L’approfondimento. Presidenziali Usa, la sfida riparte dall’etica
Con l’incoronazione di John McCain a candidato alla Casa Bianca, cala il sipario sulla convention repubblicana di Minneapolis. La campagna elettorale delle presidenziali Usa entra nel vivo: due mesi e mezzo di confronto a tutto campo, dalle questioni interne alla politica estera. E se nella fase delle primarie i temi etici erano rimasti in secondo piano, adesso i giochi potrebbero riaprirsi.
Merito anche della scelta della vice di McCain, Sarah Palin, antiabortista, madre di un bambino down e di una diciasettenne rimasta incinta, prossima alle nozze “riparatrici” con un coetaneo. Al momento, non si è ancora raggiunta la pregnanza (e la veemenza) della precedente corsa alla Casa Bianca, quando il cattolico John Kerry da posizioni liberal sfidò il metodista George Bush anche sui temi etici, ma in un paese come gli Stati Uniti, da sempre fieramente diviso fra “pro-life” e “pro-choice”, aborto ed eutanasia sono da sempre argomenti chiave delle campagne elettorali, soprattutto di quelle presidenziali.
Il presidente in carica, George Bush, ha caratterizzato da sempre la sua esperienza politica con il sostegno alle richieste dei pro-life: ha avversato aborto ed eutanasia, ha appoggiato la legge che ha messo al bando l’aborto “a nascita parziale”, ha negato finanziamenti federali ai programmi di ricerca con cellule staminali embrionali, ha nominato alla Corte Suprema due giudici palesemente critici con la sentenza Roe-Wade, quella che all’inizio degli anni settanta ha legalizzato l’interruzione di gravidanza nel paese. Il suo aspirante successore per parte repubblicana, il senatore John McCain, seppur meno profondamente inserito dell’attuale inquilino della Casa Bianca nei movimenti della destra cristiana – al punto da essere percepito da alcune frange come troppo tiepido e timido – ha un orientamento chiaramente pro-life, in piena continuità con la “legge” non scritta che vede il Partito Repubblicano schierarsi per la promozione della “cultura della vita”.
In casa democratica, invece, è pubblico e dimostrato l’appoggio al diritto di aborto e l’intenzione dei candidati di compiere azioni e scelte conseguenti. In particolar modo, la posizione di Obama è sempre stata particolarmente coerente e più volte definita come “estremista”: si ricorda in tal senso, ormai sette anni fa, una sua astensione sulla questione della protezione dei bambini nati vivi in seguito ad un aborto tardivo, giustificata in modo alquanto capzioso con la mancanza della definizione di prematuro nato vivo e con l’impossibilità dunque di stabilire giuridicamente se quei neonati fossero persone e dunque dovessero essere rianimati.
Obama, inoltre, nell’aprile dello scorso anno, ha attaccato la sentenza della Corte Suprema che aveva confermato con lo scarto minimo di cinque voti a quattro la validità di una legge approvata dal Congresso nel 2003 che proibisce una specifica forma di aborto tardivo, praticato solo a gravidanza avanzata con un metodo definito di “nascita parziale” e che riguarda negli Usa poco più di 2mila casi l’anno. Un risultato frutto delle due nomine pro-life nel frattempo attuate dal presidente Bush.
La questione rimane comunque decisiva, specie per conquistare il voto cattolico, una delle mosse più importanti per la vittoria della Casa Bianca. Negli ultimi decenni, l’elettorato che si riconosce nella Chiesa di Roma si è allontanato dalla tradizione che lo voleva solidamente democratico, fino al risultato delle ultime elezioni, quando John Kerry, il primo candidato presidenziale cattolico dai tempi di John Kennedy, perse – anche se di misura – il voto dei cattolici, che gli preferirono il metodista George Bush. Quattro anni fa pesarono anche le prese di posizione di molti vescovi statunitensi che si schierarono apertamente contro Kerry per il suo sostegno all’aborto: si arrivò a parlare anche della necessità di negargli la Comunione, molti vescovi lo intimarono a “non presentarsi” nelle chiese delle loro diocesi perché non avrebbe ricevuto il Sacramento e da Roma anche il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ribadì la possibilità per un sacerdote di rifiutare la comunione ad un politico dichiaratamente favorevole all’aborto.
Questa volta, il partito democratico gioca la carta del cattolico John Biden, come candidato alla vice presidenza. Sulla stessa linea di Obama e Kerry, il senatore del Delaware è stato già preso di mira dall’arcivescovo di Denver Charles Chaput, che ne ha criticato duramente la posizione favorevole all’aborto. Secondo il presule, Biden non dovrebbe accostarsi alla comunione, a causa delle sue posizioni giudicate “profondamente sbagliate”. Il copione, dunque, si ripete. E la corsa presidenziale riparte dall’etica…