Numeri ufficiali Covid-19 del 6 novembre 2020. La guerra (e i segreti di Pulcinella) dei colori. Perché la Campania è (solo) zona gialla? Ricciardi, situazione ospedali drammatica, anche tragica

La fotografia choc pubblicata nei giorni scorsi da Pietro Izzo su Instagram, che ritrae decine di ambulanze incolonnate. Una foto che in molti hanno pensato fosse un “fake” ma che purtroppo è vera. Le ambulanze incolonnate trasportano pazienti colpiti dal coronavirus cinese di Wuhan, dagli ospedali ordinari agli ospedali Covid.19. Precisamente si tratta di un trasferimento di malati Covid-19 dal Mauriziano di Torino all’ospedale Covid-19 di Tortona. Un’immagine che, come quella dei carri armati di Bergamo la scorsa primavera, è diventata simbolo di una realtà che inizia a far di nuovo paura.
Ringraziando i nostri lettori e sostenitori, ricordiamo che è possibile inviare comunicazione presso l’indirizzo di posta elettronica del “Blog dell’Editore”: QUI.
I dati Covid-19 ufficiali del Ministero della salute di oggi venerdì 6 novembre 2020
In isolamento domiciliare: 472.598 (+25.897) (+5,80%)
Ricoverati con sintomi: 24.005 (+749) (+3,22%)
In terapia intensiva: 2.515 (+124) (+5,19%)
Deceduti: 40.638 (+446) (+1,11%)

Il sistema “Tutor” per verificare il “trend” dell’epidemia
Media giornaliera dei decessi: 156 (+1)
Il valore è al livello tra il 21 e 20 marzo 2020 (dal 30 settembre).
Lo ripetiamo per l’ennesima volta: non siamo in una fantomatica “seconda ondata”, ma siamo alla presa con una recrudescenza di quella che è sempre la “prima ondata”.

Tabella con i decessi al giorno, il totale dei decessi e la media giornaliera dei decessi [A cura dello Staff del “Blog dell’Editore”]: QUI.
Il punto della situazione
Viste le molte polemiche legate al valore dell’indice Rt, Lab24 è tornato sull’argomento chiarendo due punti in particolare.
1) La soglia di 1.50 indicata come limite massimo nelle tre fasce di rischio è, da un punto di vista epidemiologico, più che “generosa”. Angela Merkel, che oltre a essere una donna politica è una scienziata (laureata in Fisica, ha lavorato per anni all’Accademia delle Scienze di Berlino) ha ribadito pochi giorni fa che un Rt di 1.3 – 1.4 è insostenibile. È il valore mediamente espresso dall’influenza stagionale, che ogni anno genera in Italia circa 8 milioni di contagi: il numero dei casi, al momento di picco, è vicino a quota 800.000 in una settimana. Un picco di questo tipo con il Sars-CoV-2, applicando i valori finora espressi, porterebbe a 40.000 ricoveri e 4.000 terapie intensive in una sola settimana. Sopra 1.5 l’allarme è sempre altissimo: a nulla serve cercare distinzioni basate sui decimali, perché il risultato finale è il tracollo del sistema sanitario.
2) I metodi tradizionali per il calcolo di Rt tengono conto di molti parametri, tra i quali il tempo che intercorre tra l’infezione nel primo soggetto e la comparsa dei sintomi in quelli da lui contagiati: per questo motivo il valore si riferisce a qualche giorno prima rispetto al momento del calcolo. Parlare di dati “vecchi” è non solo improprio, ma anche scorretto da un punto di vista scientifico: il ritardo temporale è una caratteristica obbligata per tutte le metodiche utilizzate. L’unico modo a nostra conoscenza per ottenere un Rt in tempo reale (ne abbiamo parlato più volte negli scorsi mesi) è utilizzare il metodo semplificato Kohlberg – Neyman (Harward Business School e Hebrew University of Jerusalem) messo a punto nel corso della pandemia. Pur con molte limitazioni, arriva a valori compatibili con quelli delle metodiche tradizionali. Lo abbiamo applicato alle Regioni più “discusse”, calcolando l’Rt alla data del 5 novembre (base dati, Iss). Calabria: 1.77: Campania: 1.92; Lombardia: 1.99; Piemonte: 1.69. Valori, ripetiamo, calcolati con una metodica innovativa, semplificata e diversa da quella ufficiale, ma più volte utilizzata con successo nel corso della Primavera (Fonte Lab24/Il Sole 24 Ore).
