Sinodo: la Chiesa desidera essere “un’arteria della società”, che trasporta speranza, e nuova energia
Valorizzare il matrimonio
In Aula sono poi risuonati gli inviti alla valorizzazione dei sacramenti del matrimonio e dell’ordine. Monsignor Ulloa Mendieta, arcivescovo di Panamá, ha insistito perché si rafforzi “la pastorale di accompagnamento ai matrimoni e alle famiglie”, affinché queste assumano il volto di “Chiese domestiche” e siano “vere comunità di amore e di vita, di fede e di salvezza”. E ha inoltre invitato a “non trascurare le famiglie che si trovano in situazioni irregolari”. Sulla questione è tornato oggi monsignor Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, secondo cui “l’uomo è niente da solo: tutto si gioca nell’interdipendenza”. Il presule ha additato la “deflagrazione della famiglia” come “il problema numero uno della società contemporanea, anche se pochi se ne rendono conto”. Non così la Chiesa, chiamata a “diventare sempre più la famiglia delle famiglie, anche di quelle ferite”.
L’esempio dei pastori
“I pastori devono guidare con il loro esempio”, è la convinzione di monsignor Benjamin Phiri, vescovo dello Zambia. “Tutti coloro che hanno ricevuto una formazione sacerdotale e religiosa hanno un’ottima preparazione accademica e teologica – sostiene –, ma non sempre sono validi testimoni della parola che predicano”. Occorre pertanto discernimento verso quanti si apprestano al sacerdozio e alla vita religiosa, in quanto vi giungono spesso “candidati non adatti”, che “diventano poi cattivi pastori, disperdendo il gregge invece di radunarlo”. Il tema è stato ripreso stamane da monsignor William Slattery, arcivescovo di Pretoria, in Sud Africa, quando ha notato che se il giovane sacerdote riceve una formazione umana e spirituale insufficiente, sarà incapace di suscitare un senso di appartenenza nelle persone: “Se non ha contemplato personalmente la bellezza assoluta di Dio, (…) non sarà capace di formare gli altri nella santità”.
Il catechista, un ministero stabile?
Il vescovo etiope Markos Ghebremedhin ha proposto di istituire come ministero stabile quello del catechista, semplificando magari il Catechismo, visto che risulta “di difficile comprensione per molti fedeli”, mentre per il brasiliano Ulrich Steiner soggetti della trasmissione della fede devono essere i laici, e in particolare i giovani. L’arcivescovo cubano García Rodríguez ha osservato come mandato dei vescovi sia quello di “andare a far visita alle nostre pecorelle nelle loro case, nelle piazze dove si riuniscono i giovani, nei campi sportivi, nei luoghi di festa, nelle carceri, negli ospedali, nelle scuole e in ogni altro posto per dir loro che la via della felicità, della verità vera e della vita vera è Gesù Cristo”.
La primavera araba e i rapporti con l’Islam
Il Patriarca di Antiochia dei Maroniti Béchara Raï ha notato che il viaggio del Papa in Libano e l’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente “favoriranno l’avvento della ‘primavera cristiana’, che condurrà, per grazia di Dio e grazie a una nuova evangelizzazione illuminata, a una vera ‘primavera araba’ della democrazia, della libertà, della giustizia, della pace e della difesa della dignità di ogni uomo, contro tutte le forme di violenza e di violazione dei diritti”. Sui rapporti con l’Islam si è soffermato il vescovo togolese Barrigah-Bénissan, notando che “la rapida espansione dell’Islam e soprattutto la diffusione del fondamentalismo nell’Africa Occidentale preoccupano molto la Chiesa”. “Basta un giorno per diventare musulmani, ma poi è impossibile rinunciare a questa religione – ha rilevato –. Invece, la preparazione dei catecumeni nelle nostre diocesi dura dai tre ai quattro anni, ma i battezzati abbandonano facilmente la fede cattolica”. La Chiesa nel Togo è giovane e in piena crescita, ma si trova davanti a numerose sfide: la proliferazione delle sette, causata da povertà, disoccupazione, delusione politica, mentre “società segrete ed esoteriche (…) regnano sovrane ai vertici dello Stato”. E poi il numero crescente di sacerdoti che si dedicano “al ministero della liberazione, della guarigione spirituale dei fedeli, soprattutto di quanti provengono dal paganesimo e che provano angoscia di fronte alla stregoneria e ai fenomeni dei malefici”.
XI congregazione generale: 26 interventi per raccontare la Chiesa in ogni nazione.
26 gli interventi registrati stamane durante l’undicesima Congregazione Generale, che ha segnato l’inizio della seconda settimana dei lavori del Sinodo.
