Documenti rubati: il dispositivo della sentenza di Gabriele

Il prossimo appuntamento per il Tribunale vaticano è per il 5 novembre. Alle 9.00 si celebra il processo a Claudio Sciarpelletti accusato di favoreggiamento nella vicenda del furto dei documenti privati del Papa da parte di Paolo Gabriele giudicato colpevole. E oggi è stato pubblicato il dispositivo della sentenza del processo che si è svolto agli inizi di ottobre.
Un testo che in 15 pagine ripercorre gli eventi processuali, ma che soprattutto spiega le motivazioni giuridiche cha hanno guidato il Tribunale vaticano. Uno dei temi più interessanti è quello, della definizione di furto, con la differenza sostanziale di interpretazione tra il diritto penale italiano e quello usato in Vaticano, insomma un confronto tra il codice Zanardelli e il codice Rocco.
Il furto è definibile per criterio “personale” oppure “spaziale” ? Sembra un mero dettaglio tecnico, ma di fatto chiarisce perché le azioni di Paolo Gabriele sono considerabili come furto. Nel codice Zanardelli infatti vale il principio “spaziale”, un furto è tale se l’oggetto in questione viene “rimosso” dal luogo naturale.
Una delle obiezioni fatte alla vicenda della imputazione di Paolo Gabriele verte proprio su questo. Portare via da un ufficio un documento in originale o in fotocopia è differente? Un tema che in effetti apre anche al dibattito sulla pubblicazione dei leaks, dei documenti che vengono fatti uscire da archivi di stati ed ambasciate in diverse parti del mondo.
Nella sentenza si arriva alla conclusione che si, il furto non riguarda solo l’oggetto ma anche il contenuto, e prelevare un documento dal suo luogo naturale anche solo per il tempo di fare una fotocopia è un furto.
C’è poi la conferma che tra i documenti trovati a casa Gabriele oltre alle fotocopie c’erano anche degli originali, non molti è vero, ma pur sempre originali con appunti del Papa.
Furto dunque, senza dubbio, anche perché motivato da un “profitto”. Non economico, non ci sono prove in tal senso e lo stesso Gabriele lo ha chiaramente negato, ma un profitto “intellettuale”.
Paolo Gabriele ha dichiarato di aver copiato i documenti “spinto da diverse ragioni quali i miei interessi personali.”
Nella sentenza si chiarisce ancora una volta che non ci sono complici. Lo aveva affermato Gabriele, lo ha ribadito durante il processo, e il suo “ essere suggestionato” da condizioni ambientali sta a significare non tanto che qualcuno lo ha direttamente condizionato, ma che parlando con molte persone per il suo stesso lavoro, era arrivato alla consapevolezza, erronea, di dover fare qualcosa di dirompente a difesa del Santo Padre e della Chiesa.
Affermazioni che comunque non chiudono la vicenda perché- si legge nella sentenza- “ulteriori indagini sono in corso circa la sussistenza di altre eventuali responsabilità nella fuga di documenti riservati.”
Ampio spazio nella sentenza lo occupa anche la perizia sulla condizione mentale di Paolo Gabriele, se in pratica fosse o meno in possesso della libera volontà e dell’intelletto al momento del fatto.
Anche in questo caso la giurisprudenza è ampia e argomentata e si legge anche che la difesa aveva rifiutato la perizia di parte, ma aveva richiesto che il perito di ufficio potesse essere in aula. Così è scritto nella sentenza: “La difesa dell’imputato dichiarava “l’inutilità ai fini dell’istruttoria della Perizia di parte”, aggiungendo “che, ad oggi, l’unica perizia da tenere presente a fini probatori sarà quella di ufficio richiesta su istanza del Promotore di Giustizia”.
Partendo dunque dalla perizia di ufficio, alla luce delle ampie considerazioni riportate nella sentenza istruttoria, cui si rinvia, il perito Prof. Dott. Roberto Tatarelli giungeva tra l’altro alla seguente conclusione: “La condizione personologica riscontrata [nel periziando] non configura un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti”. Si tratta di conclusioni che debbono ritenersi condivise dalla difesa dell’imputato, non essendo state contestate in sede dibattimentale.”
Interessante nella sentenza la parte che riguarda gli “asseriti alti motivi morali in difesa della persona del Santo Padre e della fede.” In effetti, si legge nel testo, come “ l’azione posta in essere dal Gabriele sia in realtà lesiva nell’ordinamento vaticano della persona del Pontefice, dei diritti della Santa Sede, di tutta la Chiesa cattolica e dello Stato della Città del Vaticano; così come tale azione è stata oggettivamente lesiva di diritti ed interessi di persone fisiche ed istituzioni, da cui i documenti illegalmente sottratti pervenivano od a cui erano diretti. In particolare l’azione del Gabriele ha violato non solo il fondamentale diritto alla buona fama e alla riservatezza di tutti i soggetti coinvolti, ma anche il segreto proprio degli atti di un soggetto sovrano.”
Rimane in parte misteriosa la personalità di Paolo Gabriele. Un uomo che godeva la fiducia del Papa e della Famiglia Pontificia e che ha cercato al di fuori persone, o una persona “con la quale poter sfogare situazioni che mi creavano sconcerto”. Il testo del Tribunale vaticano chiosa: “ Dunque l’agente aveva chiaro l’obbiettivo da raggiungere e lo volle. Nello stesso interrogatorio, poi, ha la premura di dichiarare: “Ne ho fatto due copie [dei documenti sottratti] per poter dimostrare, qualora fosse stato necessario, quali erano i documenti da me posseduti”, ribadendo quanto aveva più precisamente affermato nel corso dell’istruttoria, nell’interrogatorio del 6 giugno 2012: “La ragione per la quale ho consegnato questa documentazione a don Giovanni [Luzi, il padre spirituale] è stata quella di poter avere la prova di quanto avevo dato a Nuzzi”. Da questa intenzionale precostituzione di un elemento di prova, al di là delle sue effettive finalità, viene confermata la consapevolezza, peraltro esplicitamente affermata, della illiceità del comportamento posto in essere.”
Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa, ha confermato ai giornalisti che Gabriele non ha ricorso in appello, ma che il Promotore di Corte d’ Appello ha ancora tempo fino a metà novembre per farlo. Intanto Gabriele resta ai domiciliari nella sua residenza in Vaticano e, se la sentenza diverrà esecutiva, potrebbe scontare la pena in una delle celle che si trova nella Caserma della Gendarmeria Vaticana. Non dovrà infatti andare in Italia se non se ne ravvisa la necessità.
La pena di 18 mesi non prevede la condizionale infatti, ma neanche la interdizione dai pubblici uffici. Del resto c’è molta attesa per una eventuale grazia del Papa della quel però non c’è alcuna notizia. Paolo Gabriele dovrà anche pagare circa mille euro di spese processuali, e per ora non ha ancora perso lo stipendio. Si valuterà quale sarà il futuro di Paolo Gabriele al momento in cui la sentenza diverrà esecutiva.