10 regioni sforano soglia critica ricoveri Covid
Per le terapie intensive il valore considerato ‘di sicurezza’ del 30% è superato da 10 regioni, ma il valore nazionale resta fermo al 31%: Emilia Romagna (31%), Liguria (37%), Lombardia (49%), Marche (37%), Piemonte (46%), Bolzano (55%), Trento (33%), Toscana (41%), Umbria (51%), Valle d’Aosta (43%); mentre la Puglia è al limite, col 30% delle terapie intensive occupate da pazienti Covid (Fonte SkyTG24).
Ricciardi, situazione ospedali drammatica, anche tragica
“La situazione degli ospedali è drammatica più o meno in tutta Italia, in certi casi è addirittura tragica. Non riusciamo più a ricoverare i pazienti, quelli che arrivano in ospedale sono un’altra volta quelli gravi o gravissimi e molti devono restare a casa”. Lo ha detto Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, durante Un giorno da pecora su Rai Radio Uno, specificando che “con la capacità di posti letto che abbiamo riusciamo ad assorbire solo pazienti Covid mentre tutti gli altri con altre patologie non riusciamo a curarli o li curiamo male, quindi il sistema va al collasso” (Fonte SkyTG24).

Ricciardi: “A Napoli ci vorrebbe un lockdown”
Così il consulente del ministro della Salute: “L’area metropolitana del capoluogo è un’area a rischio. Io già due o tre settimane fa avevo detto che andava chiusa. I dati sono addirittura peggiorati”. “La fascia gialla è comunque pericolosa. Faccio l’esempio di Napoli, che è all’interno di una regione gialla, la Campania. Io già 2-3 settimane fa avevo detto che andava chiusa. L’area metropolitana di Napoli è un’area a rischio. Se sono rimasto dell’idea che ci vorrebbe un lockdown a Napoli? Si, perché i dati sono addirittura peggiorati”. Lo dice a Rai Radio1 Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute (Fonte SkyTG24).
Esclusivo
Perché non hanno chiuso la Campania? “Avrebbero dato fuoco alla Regione”
Dirigente Regione spiega perché il Governo non ha chiuso. “Se ‘chiudi’ milioni di persone devi trovare i soldi per farli campare. Altrimenti…”
di Antonio Amorosi
Affaritaliani.it, 6 novembre 2020
“Il Governo non riceve i dati e noi restiamo zona gialla”, spiega un dirigente campano ad Affaritaliani, “si sta aperti per evitare che i danni siano peggiori. Ognuno è scontento ma tutti sono accontentati. Meglio non muovere quello che non si saprebbe gestire”.
È concitato e al tempo stesso preoccupato e nervoso Alessandro S. (il nome è modificato per ovvi motivi), dirigente locale d’esperienza ma non possiamo aggiungere di più. “Mi stai costringendo a fare una cosa che non dovrei fare…”, attacca, “lo Stato non ha i miliardi… se non paghi chi è chiuso… che non sa di che campare… abbiamo già visto che succede. E il governatore è tornato sui suoi passi”.
Quindi la mancata attribuzione della zona rossa alla Campania da parte del Governo non è dovuta ad un problema di dati mancanti, non comunicati o di algoritmi…?
“Ci credete solo voi a queste cose. Chiedetevi perché non c’è un virologo nel Comitato tecnico scientifico a Roma. Ci sono decine di persone, c’è di tutto, grandi esperti di ogni settore ma non un virologo (ride nervoso, ndr)”.
Perché?
“Perché è la logica con la quale vedi in tv sempre le stesse facce. Sono giri ristretti, ci si conosce, ci si stima: si invita chi accetti e fa parte della tua… Bisogna chiederlo al governo perché con la pandemia da un virus non ci sia un virologo nel Cts”.
