Anno della Fede:il simbolo niceno-costantinopolitano
Il secondo concilio ecumenico della storia della Chiesa, il Costantinopolitano I, fu convocato nel 381 dall’imperatore Teodosio per risolvere un’importante controversia riguardante la terza Persona della SS. Trinità. Una nuova eresia, infatti, negava la divinità dello Spirito Santo, considerato inferiore rispetto al Padre e al Figlio. I Macedoniani (seguaci del vescovo Macedonio di Costantinopoli), furono i principali assertori di questa errata dottrina; essi affermavano “che lo Spirito Santo è stato fatto mediante il Figlio e che egli è simile alla sostanza di Dio ma non della stessa sostanza” (DS 152-153), in tal modo escludevano la terza Persona della Trinità dalla partecipazione all’unica sostanza divina.
Le eresie contro lo Spirito Santo insidiavano la Rivelazione e l’ortodossia della fede cattolica, bisognava pertanto intervenire per proteggere il dato biblico e chiarire l’identità della terza Persona della Trinità. A difesa della retta fede si schierarono Basilio il Grande (330-379), Gregorio di Nazianzo (330-390) e Gregorio di Nissa (335-394) che – oltre a chiarire alcuni termini teologici proposti già a Nicea – diedero vita ad una nuova formula trinitaria: “una sostanza, tre persone”. Si affermava così che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo possiedono indivisa un’unica natura divina; sono uguali nella sostanza divina. Una sostanza unica, indivisibile e immutabile la cui origine risiede nel Padre. “Il Padre – asseriva Gregorio di Nazianzo – è il fondamento dell’unità, dal quale e verso il quale, si contano le altre persone”; le tre persone della Trinità sono dunque “consustanziali”, tre persone di uguale natura che si distinguono però l’una dall’altra: il Padre è l’ingenerato, il Figlio è generato, lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio.
Nel 381 si radunò il Concilio Costantinopolitano I, a cui presero parte 150 padri, per riaffermare la retta dottrina della fede cristiana, gli esiti del concilio precedente svoltosi a Nicea e condannare le eresie macedoniane, affermando la consustanzialità dello Spirito Santo.
Venne inoltre definito il simbolo niceno-costantinopolitano (utilizzato oggi nella liturgia cristiana) con la seguente precisazione: “Crediamo anche nello Spirito Santo, che è signore e dà vita, che procede dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e glorificato, ed ha parlato per mezzo dei Profeti”.
Queste parole ripetute nel «Credo» da tante generazioni cristiane – affermava Papa Giovanni Paolo II, nel marzo 1981, in occasione del 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I – ci ricordano i vincoli profondi che legano la Chiesa del nostro tempo a quella del quarto secolo, nell’unica continuità delle sue prime origini, e nella fedeltà all’insegnamento del Vangelo e alla predicazione apostolica.
L’insegnamento del secondo Concilio ecumenico è tutt’ora l’espressione dell’unica fede comune della Chiesa e di tutto il cristianesimo, “noi ringraziamo Dio – precisava ancora il Pontefice – per la Verità del Signore, che, grazie all’insegnamento di quel Concilio, illumina le vie della nostra fede, e le vie della vita in virtù della fede. In questa ricorrenza si tratta non soltanto di ricordare una formula di fede, che è in vigore da sedici secoli nella Chiesa, ma al tempo stesso di rendere sempre più presente al nostro spirito, nella riflessione, nella preghiera, nel contributo della spiritualità e della teologia, quella forza personale divina che da la vita, quel Dono ipostatico – «Dominum et Vivifcantem» – quella Terza Persona della Santissima Trinità che in questa fede viene partecipata dalle singole anime e dalla Chiesa tutta. Lo Spirito Santo continua a vivificare la Chiesa, e a spingerla sulle vie della santità e dell’amore”.
I centocinquanta padri conciliari, attribuendo allo Spirito Santo la caratteristica dell’essere “Signore e datore di vita” (Dominum et Vivifcantem), così come recitiamo nel Credo, vollero sottolineare la signoria della terza Persona della Trinità e la sua azione creatrice. A tal proposito Papa Benedetto XVI, nel mese di maggio 2009, con autorevole eloquenza teologica ebbe a dire: “Lo Spirito Santo, che con il Padre e il Figlio ha creato l’universo, che ha guidato la storia del popolo d’Israele e ha parlato per mezzo dei profeti, che nella pienezza dei tempi ha cooperato alla nostra redenzione, a Pentecoste è disceso sulla Chiesa nascente e l’ha resa missionaria, inviandola ad annunciare a tutti i popoli la vittoria dell’amore divino sul peccato e sulla morte. Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Senza di Lui a che cosa essa si ridurrebbe? Sarebbe certamente un grande movimento storico, una complessa e solida istituzione sociale, forse una sorta di agenzia umanitaria. Ed in verità è così che la ritengono quanti la considerano al di fuori di un’ottica di fede. In realtà, però, nella sua vera natura e anche nella sua più autentica presenza storica, la Chiesa è incessantemente plasmata e guidata dallo Spirito del suo Signore. E’ un corpo vivo, la cui vitalità è appunto frutto dell’invisibile Spirito divino”.