Musica e diplomazia. Un concerto di Lorenzo Baldisseri, numero due della Congregazione dei vescovi
È stato un concerto speciale per il Papa, quello che si è tenuto nel 2007 nella Villa Pontificia di Castel Gandolfo. Al pianoforte, Lorenzo Baldisseri, al tempo nunzio apostolico in Brasile, oggi segretario della Congregazione dei Vescovi. Il quale non ha mai smesso di suonare, nemmeno quando viaggiava tra le nunziature di Haiti, in Paraguay, in India, in Nepal e, infine, in Brasile. “La musica – racconta – mi ha permesso di essere libero. Non avevo l’ambizione dell’incarico, non avevo solo la mia carriera da curare. Ho sempre suonato, almeno due ore, in serata. E questo mi permetteva anche di essere meno diplomatico. Anche perché in fondo io sono toscano. Mi piace dire quello che penso”.
Che sia una persona “vivace”, si nota da come Baldisseri mette le dita sul pianoforte, con uno stile a volte sincopato, ma sempre deciso. Suoni come colori che bruscamente cambiano. Uno stile che anche il Papa ha apprezzato. “Era il 2007 – racconta – e Benedetto XVI mi invita a suonare un concerto per lui a Castel Gandolfo. Ero prima invitato a cena, e poi invitato a suonare. Nella sala, il pianoforte Steinway che gli era stato appena regalato. Non ho avuto nemmeno il tempo di provarlo, e anche il Papa mi confidò di non averlo ancora mai provato. Ero abbastanza emozionato, dovevo prendere confidenza con lo strumento. Tutto è andato per il meglio”.
Anche nella Domus Sanctae Martae, dove Baldisseri vive da otto mesi in attesa di trovare migliore sistemazione, il numero due della Congregazione dei Vescovi si è fatto sistemare un pianoforte in un salottino, e lì ogni sera suona per due ore. Lo scorso 26 ottobre, alla fine del sinodo dei vescovi, ha tenuto per gli ospiti della casa un recital musicale, con un repertorio che spazia da Mozart a Debussy, da Chopin a Villa-Lobos (“una mia scoperta in Brasile”, dice Baldisseri). Un repertorio suonato rigorosamente a memoria.
Ma è dalla musica che si dipana la vita del vescovo Baldisseri. Voce bianca di talento, comincia a suonare il pianoforte in adolescenza, entra in conservatorio, e poi si ritrova a fare il diplomatico. Ma diplomazia e musica in fondo vanno d’accordo. Perché altrimenti si parlerebbe di “concerto delle nazioni” per parlare delle relazioni diplomatiche tra gli Stati? Perché sarebbe stata definita “giri di valzer” la diplomazia “ballerina” di alcune nazioni? E perché quando si va nella stessa direzione si dice che ci si mette d’accordo?
E “accordo si chiama” il risultato più importante della carriera diplomatica di Lorenzo Baldisseri, il “concordato” (non chiamato così, perché in Brasile evoca una procedura del contesto della procedura fallimentare) che regolamenta lo status giuridico della Chiesa cattolica, e che fa da modello per tutte le altre religioni. Un lavoro certosino, quello che ha fatto Baldisseri, che nella stesura dell’accordo ha avuto a che fare con diverse sensibilità, mettendo insieme le esigenze di 11 ministeri diversi della pachidermica amministrazione del Brasile.
Lo ha detto lo stesso Benedetto XVI, parlando a margine del concerto offertogli dalla West-East Divan Orchestra quest’anno, che “la musica unisce le persone, al di là di ogni divisione; perché la musica è armonia delle differenze, come avviene ogni volta che si inizia un concerto, con il ‘rito’ dell’accordatura. Dalla molteplicità dei timbri dei diversi strumenti, può uscire una sin-fonia. Ma questo non accade magicamente, né automaticamente!”
E anche intessere le relazioni con gli Stati, con le Chiese, con le religioni è creare sinfonie. Spesso la musica è stata usata come mezzo diplomatico. Si pensi alla diplomazia del jazz americana degli anni Cinquanta e Sessanta, che portava artisti come Louis Armstrong ad esibirsi ovunque oltreoceano. Ma la musica travalica le barriere. Il mito dei Beatles e dei Rolling Stones è andato oltre la Cortina di Ferro quando questa sembrava non dovesse cadere mai.
Lo sanno bene anche nella Chiesa ortodossa russa. Lì, il capo della diplomazia è Hilarion Alfeev. Un uomo dalle molteplici doti: tra i maggiori teologi ortodossi contemporanei, autore di decine di libri, patrologo e traduttore di testi patristici dal greco e dal siriaco. Ma soprattutto compositore. E quasi per caso, dopo aver abbandonato per lungo tempo la musica per la scelta radicale della vita “monastica”. Fino a che, nel 2006, va ad un festival di musica classica, e sente eseguire una sua composizione giovanile. È l’ispirazione per scrivere nuove melodie. Come la Divina Liturgia per coro misto, scritta in dieci giorni, durante un viaggio di lavoro. Poi, il Patriarca Kirill lo ha messo a capo del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. E ha detto: “Adesso il vescovo Hilarion deve scrivere una sola sinfonia. Quella della diplomazia ecclesiastica”.
Torniamo nella Domus Sanctae Martae. Al recital di Baldisseri c’è anche il cardinal Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi. Da oggi in poi i vescovi saranno scelti se sapranno suonare uno strumento? “Basta che sappiano suonare gli accordi della fede”, chiosa Ouellet.
E nel frattempo Baldisseri ha cominciato a toccare sul pianoforte alcune delle composizioni più tarde di Debussy, che hanno influenzato moltissimo il jazz. Trovandoci di fronte a un diplomatico, viene spontaneo pensare all’aforisma di Richard Holbrooke, rappresentante speciale per la Casa Bianca in Afghanistan e Pakistan: “Diplomacy and jazz are based on the same principle: improvisation on a theme” (la diplomazia e il jazz sono basati sullo stesso principio: improvvisare su un tema). Ma per improvvisare c’è bisogno perlomeno di suonare a partire dalla musica. Perché – e lo ha detto Benedetto XVI quando sette pianoforti antichi hanno suonato in concerto per lui – “La musica fa parte di tutte le culture e, potremmo dire, accompagna ogni esperienza umana, dal dolore al piacere, dall’odio all’amore, dalla tristezza alla gioia, dalla morte alla vita. Vediamo come, nel corso dei secoli e dei millenni, la musica è sempre stata utilizzata per dare forma a quello che non si riesce a fare con le parole, perché suscita emozioni altrimenti difficili da comunicare”.