Torniamo alla Campania. Lei dice che la mancata chiusura della regione, tra l’altro chiesta dal governatore De Luca, non è dovuta all’assenza di alcuni dati non comunicati dall’ente locale al Governo, come ipotizzato in queste ore da alcuni giornali, ma ad altri fattori…
“Ripeto: alla mancata comunicazione di dati ci credete solo voi giornalisti. Non siamo il terzo mondo. Se alcuni dati non arrivano c’è un feedback tra le parti, siamo in costante contatto e visto anche l’allarme lanciato da mesi dal governatore… qualcuno delle domande se le dovrebbe porre”.
Certo…
“Il governatore vuole la chiusura ma chiede anche il denaro per tenere milioni di persone in casa. Non so se ha visto cosa è successo a Napoli al primo coprifuoco!?”.
Abbiamo visto!
“Si è minimizzato dicendo che sono dei facinorosi organizzati da chissà chi, che siamo folcloristici. Mò è tornato Masaniello! Ma io cosa dico a milioni di persone che devono chiudere le attività e non possono più campare? A migliaia che ci lavorano o sono ‘in nero’ o campano di sotterfugi? C’è gente che vive alla giornata e sono migliaia e migliaia. Se chiudi e basta a Napoli c’è la sommossa popolare! Fuori da Napoli non ci si rende conto che la città è una polveriera…”
Ci spieghi lei come…
“I cassonetti incendiati non sono nulla. Lo abbiamo appena visto e chi si intende di queste cose lo sa. In piazza si sarebbe saldata quell’onda di piccoli esercenti, ambulanti, disoccupati, ragazzi senza lavoro, sbandati, gente da stadio, rivoltosi di professione e chi ne ha più ne metta con la criminalità organizzata a tirare le fila. Avremmo saldato una miscela incendiaria esplosiva. Migliaia di persone vivono alla giornata in città. E non siamo molli, ci sono tanti giovani. E non siamo neanche Milano, dove la gente alla fin fine se ne sta a casa, protesta un po’ ma poi non fa nulla”.
È un contesto economico molto diverso…
“Le persone non hanno risparmi da parte. Non può chiudersi in casa a guardare la televisione perché in casa poi non c’è altro. A Napoli deve per forza scendere in strada e trovare un’alternativa ma se non puoi girare che fai?…
Che fai?
“Questi in piazza avrebbero dato fuoco alla Regione o almeno vorrebbero farlo. Io ci parlo con le persone, chi sta per strada. Come li fermi? Con la polizia che spara? Siamo a questo? Noi in Regione siamo molto preoccupati sa…”.
Quindi?
“Forse non ci si rende conto che in questo modo diamo in mano alla criminalità organizzata un’intera generazione e allora…”
Che si fa? Vista anche la condizione non buona, è un eufemismo, degli ospedali campani?
“Se per contenere il virus la strada scelta è la chiusura bisogna trarne le conseguenze. Lo Stato non ha i miliardi da distribuire a pioggia. Ma se non paghi chi è chiuso… che non sa di che campare… abbiamo già visto che succede. A Napoli quando il governatore ha chiuso c’è stato il finimondo. L’ha detto poi chiaramente lui stesso, De Luca, giorni dopo. Senza rimborsi non si può chiudere. Quindi una mano lava l’altra: ‘il Governo non riceve i dati e noi restiamo zona gialla’. Si sta aperti per evitare che i danni siano peggiori. Ognuno è scontento ma tutti sono accontentati. Meglio non muovere quello che non si saprebbe gestire”.
Il quadro però potrebbe anche peggiorare…
“Può essere. Stiamo mettendo in piedi altre strutture d’emergenza. Sappiamo, ed è una valvola di sfogo, che possiamo mandare i malati più gravi nelle altre regioni… finché sarà possibile… e tante cure stanno funzionando. Il problema sono i numeri di chi chiede assistenza: troppo alti. Ci facciamo il segno della croce”.

La conferenza stampa di De Luca
È iniziata alle 14.45 la diretta Facebook del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, con gli aggiornamenti sulla situazione Covid-19 nella regione. “Per quasi due mesi la Campania ha subito un attacco mediatico. Napoli e la Campania non possono essere considerati un’eccellenza. Mi spiace ma non è andata così”, ha esordito il Governatore De Luca durante la diretta. “Facciamo un punto estremamente dettagliato su tutti i dati relativi alla diffusione del contagio, spiegando, numeri alla mano, il quadro della situazione che ha determinato le ultime decisioni e quelle che ci apprestiamo a prendere nei prossimi giorni”.

