Sinodo: “Abbiamo bisogno di una nuova Pentecoste”. Ecco i protagonisti della Nuova Evangelizzazione

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Il ruolo delle parrocchie

“Esiste nel popolo cristiano un diffuso tesoro di eroismo umile e quotidiano, che non fa notizia ma costruisce la storia” ha affermato ieri pomeriggio il cardinale Angelo Bagnasco, secondo il quale le 25mila parrocchie italiane sono “una rete di prossimità e un patrimonio da non disperdere”. Sulle parrocchie quali “cellula” della Chiesa è tornato stamane il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, secondo il quale appaiono oggi come erogatrici di “servizi religiosi a chi li chiede”, mentre faticano “ad aprirsi ad una pastorale di evangelizzazione”. Il cardinale si è riferito in particolare alle parrocchie delle grandi metropoli “multietniche e multireligiose”, frequentate da “minoranze di fedeli partecipi e impegnati” accanto ai quali si ritrovano “maggioranze di battezzati dalla fede debole e anemica, indifferenti o lontani dalla Chiesa”, ma anche “numerosi uomini e donne appartenenti ad altre religioni o a nessuna religione che si avvicinano alla comunità parrocchiale per ragioni diverse”, e “tanti anonimi cercatori di Dio”. È allora richiesto ai parroci “un nuovo slancio missionario del loro ministero”, che sia caratterizzato dalla centralità dell’eucarestia domenicale, curata “molto in ogni aspetto”, da itinerari di catechesi “per superare l’analfabetismo religioso oggi così diffuso” e che s’impegni a “far crescere la gioia della fede nei fedeli”.

Il senso del “limite”

La cultura contemporanea demonizza la categoria del “limite”, ha rilevato ancora il cardinale Bagnasco. Ma l’esperienza del limite, ha precisato, “è un grande alleato del Vangelo, poiché dice che l’uomo ha bisogno degli altri e, innanzitutto, dell’Altro che è Dio”. Per reagire alla crisi recente e al secolarismo, ritiene il vescovo irlandese O’Reilly, la Chiesa “deve parlare con una voce che sia piena di speranza e allo stesso tempo umile, fiduciosa e compassionevole”, perché molti uomini “attendono un messaggio di speranza e di incoraggiamento”.

Una nuova Pentecoste

Se è stata la Pentecoste a dare inizio alla prima evangelizzazione, ha ricordato il vescovo olandese de Jong, “ora abbiamo bisogno di una nuova Pentecoste”. Pertanto “dobbiamo pregare con fervore e costanza lo Spirito Santo”. Secondo il vescovo “le famiglie sono essenziali per la trasmissione del Vangelo”, specie in una società che “non conosce più il peccato”. Oggi “la pornografia, la sessualità al di fuori del matrimonio tra un uomo e una donna, la contraccezione e l’aborto chiudono i cuori”. E allora “chi può dire di sì a Dio, che dà la vita in abbondanza, se in modo consapevole o inconsapevole dice di no alla vita umana?”. Alla Chiesa, ha considerato, spetta di “promuovere con coraggio il Vangelo della vita, compresa la teologia del corpo, la pianificazione familiare naturale e allo stesso tempo annunciare Dio misericordioso”.

Il compito della scuola

“Le scuole cattoliche non sono prodotti, bensì agenti della missione della Chiesa” ove la maggior parte dei battezzati sperimentano per la prima volta “la persona di Gesù Cristo, la preghiera, la liturgia e la vita sacramentale della Chiesa”, ha spiegato il vescovo neozelandese Drennan. In esse si sperimenta “il senso di appartenenza al popolo di Dio”, si esercita la “diaconia di verità”, che le fa emergere come “fari di speranza” nelle società “in cui i venti del relativismo e dell’individualismo comportano le tragiche macerie della confusione morale e del crollo delle aspirazioni”, e vi soffia uno “spirito di sapienza”, che è “antidoto alla superficialità e alla trivialità che possono intrappolare i giovani”. “In che modo ci rendiamo presenti nella vasta popolazione di studenti, soprattutto presso coloro la cui educazione cristiana di base è stata molto superficiale, sia in famiglia che a scuola?” ha domandato l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, notando poi che la nuova evangelizzazione deve “aiutare i giovani a discernere le idee”, in un tempo in cui “il significato dei termini viene cambiato e manipolato per fini commerciali, ideologici o politici” e le giovani generazioni vivono “in una cultura di relativismo e di un’autentica banalizzazione della verità, senza esserne spesso neppure consapevoli”.

