Sette testimoni della fede saranno canonizzati domani. Le loro storie
Sette testimoni della fede. Sono morti martiri, hanno creato congregazioni religiose, hanno difeso con forza la loro virtù, hanno evangelizzato ed aiutato i giovani. Domenica 21 ottobre saranno proclamati santi durante una messa celebrata da Benedetto XVI in piazza San Pietro, alla presenza dei 262 padri sinodali a Roma per il Sinodo per la Nuova Evangelizzazione. Le loro storie sono l’esempio che Benedetto XVI vuole lanciare nell’Anno della Fede. Perché l’evangelizzazione non è solo una questione teorica, né una mera trasmissione delle verità della fede. L’evangelizzazione passa prima di tutto dalla santità.
Pedro Calungsod
1672, Isole Marianne, Filippine. I missionari gesuiti stanno mietendo successi tra la popolazione. Ma alcuni guaritori locali sono invidiosi della popolarità che “gli stranieri” si soon conquistati. Fanno girare la voce che l’acqua con cui battezzano i bambini è avvelenata. Giocano sull’equivoco che alcuni battesimi erano stati dati a bambini in fin di vita. Non sarebbero potuti guarire. Ma questa voce crea sospetto nella popolazione. Pietro Calungsod è giovanissimo. È entrato a 14 anni nel “collegio” dei gesuiti, che coinvolgono la popolazione locale nell’evangelizzazione. Il 2 aprile 1672, insieme a padre Diego de Luis de Vitores, il superiore della missione, Pedro entra nel villaggio di Tomhom. I due chiedono ad un tal Matapang di battezzare la sua bambina appena nata, ma questi che, da buon cristiano si è trasformato in nemico dei missionari a causa della calunnia, bestemmiando e imprecando rifiuta con decisione. Non solo: cerca un complice nel villaggio per uccidere i due, che intanto hanno radunato la popolazione del villaggio sulla spiaggia ed hanno iniziato la catechesi. Riescono addirittura a convincere la mamma a battezzare la bimba in gran segreto. Matapang lo viene a sapere. Insieme al complice si scaglia dapprima contro Pedro. Questi evita i colpi di lancia e le frecce. E non fugge. Preferisce restare, anche per non lasciare solo Padre Diego. Viene così colpito in pieno petto e finito a colpi di scimitarra. Prima di subire la stessa sorte, Padre Diego riesce a dargli l’ultima assoluzione. Poi i loro corpi, spogliati e sfregiati, vengono gettati in mare. da dove non saranno più recuperati. Giovanni Paolo II ha beatificato Pedro il 27 gennaio 2000, proponendolo come esempio di coraggio, di fede e di impegno missionario. Non ci sarebbe stato bisogno di un miracolo per la beatificazione, in quanto Pedro è morto martire. Ma la postulazione aveva documentato l’inspiegabile guarigione per sua intercessione di una donna affetta da cancro alle ossa. E nel 2003, poi, nell’ospedale di Cebu City (nelle Filippine), una donna deceduta da due ore è tornata in vita dopo che su di lei era stata invocata l’intercessione del giovane martire. È stata questa “risurrezione”, ritenuta miracolosa dopo un attento esame medico, ad aprire a Pedro Calungsod le porte della canonizzazione. La nuova evagelizzazione è affidata alla sua intercessione
Jacques Berthieu
Come viene affidata a padre Jacques Berthieu. Gesuita, Berthieu era andato in missione in Madagascar all’inizio degli anni Settanta del 1800. Sono periodi difficili. “A mia grande confusione – scrive al fratello non ho proprio nulla da dirti perché qui non ho ancora fatto nulla. Studiare il malgascio, catechizzare i bambini della scuola,… ascoltare a volte qualche confessione, osservare un po’ e acclimatarmi, ecco tutto il mio lavoro, fino a oggi. Con questo ho naturalmente di che occuparmi senza per nulla avere il tempo o tanto meno l’idea di annoiarmi. La mia inutilità e la mia miseria spirituale servono ad umiliarmi senza però scoraggiarmi, in attesa dell’ora