C’è ancora qualcuno che ha il coraggio di dire che andrà tutto bene?
“Non si può far morire un neonato per un tampone che non arriva”
Sta per partorire, aspetta 6 ore per un tampone e perde il bambino: “È una tragedia ma non chiamateci violenti”
di Rossella Grasso
Il Riformista, 6 novembre 2020
“Nessuno può ridare questo piccolo indietro, nessuno ci starà vicini, voglio che il mio grido di dolore lo sentano tutti perché non si può far morire un neonato per un tampone che non arriva”. Valentina Polverino è disperata per la prematura morte di suo nipote. Il suo cuore ha cessato di battere prima di vedere la luce. Secondo una prima ricostruzione dei medici e dei familiari di Maria, una 20enne di Napoli, residente nel quartiere di Pianura, la ragazza sarebbe arrivata alla clinica privata Sanatrix, nel quartiere Vomero, intorno alle 12 in preda a forti dolori. Ma per poter accedere alla sala operatoria e partorire bisognava aspettare l’esito del tampone per verificare che la donna fosse negativa al coronavirus. “Dalle 12 che aspettavamo il risultato è arrivato solo alle 18, ma ormai era troppo tardi e il bambino è morto”, ha detto Valentina.
Adesso la famiglia chiede a gran voce di fare chiarezza e giustizia, ma soprattutto dignità e rispetto per il loro grande dolore. Quando si è sparsa la notizia della morte del bambino, è circolata anche la voce che i familiari avessero distrutto la clinica. “Tante testate giornalistiche dicono che abbiamo sfasciato tutto e aggredito le forze dell’ordine. Sfido chiunque ad avere questa notizia in un giorno che doveva essere di gioia. Posso assicurare che nonostante la drammatica notizia, non abbiamo sfasciato e aggredito nessuno e ci sono video che lo testimoniano”.
Valentina ricostruisce le concitate ore che hanno portato alla tragedia. “Maria e mio fratello hanno 20 e 22 anni, quello che sarebbe dovuto nascere era il loro primogenito. Il 5 novembre alle 11 e 45, ci arriva la telefonata della suocera di Maria che avverte tutta la famiglia di andare in clinica perché mia cognata aveva i dolori pre parto. Siamo andati tutti alla clinica e come da prassi non ci hanno fatto entrare a causa del coronavirus. L’unico modo per accedere e stare un solo giorno vicino mia cognata era pagare 280 euro, più 100 il tampone per tre giorni consecutivi”.
“Abbiamo aspettato fuori alla clinica in ansia perché mia cognata ha dei problemi cardiaci – continua il racconto Valentina – Ogni ora chiamavamo il nostro ginecologo, il dottor Festa, che ha seguito Maria per tutta la gravidanza. Verso ora di pranzo ci ha detto che a Maria era salita la febbre a 40, aveva delle coliche e c’erano delle complicazioni per cui bisognava operarla subito. Ma il risultato del tampone non arrivava per cui bisognava aspettare. Intanto mia cognata era monitorata”.
“A questo punto l’unica cosa da attendere era la risposta del tampone – continua il racconto – se era negativo si procedeva al cesareo, se fosse stato positivo bisognava trasferire Maria in un ospedale. Intanto mia cognata soffriva, ma fino a un’ora prima del parto era monitorata e il battito del piccolo c’era. Il ginecologo ha insistito che doveva operare subito perché la ragazza stava male. Ma il direttore della clinica ha detto di no perché bisognava per forza aspettare l’esito del tampone”.
È a questo punto che il racconto si fa drammatico: “Alle 18 e 15 ci dicono che Maria era negativa al coronavirus, la preparano per andare in sala parto, le staccano i monitoraggi, scendono giù, la fanno un’anestesia generale visto che era diventato urgente il cesareo. Ma mio nipote nasce morto. Il ginecologo è uscito piangendo e ci ha spiegato tutto, con un dolore al petto, si è messo dalla nostra parte. Ci ha detto chiaramente che se la operavano un’ora prima, mia cognata aveva il mio piccolo batuffolo tra le sue braccia!”.