Il contributo dei Rappresentanti Pontifici alla trasmissione della fede

Il cardinale Tarcisio Bertone è intervenuto stamane ribadendo l’impegno che Nunzi e Delegati Apostolici “intendono porre nel favorire da un lato l’accoglienza presso gli episcopati del Magistero pontificio e delle indicazioni che vengono dagli organismi della Santa Sede, e dall’altro nell’aiutare il Papa e i suoi collaboratori a sempre meglio conoscere e comprendere la realtà delle Chiese locali, le loro ricchezze e le loro difficoltà”. Il segretario di Stato ha quindi annunciato la decisione del Pontefice di convocare a Roma, nel prossimo mese di giugno, tutti i Nunzi, i Delegati Apostolici e gli Osservatori permanenti per un incontro di riflessione, che fa seguito a quello tenuto in occasione del Giubileo del 2000. “Sarà – specifica Bertone – un’opportunità per uno scambio di esperienze e per approfondire il senso della missione dei Rappresentanti Pontifici nelle circostanze odierne”.

La missione dei laici

“Oggi la Chiesa ha bisogno di laici ben formati e ben informati” ha asserito il vescovo cingalese Fernando, osservando però che “spesso i pastori non sembrano riconoscere l’urgenza e la necessità di affidare ai fedeli laici, con amore e fiducia, il ruolo che loro compete nell’evangelizzazione”. A queste han fatto eco le parole di monsignor Jose Palma, arcivescovo di Cebu nelle Filippine, secondo cui molti laici “non sono solo oggetto dell’evangelizzazione, ma certamente anche soggetto della stessa”. “Propongo – ha sostenuto – che questo Sinodo incoraggi i nostri fedeli laici”. E monsignor Stankevics, arcivescovo di Riga, ha rivolto ai vescovi un appello “a incoraggiare i sacerdoti a prendersi cura dei nuovi gruppi di preghiera e dei movimenti”, che nell’Instrumentum laboris sono chiamati un “dono della Provvidenza alla Chiesa”.

La vita consacrata

“Una risorsa preziosa e una sfida” è la definizione che il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha utilizzato per indicare la vita consacrata. Nelle relazioni di questa con la gerarchia “sono sorti non pochi disagi: talora per una certa ignoranza dei carismi e del loro ruolo nella missione e nella comunione ecclesiale; talaltra per l’inclinazione di alcuni consacrati alla contestazione del Magistero”. Il cardinale ha infine auspicato un “rinnovamento dei rapporti tra vescovi e consacrati”.

Le risposte agli interrogativi dell’uomo

“La Chiesa viene presentata da alcuni opinionisti come retrograda, conservatrice, refrattaria a cambiare e a venire incontro ai semplici cittadini nei luoghi di mercato” ha rilevato il cardinale arcivescovo di Bombay Oswald Gracias. “Il messaggio e la moralità cristiani – ha però aggiunto – devono essere presentati come via sostenibile per il futuro del progresso, dello sviluppo e della felicità del genere umano, per la pienezza di vita”. Mentre “si osserva un’inquietudine nel mondo”, e ne sono esempio la primavera araba, i cambiamenti climatici, la campagna contro la corruzione, “il Vangelo ha le risposte agli interrogativi del nostro tempo” ha sostenuto il cardinale indiano. Pertanto va combattuto come una violazione dei diritti umani e un limite alla libertà umana il fatto che in alcuni luoghi la legislazione civile limiti la libertà di culto e la proclamazione della Parola.