in cui potrò fare qualche cosa, con la grazia di Dio”. Ma poi impara il malgascio, e tutto cambia. Berthieu trascorre il suo tempo ad insegnare catechismo, a visitare poveri e lebbrosi, ad amministrare battesimi e celebrare le prime comunioni e i matrimoni, ad assistere gli indigeni addetti ad una coltivazione agricola razionale. Nel 1881, padre Berthieu abbandona il Madagascar, perché c’è un decreto di espulsione dei religiosi dai territori francesi. Viene spostato da un posto missionario all’altro, e poi viene rimandato dalla compagnia in Madagascar. “Era buono con tutti come il sole di primavera”, disse di lui un catechista malgascio. Nel 1894 scoppia la seconda guerra dei malgasci contro la Francia. È la ribellione di molte tribù, tra cui quelle dei Menalabamba, che danno la colpa della dominazione francese ai missionari. E nel 1896 vanno a prendere padre Berthieu. Dopo un viaggio estenuante gli chiedono di rinnegare la sua religione. Non accetta. Condannato a morte, quasi tutto il plotone di esecuzione sbaglia mira. Gli viene rotta la testa e il suo cadavere gettato nel fiume in pasto ai caimani, per evitare le ritorsioni della popolazione.
Caterina Tekakwitha
Anche Caterina Tekakwitha è stata perseguitata dalla sua fede. E’ la prima santa pellerossa. Giovane squaw di padre irochese e madre algonchina, abbracciò la fede cristiana di sua madre. Persi entrambi i genitori all’età di quattro anni a causa di un’epidemia di vaiolo (malattia che la tormenterà tutta la vita), Caterina fu affidata allo zio paterno. Lavoratrice costante, senza istruzione, decise di vivere in castità. Una virtù sconosciuta agli indiani d’America. Più volte durante tutta la sua vita subisce le pressioni da parte della famiglia dello zio e della sua tribù per sposarsi, e per seguire le credenze della sua tribù. Lei non cede. Viene battezzata di nascosto nel 1676. Per sfuggire alle ire dello zio pagano si nella Missione di S. Francesco Saverio a Sault presso Montreal, dove fa la prima comunione e inizia una vita di preghiera. Distrutta dal vaiolo contratto nel 1660 e dai patimenti, muore il 17 aprile 1680 a soli 24 anni. E dopo la sua morte scompaiono dal viso i segni della malattia.
Maria Carmen Salles y Baranguera
Maria Carmen Salles y Baranguera nasce a Burgos nel 1848, e muore nel 1911. La sua missione è di operare direttamente per la promozione umana e spirituale delle donne nei cinque continenti. Viene a contatto con prostitute e detenute, e si chiede come salvarle. E comprende che il segreto è nel dare fin dal principio loro una educazione cristiana. Per questo fonda le Suore Concezioniste missionarie dell’insegnamento. La loro missione? Aiutare concretamente le ragazze a crescere nel mondo, nella società, nel lavoro e nella famiglia. La congregazione è oggi presente in Italia e in Spagna, ma anche in Africa, (in Guinea Equatoriale, nei due Congo – Repubblica Democratica e Repubblica Popolare – in Camerun), in America (Stati Uniti, Messico, Venezuela, Repubblicana Dominicane e Brasile) e in Asia (Corea, Giappone, Filippine, India e Indonesia).
Barbara Cope
Tra i nuovi santi anche Barbara Cope, suora del terz’ordine francescano di Syracuse, meglio conosciuta come Madre Marianna di Molokai. A Molokai, nelle Hawaii, c’era un lebbrosario, dove operava padre Damiano de Veuster, alla cui vita è stato dedicato anche un film. Fu lui a chiedere alla congregazione di madre Cope di inviare delle volontarie per aiutarlo. Madre Cope, che era superiore generale, decide di accompagnare le sue consorelle. E resta a Molokai, a curare i malati. Muore nel 1918. Prima di morire, profetizza che nessuna delle suore della sua congregazione si ammalerà di lebbra a Molokai e, ad oggi, nessuna di loro si è effettivamente ammalata.
