Evangelizzare l’Europa con nuovo zelo e nuovo ardore. Il briefing del cardinale ungherese Péter Erdő

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È un’Europa che ha caratteristiche specifiche. Nel “vecchio Continente” c’è un rapporto stretto tra la cultura e la tradizione cristiana, persino l’architettura delle città è caratterizzata dall’elemento cristiano e “siamo fieri di questo – dice Erdő – perché comporta una bellezza specifica cristiana, una struttura della vita. Se togliamo il cristianesimo, in molti posti scompare del tutto la cultura”.

La Costituzione Ungherese rimette al centro il cristianesimo, lo segnala come la radice fondamentale del popolo ungherese, estendendo anche il concetto di cittadinanza ungherese. Una Costituzione dibattuta nel mondo, considerata nazionalista e persino autoritaria, dato che contiene un principio di controllo della Banca Centrale Ungherese e della magistratura. E la Chiesa ungherese come si pone di fronte a questa Costituzione? Erdő non risponde direttamente alla domanda. Ma mette sul piatto i problemi. “C’è una questione teorica – dice – e riguarda l’espressione delle radici culturali cristiane. Ci sono diversi esempi per questo pensiero, e lo stesso Giovanni Paolo II ha invitato a suo tempo tutte le conferenze episcopali di Europa a promuovere la menzione delle radici cristiane dell’Europa nella Costituzione Europea. Il risultato, purtroppo, è stato una menzione non espressa chiaramente, anche se nel Trattato di Lisbona c’è un accenno all’importanza del contributo delle religioni nella formazione dell’Europa”. E poi, il problema pratico: “In diversi paesi  d’Europa ci sono grossi problemi economici, che appaiono in forma di crisi finanziaria o di crisi delle banche o di crisi che proviene dall’indebitamento della popolazione. In Ungheria ci sono moltissimi cittadini che non riescono a pagare le rate di restituzione del prestito alle banche”. Per quanto riguarda l’Ungheria, aggiunge Erdő, “la base più remota di questo fenomeno c’è in diversi Paesi dell’Est. Lì, alla fine del sistema comunista, la classe dirigente si è potuta appropriare del patrimonio nazionale. Non lo ha restituito alla popolazione, lo ha ceduto alle proprietà internazionali. Molte cose dovevano essere privatizzate. Ma è anche vero che le società internazionali hanno comprato delle fabbriche con lo scopo di chiuderle.  Ma quando la gente non ha lavoro e non ha risorse, ha bisogno di prestiti e quindi si presentano problemi. In Ungheria questo era tra i motivi del grande cambiamento”.

Uno dei motivi che ha portato alla vittoria schiacciante del partito Fidesz alle elezioni. E dopo la vittoria di Fidesz in Ungheria, e di Timo Soini – altro leader cattolico – in Finlandia, qualcosa è cambiato sia nel dibattito europeo che nelle conferenze episcopali. In Ungheria, la commissione Giustizia e Pace ha cambiato nome in commissione Caritas in Veritate, e così è successo al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Un modo di indebolire la dottrina sociale? Alcuni l’hanno vista così. Altri, con la necessità di accorpare i temi della giustizia e della pace a quelli degli affari sociali in una sola commissione. È forse il segno di una Chiesa che si sfalda in Europa?

Erdő nega che questo sia un sinodo senza idee profetiche, sostiene che “è tutto ben strutturato”, afferma che la bozza delle propositiones finali “è un testo non ancora maturo”. E parla dell’ecumenismo, del rapporto con le Chiese sorelle che può avvenire soprattutto sui temi sociali.

“Negli interventi – dice Erdő – è venuto fuori ripetutamente un elemento della possibile collaborazione ecumenica, che non è solo una possibilità teoretica. Abbiamo già tante esperienze pratiche, in tante città europee ci sono stati esempi di evangelizzazione congiunta. Per esempio, a Budapest hanno parlato della fede anche dei protestanti, e anche i vescovi ortodossi hanno predicato nella nostra basilica”.  Sono esperienze che hanno fatto arrivare alla conclusione che “una missione completamente comune non è possibile finché non c’è piena comunione, ma è possibile la solidarietà della missione”. Ci sono però degli elementi da cui far partire la collaborazione Una collaborazione che “deve essere almeno episcopale”. E cita l’esempio del lavoro congiunto tra il Forum Europeo Cattolico-ortodosso (un tavolo che include i cattolici e 14 confessione ortodosse d’Europa). Il contenuto del loro lavoro congiunto “non è mai la dottrina della fede – per questi temi ci sono degli organi della Santa Sede preposti al dialogo – ma piuttosto la dottrina morale, la dottrina sociale, le azioni comuni da compiere nella realtà europea. Abbiamo trovato un accordo molto largo, per esempio, per quanto riguarda la famiglia, per quanto riguarda la situazione dei rapporti tra Chiesa e Stato, per quanto riguarda la crisi economica”.

Viene chiesto ad Erdő quanto delle posizioni dei “disobbedienti” in Austria e Germania (sacerdoti e teologi che hanno chiesto una profonda riforma della Chiesa, a partire dalla dottrina sul celibato dei preti e sui divorziati risposati) sia entrato in questo sinodo. “Sono temi di cui si parla, si discute – risponde l’arcivescovo di Budapest – ma se tutto finisce con un appello alla disobbedienza generale, si è lontani dai problemi. Per affrontarli bisogna conoscere la storia europea, che ha il vantaggio di avere una grande storia cristiana, anche per quanto riguarda le istituzioni della Chiesa”. E il ruolo dei laici?  “I laici sono tra i protagonisti della nuova evangelizzazione – afferma Erdő – perché il cambiamento consiste nel fatto che tutti devono prendere coscienza della missione cristiana. La nostra è una religione che ci obbliga a trasmettere la gioia. Io sono obbligato a fare questa missione, che può essere attraverso le parole, anche attraverso i fatti (una mia trasformazione personale). Si deve sempre tener conto che evangelizzare comporta un profilo pubblico e un profilo privato”.

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