Un invito alla semplicità

“Perché Gesù era tanto ‘a proprio agio’ e si identificava perfettamente con la maggior parte della gente del suo tempo, perfino con i peccatori?” si è chiesto monsignor Mafi, vescovo di Tonga. “Semplicemente perché era profondamente a proprio agio con se stesso – ha risposto –, perché era profondamente libero come persona radicata in una educazione semplice e umile”. Oggi la vita di molte persone “è segnata da ferite e da dolori profondi”. Esse desiderano quindi “pastori autenticamente compassionevoli che possano toccare la loro vita nel profondo e liberarli dalle proprie miserie, ovvero pastori che possono camminare con loro e ‘mettersi nei loro panni’ ”.

L’annuncio in Africa

Monsignor Dabiré Kisiélé, vescovo del Burkina Faso, ha notato che nel suo Paese e in Niger non v’è scristianizzazione, ma una cristianizzazione nascente in mezzo a numerose difficoltà (credenze erronee, sottovalutazione della donna, analfabetismo delle popolazioni, povertà, ecc.), e ha adoperato la metafora della donna dell’Apocalisse, accerchiata da un drago con sette teste e dieci corna. È in questo contesto che la Chiesa “si rivolge a persone che si confrontano con la miseria e la morte”, e “in quanto soggetto della trasmissione della fede, deve inculturarsi, se vuole essere autentica e credibile”. Il vescovo della Costa d’Avorio Yao Kouadio ha parlato di “evangelizzazione mirata”, che considera “il contesto particolare di ogni Paese, le culture locali, le lingue e i nuovi spazi umani di incredulità”. Il vescovo del Ruanda Bimenyimana si è fatto voce di un popolo “che ha conosciuto una serie di eventi tragici che hanno spezzato numerose vite umane e lasciato i superstiti in situazioni di fragilità e vulnerabilità estreme”, proponendo, fra le strategie d’intervento, l’attività delle “comunità ecclesiali di base”. Secondo il vescovo del Gabon Madega Lebouakehan, l’evangelizzazione “è spesso ostacolata da bisogni vitali che chiamiamo economia o pane”. Tuttavia l’attuale crisi economica è per la Chiesa “un kairos della nuova evangelizzazione”, per il quale ha proposto la creazione di una struttura di “credito sociale: un sistema finanziario immune di debiti al servizio dell’uomo”. Il tema dell’economia è emerso anche nell’intervento del cardinale Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, secondo il quale la vita quotidiana è oggi condizionata da “una mentalità edonista e consumista”, mentre “la esecranda fame di ricchezza ha contagiato anche molti cristiani”. “Oggi viviamo non soltanto nello tsunami della secolarizzazione – ha concluso –, ma anche nello tsunami della crisi finanziaria che ha alla radice comportamenti non consoni con il Vangelo”.

Per reagire all’impatto crescente “del secolarismo e della globalizzazione, generato dalla cultura del ‘profitto’ e della produzione a detrimento della promozione della dignità della persona umana”, e agli effetti negativi che comporta, secondo il vescovo del Malawi Msusa la Chiesa deve “promuovere programmi in grado di rafforzare la famiglia, occuparsi dell’impatto della globalizzazione, mettere a punto l’apostolato ai migranti, sostenere l’identità culturale e garantire che, in ogni circostanza, i diritti umani fondamentali vengano rispettati”.

Il vescovo copto Kyrillos William ha infine testimoniato che in Egitto “i cristiani continuano a essere considerati cittadini di seconda categoria, molti diritti non sono loro riconosciuti”. Il vescovo ha confidato che alcuni estremisti hanno chiesto loro di lasciare il Paese, provocando questa risposta: “No, è il nostro Paese e ci rimaniamo”. “Possiamo evangelizzare in un paese musulmano”, ha quindi aggiunto. “Continueremo ad adempiere alla nostra missione come testimoni di Cristo nel nostro Paese, come sale della terra e luce del mondo, come artefici di pace e di riconciliazione e propagatori della civiltà dell’amore”.

