La mostra di Guttuso. Il “secolo breve” attraversato con la pittura

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Andando al Vittoriano per vedere la mostra Guttuso. A cento anni dalla nascita dicevo tra me e me che i quadri andrebbero visti alla luce diurna, così come i pittori li dipingono: lottando con i colori contro la luce-ambiente. Quindi il Vittoriano, con i suoi meandri cavernosi, i pannelli telati e i faretti, non mi era mai sembrato la sede ideale per vedere i quadri e la pittura. Tuttavia, ricreando per Guttuso la vivacità delle mostra su Dalì a Roma (non molti quadri ma ben collocati, tavoli-vetrina con carte e documenti, una sezione di disegni …) si è ottenuto un buon effetto. La gente è ammirata, flussi di occhi puntati sulle grandi tele: I funerali di Togliatti (1972) e La Vuccirìa (1974) provocano quasi entusiasmo.

 

Con Renato Guttuso (1912- 1987) si riattraversa tutto il Novecento italiano. Per la pittura c’è l’evoluzione della figurazione dall’800 al cubismo, ma anche, per gli artisti più importanti, la difesa della cultura e dei contenuti del fare arte contro l’avanguardismo e l’astrattismo estetizzanti e poi contro l’informale e il concettualismo privi di contenuto che aprono la strada alla subcultura dei mass-media. Difendere la figurazione significa difendere l’arte del disegno come officina simbolica (formale e culturale insieme) del linguaggio pittorico. E Guttuso fu un grande disegnatore. Il pericolo dell’arte figurativa nel ‘900 sarà la retorica: il riprodurre illustrativo, banale, enfatico tipico dei figurativi nostrani degli anni ’60 e ’70: subalterni alla fotografia e alla tv. Guttuso non corre questo pericolo: la sua selezione dei contenuti, la scelta di cosa introdurre dentro il perimetro della tela, è severa. Il suo linguaggio contenutistico-formale (agile, virtuoso, policromo e immaginoso) si confronta con i maggiori ingegni del secolo (Cézanne, Picasso, Modigliani, De Chirico) e ne esce rafforzato e sicuro. Guttuso sa misurarsi con le questioni sociali, con la guerra, l’antisemitismo, le lotte operaie senza cedere di un centimetro alla banalità giornalistica, alla chiacchiera ripetitiva. La pittura è Discussione (1960), omaggio al coraggio civile dell’intellettuale (Picasso e i suoi personaggi,1973). Dissoltasi ogni eco delle polemiche intavolate con le neoavanguardie e i formalisti vecchi e nuovi, il realismo socialista di Guttuso risulta oggi vincente.

Antonio Del Guercio si chiese cosa ne sarebbe stato della pittura nell’ultimo scorcio del ‘900: terminato lo slancio delle avanguardie storiche e sprofondato nell’analfabetismo pittorico lo strillare delle neo-avanguardie (Storia dell’arte presente, 1985, pp. 28.29) il dipingere era approdato ad un nichilistico e funereo paradosso. Vero: la pittura è morta e la si può vedere ormai soltanto nei musei, ma, in morte, la sua portata culturale si è accresciuta a dismisura. La pittura, divenuta storia della pittura, ha ritrovato la sua aura e si offre, densa di significati, allo sguardo e allo studio, non più alla creatività transitata tutta nel digitale. Se mettiamo – come avviene lungo il percorso rigorosamente storico della mostra – ad un capo del lavoro di Guttuso il Ritratto del padre (1930) dipinto siciliano, ma irrobustito di visioni cezanniane e di slanci futuristi che ricordano Deineka, e poniamo, al capo opposto, le ultime tele, molte con colori acrilici o simbolismi violenti (La visita della sera, 1980) a me sembra che il turning point esistenziale e culturale di Guttuso si trovi ben raffigurato nel Caffè Greco, 1976. Fino agli anni ’70, con Picasso, Modigliani, De Chirico (seduto anche lui al caffè), la pittura aveva retto con serenità al confronto con la realtà sociale, riuscendo a definire i suoi contenuti, simboli e linguaggi. In quel bar antico, invece, con alle pareti la pittura neoclassica e romantica di primo Ottocento, vicino alla piazza di Spagna, troneggiava ora sul tavolino la bottiglietta della coca-cola, entravano i turisti giapponesi con la nikon al collo, si agitava la folla americanizzata dei nuovi consumi e delle mode di massa. A me quel quadro ha ricordato Roma (1972) di Federico Fellini: con lo sky-line classico della città travolto dal traffico e dal rumore, dai mass-media e dalla pubblicità. La frontiera della pittura diventava così la resistenza dell’arte – sul piano dei contenuti prima che della forma – al contemporaneo. Per questo, l’auto-biografia in pittura di Guttuso è il racconto del transito novecentesco delle forme: dall’aura culturale all’aura museale. Un racconto che è la storia del mostro passato prossimo.

GUTTUSO (1912-2012), Roma – Complesso del Vittoriano, 12 ottobre 2012 – 10 febbraio 2013.

Nella foto: Caffè Greco, di Renato Guttuso (1976)

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