Anna Schaffer
Anna Schaffer era invece una laica baverese. Il 14 febbraio 1901, a diciannove anni, la disgrazia che le segna la vita: nella lavanderia della casa forestale di Stammham, presso Ingolstadt, dove lei lavora, una canna fumaria sta per sfilarsi e cadere; lei si arrampica per rimetterla a posto, ma va a cadere dentro una vasca di acqua calda con lisciva, e ne riporta ustioni dolorosissime alle gambe, fino ai ginocchi. La curano nell’ospedale di Kosching e poi nel centro medico universitario di Erlangen; ma c’è ben poco da fare contro le piaghe provocate dall’azione corrosiva del detergente. Resterà invalida tutta la vita, e a queste si aggiungeranno altre piaghe, dalla paralisi completa delle gambe al tumore all’intestino. Non lo accetta subito, vive con grande sofferenza la sua situazione. Ma poi, con calma e preghiera, decide di offrire le sue sofferenze a Dio. Un’accettazione dura, un atto di volontà. E da lì comincia a consolare le persone che le vengono a chiedere aiuto, nel suo letto “sempre in servizio”. Nel settembre 1925 cade dal letto. Perde la voce. E muore sussurrando: Gesù io vivo in te.
Giovanni Battista Piamarta
Tra il 1800 e il 1900 c’è a Brescia una figura popolarissima. È padre Giovanni Battista Piamarta, che spende tutta la sua vita a servizio dei giovani e del loro futuro, tanto da essere considerato il patrono di coloro che cercano lavoro.Nel 1900 fonda la Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Suore Umili Serve del Signore. E “inventa” dell’Istituto “Artigianelli” dedicato alla preparazione professionale e alla crescita cristiana di migliaia di ragazzi. Nasce austriaco, vive in un periodo segnato dal terribile colera del 1836 e le drammatiche dieci giornate del 1849, è testimone del passaaggio della Lombardia all’Italia. Entra in contatto con le grandi personalità del movimento cattolico bresciano, come Giuseppe Tovini e Giorgio Montini. Questi non vedono nelle nuove situazioni solo la crisi. Le raccolgono come una opportunità per la presenza cristiana. Padre Piamarta fonda la colonia agricola di Remedello, e questa esperienza gli fa capire che la povertà più insidiosa è quella del sottosviluppo culturale. “Il mondo soffre per la mancanza di pensiero”, dirà un altro bresciano divenuto Papa, Paolo VI. Così, fonda l’editrice Queriniana. Una figura – secondo il postulatore padre Igor Fabiano Manzillo, che ha rilasciato un’intervista a Radio Vaticana – di “un’attualità sconvolgente, perché è andato a lavorare e a vivere tutta la sua vita, la sua esperienza di vita e di santità, proprio in un campo molto particolare: il campo dei giovani, ma giovani poveri del mondo da el lavoro. Quindi, il suo grande desiderio è stato quello di dare famiglia, istruzione ed un lavoro a dei ragazzi, dei giovani che non avevano altre possibilità, che non avevano prospettive. Erano ragazzi poveri, abbandonati, orfani, in giro per la città, sarebbero diventati dei delinquenti. Ecco, l’idea è proprio questa: prendere questi ragazzi e renderli protagonisti del loro futuro, cioè, dando a loro un futuro; dare un futuro a dei giovani che erano, sicuramente, sprovvisti di futuro”. Gli “artigianelli” sono oggi un grande istituto, con 700 ragazzi impegnati nella formazione professionale – di cui un 20-23% sono ragazzi extracomunitari – e con un’altra scuola media di 300 alunni. Ma ad essere importante – secondo padre Manzillo – “è il grande fatto che tutte le mattine questo prete – dalle quattro alle sette e mezzo – se ne stava in chiesa, sicuramente al buio e al freddo, perché solo da lì lui poteva tirar fuori la forza per poi vivere in mezzo a questi ragazzi, insegnare un lavoro, trovare i fondi per aiutare questi ragazzi”.