In alcune dirette del giornalista Pino Grazioli fuori dalla clinica, si vedono i familiari molto agitati dopo aver avuto la notizia della morte del bambino, ma non si notano episodi di violenza. Sul posto intanto sono accorsi gli agenti della polizia che hanno raccolto anche la denuncia dei familiari. “Non abbiamo devastato la clinica come hanno detto in tanti – sottolinea Valentina – abbiamo addirittura allontanato mio fratello per evitare che per la rabbia potesse dire e fare cose sbagliate”.
Nei video si vede anche il ginecologo, Giovanni Festa, che esce dalla clinica per parlare con la famiglia di Maria. È costernato dall’accaduto, “queste cose non devono capitare”, dice. Parla con la famiglia e spiega loro che pur avendo seguito per 9 mesi la gravidanza della ragazza al momento del travaglio e delle complicazioni non ha potuto fare nulla perché doveva attendere il risultato del tampone che non arrivava, prima di poter portare la donna in sala operatoria. “Purtroppo esistono delle linee guide interne per la gestione del coronavirus e ho potuto solo aspettare”, ha detto con le lacrime agli occhi.
“Esiste la casualità ma bisogna capire bene cosa è successo perché queste persone devono avere giustizia – continua il medico – Dobbiamo aspettare l’autopsia per avere certezze sulla causa della morte del bambino. Certo è che la mamma era negativa al Covid. Se l’autopsia chiarirà che la morte del bambino è dovuta all’attesa parliamo di una morte che si poteva evitare”. Adesso Maria è in terapia intensiva all’Ospedale Pineta Grande di Castel Volturno e la famiglia attende di sapere come sta. “È una tragedia nella tragedia, ma non chiamateci persone violente”.

Coronavirus, folla in metro e attese infinita dei bus. Il nuovo dpcm manda in tilt il trasporto a Roma
Vetture stipate e banchine stracolme con l’entrata in vigore da questa mattina delle nuove regole anti Covid.” Come vado in ufficio con questi tempi di attesa così lunghi?” lamenta disperata una passeggera
di Laura Barbuscia
La Repubblica, 6 novembre 2020
Capienza ridotta e il sistema va subito in stress. Folla nella metro, sui bus e attese infinite alle fermate. Il trasporto pubblico romano, complice lo sciopero dei taxi fa subito i conti con le restrizioni che nei fatti si traducono in assembramenti obbligati per chi ai mezzi non può rinunciare: pendolari, studenti, lavoratori. Dalle prime ore, quando la capacità di autobus e treni è già in condizioni intollerabili il limite imposto al 50% viene superato.
Le foto parlano chiaro: bus stipati, nessun distanziamento e paline e tabelloni a raccontare dei tempi che si allungano. “L’autobus 980 arriverà tra 27 fermate, ovvero tra 50 minuti, segna il cartellone. Non arriverò mai al lavoro”, si sfoga un utente. Ressa alle 8,30 anche presso la fermata dei bus Via Boccea Urbano II, in direzione centro città.
A bordo dei mezzi la situazione è anche peggio: “Non c’è nessun distanziamento – constata Dana, una passeggera che viaggia sul bus 916, altezza Villa Carpegna – né tanto meno la capienza è ridotta”. “Come vado in ufficio con questi tempi di attesa così lunghi? – aggiunge ancora – Mi viene da pensare che questo è un modo per farci prendere la macchina. Sono disperata”.
Banchine stracolme anche nel sottosuolo capitolino presso la fermata Flaminio: “Atac rispetta così le nuove regole”, ironizza una pendolare. A questo si aggiungono poi i repentini guasti, ormai all’ordine del giorno. Stamattina la fermata metro A Ponte Lungo è rimasta per circa tre ore aperta solo in uscita. Non va meglio per chi si sposta sulla Roma Nord. Alle 9,30 già una decina le corse saltate. Le regole, intanto, parlano chiaro: a bordo di bus, filobus, tram e treni delle ferrovie regionali non si potrà occupare i posti a sedere di fronte ad altre persone. “La speranza è che qualcuno controlli davvero”.

