Gabriele da oggi detenuto in Vaticano, per avere la grazia serve la richiesta di perdono e il ravvedimento

Per ora Paolo Gabriele sconta la pena nella cella nella caserma della Gendarmeria che è stata allestita nei mesi scorsi proprio per la sua detenzione. Non ci sono stati appelli e non è arrivata la grazia del Papa. “Un punto fermo su di una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose”, si legge nel comunicato che la Segreteria di Stato Vaticana ha diffuso in tarda mattinata. Un testo molto duro, che non lascia spazio ad interpretazioni. “È stata recata un’offesa personale al Santo Padre; si è violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a Lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio; si è creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni; si è posto ostacolo alle comunicazioni tra i Vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunità dei fedeli. Infine, per un periodo di parecchi mesi è stata turbata la serenità della comunità di lavoro quotidianamente al servizio del Successore di Pietro.” Queste le conseguenze della decisione dell’ ormai ex aiutante di camera di Benedetto XVI, di prelevare delle carte personali dall’ufficio del Papa e consegnarle a chi ne ha tratto profitto pubblicandole in un libro.
Le vere e più profonde motivazioni del gesto restano ancora poco chiare. Gabriele sapeva benissimo a cosa andava incontro, e lo ha ripetuto anche al processo. Chi lo ha convinto che questa cosa andava fatta? E soprattutto perchè?
Probabilmente il dubbio rimarrà. Perchè Paolo Gabriele sembra non voler raccontare tutto. Si sa che avrebbe voluto un colloquio con il Papa negli ultimi tempi, ma di fatto sembra non ci sia stato. E poi perchè non parlare con il Papa prima di decidere di parlare con la stampa?
Anche questo non è stato chiarito dallo stesso Gabriele al processo.
Il comunicato della Segreteria di Stato ricorda che “l’imputato è stato riconosciuto colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si è svolto con trasparenza, equanimità, nel pieno rispetto del diritto alla difesa. Il dibattimento ha potuto accertare i fatti, appurando che il Sig. Gabriele ha messo in atto il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili. Le varie congetture circa l’esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate.”
Congetture infondate alla luce di questa sentenza, ma il 5 novembre c’è un altro processo e Paolo Gabriele sarà testimone. Un’altra occasione per raccontare la vicenda, se vuole.
Intanto Gabriele “dovrà scontare il periodo di detenzione inflitto.” E arrivano anche i procedimenti amministrativi. A norma dell’ articolo 80 del Regolamento Generale della Curia Romana.
E la grazia? “In rapporto alla misura detentiva- si legge nel testo della Segreteria di Stato- rimane l’eventualità della concessione della grazia, che, come ricordato più volte, è un atto sovrano del Santo Padre.”
Qui però sembra esserci quasi una difficoltà. Perchè la grazia “presuppone ragionevolmente il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi.”
Le parole di Paolo Gabriele al processo, che pure sono state considerate positivamente dal Tribunale per le attenuanti, non convincono il Papa? Non è arrivata nessuna reale “sincera” richiesta di perdono? Si parla di una lettera che però non sembrava convincente e del resto anche durante il processo Paolo Gabriele ha detto di non sentirsi un ladro, anche se, come è scritto nella sentenza, c’è stata la “sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre.”
Ma certo il danno è stato grande. Sono molti infatti i vescovi, i prelati, ma anche i laici, che non hanno più il coraggio di mettere per scritto le loro idee e mandarle al Papa. In che mani finiranno, si chiedono?
Nel comunicato della Segreteria di Stato, di cui nessuno si assume pubblicamene la paternità, si legge anche che, “Se rapportata al danno causato, la pena applicata appare al tempo stesso mite ed equa, e ciò a motivo della peculiarità dell’ordinamento giuridico dal quale promana.”
I giudico insomma sono stati clementi. E questo l’ha dovuto confermare anche l’avvocato della difesa Cristiana Arru. Una storia interessante la sua. Il nonno paterno era con Gugliermo Marconi sulla Elettra, e Marconi l’ha voluto come direttore tecnico quando fu costruita la Radio Vaticana. “Mio nonno- ha detto in una intervista recente- ha partecipato a tutti gli esperimenti di Marconi. E in Città del Vaticano la mia famiglia ha vissuto fino al 1969 dove mio padre è stato un funzionario del Fondo assistenza sanitaria. Quando io sono nata la famiglia viveva già a Roma”.
Per ora quindi Paolo Gabriele è detenuto in Vaticano, a due passi da quella che fino ad ora è stata casa sua. Perdendo il lavoro perde anche la cittadinanza vaticana insieme alla famiglia. In questo momento sono la moglie e i figli che vanno assistiti e sostenuti.
Un iter giudiziario che vuole certo essere esemplare, lo Stato vaticano esce dai canoni paternalistici e diventa sempre più “stato” a tutti gli effetti. Ma questo primo passo non basta. Oltre Paolo Gabriele cosa c’è?