Il reportage. Cina contro Italia

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“Fratello maggiore, ci vediamo alle cinque davanti alla fermata della metro”: a questo giro tocca all’amico Lai farmi conoscere i segreti della cucina cinese, anche se dopo mesi di permanenza in questo Paese pensavo di essere a posto. “NO! Oggi mangiamo la cucina dello “strumptuunen”. Così le mie orecchie poco abituate al cinese recepiscono il messaggio in cinese e alla cinese, ovvero detto velocissimamente e sputacchiando. Ci troviamo in un modesto ristorante davanti ad una banca e infilato tra due palazzi a sei piani.

Ambiente spartano, cameriere spartane, clienti spartani. “Sono contento che tu abbia accettato, ordino io per te, vero?”, dice Lai. Incastrato sul nascere, penso tra me e me. La mia mente non riesce a stare dietro alla conversazione tra lui e la cameriera considerato il loro cinese e il loro slang diverso da quello pechinese; tra le righe capisco però che siamo capitati nelle grinfie della cucina del sud della Cina, probabilmente quella del Guangdong, con piatti a base di pesce e meno unta rispetto al nord.

Sul tavolo arriva una bacinella di metallo, rotonda e bassa, dove all’interno galleggiano delle teste di pesce, lische, zenzero, spezie e una brodaglia color pomodoro. “Lo metto?”. La cameriera ritorna con una sottilissima simil focaccia, la rivolta dentro la bacinella che è già di per sé colma di roba. Non faccio in tempo a girarmi che un’altra cameriera porta un piattone di pollo e verdure saltate in padella, birra e riso in bianco dentro piccole tazze. “Questo è cibo che si mangia con gli amici, fai da solo, fai da solo”, mi spiega Lai, incitandomi a mangiare.

Il pesce in Cina è uno dei cibi maggiormente inquinati da sostanze tossiche, non è raro trovare notizie di avvelenamenti o di analisi rese pubbliche. Sto al gioco: “E’ buona”, commento. La simil focaccia inzuppata nel brodo è buona veramente, si rompe in un attimo, appena la tocchi con le bacchette e così è il mio turno per gesticolare come un vigile urbano. “Ahah, mi fai ridere!”, osserva Lai; ma non fa in tempo a finire la frase che mi cade un pezzo di focaccia nel brodo e gli schizzi vanno ovunque: sulle nostre facce, sulle maglie e sul tavolo vicino dove degli alticci cinesi mi guardano ancora più con disprezzo. “Scusate, scusate”, provo a dire, ma ormai il danno è fatto.

“Come si mangia il pesce?”, chiedo. Lai mi mostra un gioco di prestigio che consiste nel prendere la testa con le bacchette, togliere la pelle, mangiare gli occhi e le guance; naturalmente il mio risultato è diverso, ma lo spirito c’è, tanto più che il pesce va accompagnato con il pollo e il riso e in bocca si forma un pastone che solo la birra riesce a mandare giù.

“Quello è ginger, non si mangia” ammonisce Lai, dopo che me ne infilo in bocca un pezzo continuando a farmi prendere in giro dai vicini di tavolo sempre più alticci. In un paese dove conta “salvare la faccia” faccio finta di niente e la cena procede con il solito gesticolare delle bacchette, bicchieri di birra in stile gambei (ricordiamo, il nostro “alla salute” o alla goccia) e conversazioni in cinglish. Il galateo cinese vuole che quando si mangia, si mangia: ovvero, zitti e con la bocca piena, pausa di conversazione – di solito per fare critiche sul piatto e gambei – per poi ricominciare da capo. E’ questione di mentalità e ci si fa presto l’abitudine. “Hai ancora fame?”, domanda Lai. E mi spiega che se un amico ti invita a cena è un suo compito riempirti la pancia il più possibile. “E’ stato bello, ci vediamo presto!”. Finita la cena il “caro” amico Lai mi saluta.

Le altre puntate della serie:
Cina: ”Alla salute, Gambei!”
Cina, maiale più tetto uguale casa
La Cina vista da un alieno

Per saperne di più:
notodoze.blogspot.com

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