scriveva San Paolo. È un’esortazione per i cristiani. È un esortazione per tutti.