Covid Lombardia, Fontana: “A Milano situazione come Bergamo a marzo”
SkyTg24, 6 novembre 2020
Milano oggi come Bergamo a marzo. È il paragone fatto dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, parlando della diffusione del Coronavirus. “Purtroppo la situazione che a marzo era concentrata su Bergamo adesso si è concentrata su Milano – ha spiegato il governatore su Rai Radio 1 -. E su Milano, che è una grande area urbana, la situazione è ancora grave come forse quella di marzo”.
Parlando dei trasporti pubblici secondo Fontana è stato “fatto tutto quello che si poteva fare”, ma “i trasporti non sono tutti di amministrazione regionale, alcuni sono di amministrazione cittadina e sono proprio quelli che creano maggiori preoccupazioni. Noi abbiamo fatto tutto quanto era possibile fare, ma non si possono aumentare le corse su una linea che è già coperta al 100%”. Poi ha aggiunto: “Abbiamo chiesto risorse per aiutare i comuni e sostituire alcune corse ferroviarie con corse su gomma – ha precisato – ma non le abbiamo avute, sono state stanziate ma non sono state date. Dal mese di maggio abbiamo chiesto di differenziare l’inizio delle attività lavorative e scolastiche e non è stato fatto niente”.
Per quanto riguarda la zona rossa Fontana ha precisato di non essere contrario a priori: “Io non ho detto che non volevo accettare la zona rossa, tutte le settimane si fanno valutazioni dei dati e io pretendevo che venisse fatta la valutazione anche di questa settimana. Poi se siamo in un momento drammatico, da zona rossa è giusto che si stia in zona rossa. Io – ha proseguito – voglio vedere i dati degli ultimi 10 giorni, non li ho visti e non li ho potuti esaminare. Li valuterei per vedere se ci sono stati dei miglioramenti che secondo me ci sono stati. L’elaborazione dei dati non la facciamo noi, la fa il Cts e non li hanno ancora valutati. Li hanno in mano da martedì e vengono convocati sabato mattina per valutarli. È questa la cosa di cui mi lamento. Avrei voluto almeno una risposta dall’elaborazione dei dati che sono nelle mani del Cts da martedì mattina, perché le Regioni li hanno consegnati martedì”.
Non sono i dati di un giorno che contano – ha sottolineato il presidente -, ma almeno quelli di una settimana. Io credo che si debba rispetto a chi ha fatto dei sacrifici negli ultimi 10 giorni. L’ordinanza della Regione Lombardia ha posto dei limiti ai nostri cittadini e credo che fosse doveroso tenerne conto. Poi io accetto ci si metta in zona rossa e che si applichino queste ulteriori restrizioni, ma pretendo che si valuti tutto quello che abbiamo fatto. Voglio poter dire ai miei cittadini, abbiamo fatto uno sforzo e non è bastato oppure grazie, è stato sufficiente”.
Sulle accuse alla Regione di non aver fatto abbastanza contro il virus Fontana ha risposto: “L’Ordine dei medici è sempre stato in posizione conflittuale nei confronti di tutte le decisioni che sono state prese della Regione. Ci sono tantissimi altri esperti e scienziati che invece la pensano in modo diametralmente opposto. Le scelte che abbiamo fatto le abbiamo prese sulla base dei consigli del nostro Cts, all’interno del quale peraltro c’è un rappresentate dell’Ordine dei medici di Milano. Quindi, per carità, è facile far polemica”, ha aggiunto Fontana.
“I rischi stanno riprendendo in tutta Italia e in tutte le Rsa – ha affermato Fontana -. Noi appena abbiamo visto che si stava alzando il livello di contagio abbiamo chiuso tutte le Rsa: nessuno può entrare, salvo situazione gravi. Questo purtroppo non toglie che a volte i dipendenti, involontariamente, portano il virus all’interno. Sul Pio albergo Trivulzio “si è fatta una polemica tremenda, poi è stata nominata la commissione ed è emerso un comportamento assolutamente corretto e legittimo. Il virus a volte si insinua in maniera subdola, se fosse così semplice bloccarlo lo avremmo già fatto in Italia e nel resto del mondo”.