È proseguita la presentazione delle realtà della Chiesa come si esprime nelle singole nazioni. Così monsignor Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, in Thailandia, ha parlato delle “comunità ecclesiali di base”, che hanno il compito di rinnovare tutti i cattolici “nella fede e nella vita cristiana”. Monsignor Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, ha ricordato che “senza missione, la piccola comunità cristiana, come anche la Chiesa universale, non sarebbe fedele alla sua vocazione fondamentale di essere testimone del Vangelo”. In Mali la nuova evangelizzazione è “radicamento della fede dei credenti e passaggio del testimone della missione dai missionari stranieri ai pastori autoctoni”: sono le parole di monsignor Tiama, presidente della Conferenza episcopale del Paese. Monsignor Schmitthaeusler, vescovo cambogiano, ha ricordato il genocidio perpetrato dai khmer rossi, che hanno ucciso “vescovi, sacerdoti, religiosi e la maggior parte dei cristiani”, mentre “da vent’anni, viviamo nuovamente l’epoca degli Atti degli Apostoli con un primo annuncio della Buona Novella praticato dai pochi sopravvissuti e sostenuto dall’arrivo in massa dei missionari”. Il vescovo pakistano Shaw ha raccontato che la Conferenza episcopale del Pakistan ha tradotto il Catechismo in lingua urdu, idioma nazionale, “in modo che le persone possano accedere ai principi fondamentali della nostra fede”. E ha invitato a riscoprire un “sano senso dei rapporti umani”, alla maniera di Gesù, mentre “oggi le nostre vite sono dominate da rapporti consumistici, del tipo usa e getta”.
La fede non è mai solo privata
Il cardinale Bozanic, arcivescovo di Zagabria, ha riflettuto sulla fede, che “non può mai essere rinchiusa solo nella dimensione del privato, perché la testimonianza del cristiano è per natura sua pubblica”. Lo attesta la “coraggiosa testimonianza dei martiri” e ne sono manifestazione i pellegrinaggi. Riguardo ad essi il cardinale Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha notato che possono essere “occasione di rinnovamento della fede e anche di una prima evangelizzazione”, mentre gli odierni fenomeni migratori offrono “alla Chiesa nuove occasioni per l’evangelizzazione”, ad esempio verso “quanti non conoscono Cristo e si stabiliscono in Paesi di tradizione cristiana”.
Il cardinale Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, dopo aver rilevato che “grande ostacolo alla nuova evangelizzazione è certamente la divisione tra i cristiani”, ha ipotizzato “qualche forma di cooperazione tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali”, in particolare con le Chiese ortodosse russa e romena, in vista di una strategia pastorale per fronteggiare sfide comuni ai popoli dell’Est come dell’Ovest, tra le quali consumismo e relativismo.
Un caos culturale
Secondo il vescovo ucraino Taras Senkiv l’uomo vive oggi “in un ambiente di caos culturale”, che “deforma la comprensione della Verità e Bontà, e lo determina all’autoisolamento nel soggettivismo”. Conseguenza di una mentalità consumistica sono il “relativismo morale e religioso” che spinge l’uomo a vivere “forme di pseudo religiosità”. Obiettivo dell’evangelizzazione è invece quello di rianimare in lui “l’esigenza essenziale di Dio che salva, e convincerlo che la sua vita prende senso solo mediante la comunione con Cristo nella comunità della Chiesa”. Ne è convinto anche il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi: “Oggi molte persone non negano il fatto che Dio esista, ma non lo conoscono” e allora “cercano diverse modalità religiose, scelte da ciascuno in base ai propri gusti, in modo da assicurarsi quell’esperienza religiosa che sia più soddisfacente rispetto ai propri interessi o alle necessità del momento”. È quindi “tempo di spalancare le porte delle nostre chiese e tornare ad annunciare la risurrezione di Cristo, di cui siamo testimoni”.
Viviamo in “un un mondo pieno di nuovi idoli verso cui l’uomo di oggi va ad inchinarsi”, constata il vescovo romeno Virgil Bercea, secondo il quale urge “trovare un linguaggio e un metodo che possano toccare il cuore dell’uomo della postmodernità”. Tuttavia “dobbiamo ammettere con umiltà che le nostre passate risposte sono state superate dai mutamenti del mondo”, e che “le nostre voci vengono talvolta soppresse dalle leggi nazionali oppure dalle potenti forze che esercitano il controllo sui media” nota il vescovo malese Wong Soo Kau. Innanzi al tentativo di rimuovere l’influenza della Chiesa dagli ambiti pubblici, il vescovo Kinyaiya, della Tanzania, afferma però: “Il mondo è una vasta vigna. Il padrone della vigna è il Signore ed Egli invita ogni uomo, ogni donna e ogni bambino a entrare nella vigna e lavorare in modo che essa produca i frutti di molte buone opere”.
La Chiesa, arteria della società
Suggestive, infine, le parole pronunciate oggi da monsignor Miyahara, vescovo di Fukuoka in Giappone: “La Chiesa desidera essere come un’arteria della società, per trasportare speranza, incoraggiamento, conforto e infondere nuova energia in tutta la società, come il corpo umano è vitalizzato dall’azione delle arterie e delle vene che trasportano ossigeno e nutrimento ed eliminano le scorie. Se la Chiesa si allontana dalla società, l’evangelizzazione non porterà frutto. È indispensabile che, attraverso l’evangelizzazione, la Chiesa infonda abbondantemente nuova linfa nella vita sociale e familiare”, discernendo i “segni dei tempi”, per “rinnovare dall’interno tutta la società”.