Le pratiche tradizionali

Secondo il vescovo kazako Kaleta, “un’attenzione speciale va dedicata all’approfondimento della religiosità tradizionale, che non è stata alimentata da un catechismo adeguato”. Un esempio concreto è quello della formazione alla Sacra Scrittura e al catechismo, in modo semplice e comprensibile, delle “babushka’s”, le nonne. Dal cardinale George Pell, arcivescovo di Sideney, è giunto invece un invito a non far scomparire l’antica pratica dell’astinenza del venerdì.

Le parole di fr. Alois di Taizé

Dopo l’intervento dei delegati fraterni, ha preso ieri sera la parola fr. Alois, priore della Comunità ecumenica di Taizé e invitato speciale al Sinodo. “Noi di Taizé – ha sostenuto – cerchiamo ardentemente di aiutare le migliaia di giovani cattolici, protestanti e ortodossi che provengono da diversi Paesi e che vivono con noi, a fare un’esperienza di comunione”. “I nostri incontri sono incentrati sulla ricerca di un rapporto personale con Dio, attraverso la bellezza dei canti, il silenzio, la semplicità della liturgia – ha proseguito –. Questo ecumenismo della preghiera non incoraggia una tolleranza superficiale, ma favorisce un profondo ascolto reciproco e un autentico dialogo”. “La divisione dei cristiani è un ostacolo alla trasmissione della fede – ha quindi osservato –. Per le giovani generazioni, a un certo punto la ricerca dell’unità diventa irresistibile. Quando professiamo Cristo insieme, il Vangelo risplende in modo diverso agli occhi di coloro che hanno difficoltà a credere”.

La voce delle donne

“Oggi ci sono persone della nostra fede e della nostra tradizione cattolica che stanno soffrendo – ha denunciato suor Mary Lou Wirtz, presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali e uditrice al Sinodo –. Alcune hanno già abbandonato la nostra Chiesa istituzionale perché non riescono a trovare in essa il proprio posto; altre rimangono nella Chiesa, ma stentano e cercano qualcosa che nutra la loro anima”. Persone sofferenti si rivolgono alla Chiesa, ma “vengono allontanate da atteggiamenti critici o da questioni di potere e di controllo”. “Possiamo permetterci di entrare nel dolore della nostra gente?” si è quindi chiesta. È seguita la testimonianza di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari.

Gli interventi liberi di ieri

Negli interventi liberi al termine della Congregazione Generale di ieri, un cardinale ha invitato a non chiudere le porte delle chiese, ma a lasciare che i fedeli entrino, perché l’incontro con Cristo sacramentato è una grande evangelizzazione. Un Padre ha notato che negli interventi non si è finora fatto alcun riferimento alla vita monastica e contemplativa. Secondo un altro Padre la nuova evangelizzazione non è destinata solo a quei cristiani che hanno abbandonato la pratica, ma anche ai musulmani, perché i vescovi hanno la responsabilità dell’intera comunità diocesana. Un altro ha aggiunto che gli stessi vescovi sono a volte di ostacolo alla nuova evangelizzazione, perché forniscono una “contro testimonianza”. Pertanto anche nel cuore dei pastori devono risuonare le parole di Gesù “Convertitevi e credete al Vangelo”. Un Padre ha invitato a entrare nella cenere senza paura di sporcarsi o di bruciarsi. Un altro ha criticato l’attuale struttura del Sinodo, registrandovi una dispersione degli interventi, che andrebbero meglio organizzati, ritenendo difficile farsi un’idea. Secondo un altro occorre evangelizzare con i segni concreti, non solo con quelli liturgici: la carità, l’amore, i segni di guarigione spirituale come la confessione, con una bontà pratica verso il prossimo (i malati, i peccatori, i separati). Ascoltare, pregare, stare con loro può dare pace al cuore sofferente. Ha concluso, molto commosso, il Patriarca cattolico siriano Gregorios III Laham, che ha ringraziato il Papa per la delegazione che si recherà in Siria nei prossimi giorni. Ha quindi ricordato che i conflitti non sono mai religiosi, ma politici, e che il fondamentalismo fa male sia ai musulmani che ai cristiani.

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