La nostalgia per la cosiddetta contestazione, violenta, parte preminente della nostra storia, mai rinnegata

Condividi su...

Nel suo libro “Sui muri. Manifesti della contestazione 1969-1979” per la casa editrice WriteUp Site, Sergio Risso pubblica molti tatzebao -manifesti politici dal 1969-1979. Sono pieni d’odio seminato che ha attecchito come l’edera in Italia e grondano di sangue, oppure ammaliavano gli intellettuali e non valutati come aberrazioni, ma presentati come patetiche acritiche rievocazioni, senza esame di coscienza, senza pentimento, senza richiesta di perdono.

“Gran parte dei ceti dirigenti oggi sopra i sessanta vengono da lì, hanno talvolta mutato lato ideologico, tuttavia si piacciono anche per essere stati così veementi, altro che questa gioventù spompata per come erano allora. Nessun esame di coscienza ovvio. (…) È un fatto che questa robaccia abbia catturato la mente non solo di chi usò chiavi inglesi per spaccare le ossa degli altri, e poi passò alla P38 e ai fucili a pompa, ma anche quella schiera di ragazzi e adulti che facevano ala a costoro e tollerarono che le università fossero invase da questi princìpi ma soprattutto da questa estetica” (Renato Farina).

«Ho vissuto a Milano gli anni ’70 quando tanti marciavano al grido di “Viva Marx, Viva Lenin, Viva Mao-tse-tùng”. Queste persone si consideravano l’avanguardia della società. Ora le loro idee si sono dileguate e fanno parte del bagaglio dei ricordi, i danni sono rimasti. Ora c’è la nuova avanguardia radical-chic dei nuovi diritti (aborto, eutanasia, matrimonio gay, depenalizzazione della pedofilia). Anche quest’ondata passerà lasciando dolori e detriti. Non bisogna lasciarsi affascinare né intimidire. La cosa più saggia è pregare. Poi comprendere, perdonare, sorridere, lavorare ed essere fedeli ai propri amori» (Giuseppe Corigliano – Facebook, 28 gennaio 2016).

Aggiungo, se mi permettete di fare un’autocitazione…: «Ho vissuto gli anni 65-75 all’Università statale di Gent (RUG) e all’Università cattolica di Leuven (KUL) (con contatti regolari con leader dei studenti di altre Università e Paesi anche in altri Continenti) e ne ho ancora la memoria viva, dei danni provocati e della nostra azione di proporre la strada evangelica, del dialogo, del rispetto, del “semper reformando”. Posso assicurare che sapevamo dei danni che ci sarebbero stato nei decenni a seguire: Me lo disse Ludo Martens, condottiere dell’avanguardia maoista: noi non vogliamo la rivoluzione adesso, ma i risultati delle nostre azioni si vedranno quando la generazione degli studenti attuale avrà dei figli e arriverà nelle stanze dei bottoni, nelle università, nell’industria, nel governo, ecc. Lo sapeva lunga, a ragion veduta» (Vik van Brantegem – Facebook, 30 gennaio 2016).

«Sergio Risso, fotografo, colleziona da diversi decenni i manifesti “della contestazione”. La sua raccolta, di cui questo catalogo è solo una parte, testimonia il passaggio di un’epoca, e di un furor politico difficilmente oggi replicabile» (dal sito Writeupbooks.com). «Alcuni di questi manifesti li ho avuti per le mani anch’io e, come molti della mia generazione, li ho affissi nottetempo convinto della forza del messaggio politico immediato che avrebbero sprigionato. Non immaginavo che nella stessa notte c’era una persona che ne aveva capito anche il valore storico profondo e si preoccupava di “salvarli”, raccoglierli e catalogarli per la memoria di altre generazioni. Perché altri occhi li potessero vedere e potessero ricostruire il contesto sociale che ben raccontano. Questo libro parla di noi, non di altro. È un grande lavoro da valorizzare, anche a livello locale» (Gianfranco Massetti – Sinistraxpadernodugnano.wordpress.com, 6 luglio 2020).

La sinistra è maestra di vita violenta e ottusa. Non rinnega il passato
di Renato Farina
Libero, 11 ottobre 2020

Il sito si chiama «Sinistra x Paderno Dugnano» che è una città dell’hinterland di Milano. Vi si legge: «Il concittadino Sergio Risso ha pubblicato, per la casa editrice romana “WriteUp Site”, un bel libro dal titolo Sui muri. Manifesti della contestazione 1969-1979 (344 pagg., €45.00). Un volume elegante, ben stampato e rilegato, dalla copertina morbida». Elegante, copertina morbida. Un babà per labbra delicate e sentimenti gentili, come predica anzi intima oggi il vate della sinistra Gianrico Carofiglio. La recensione è di Gianfranco Massetti, già sindaco del Pd a Paderno e ora in Leu (il partito al governo con Roberto Speranza). Scrive a ragione che il volume è interessante e significativa la raccolta, ma comunica soprattutto una irresistibile attrazione, e così si specchia con nostalgia in quei 400 manifesti selezionati dal fotografo Risso. Quei tatzebao sono stati trasferiti dai muri nel santuario interiore e glorioso dei compagni, caro album di famiglia, e sono neppure nascostamente venerati come tappe in cui la passione politica era «formidabile» (Mario Capanna) e come dice la frase che reclamizza il volume: «Testimonia il passaggio di un’epoca e un furor politico difficilmente replicabile». Furor politico! Si chiama così la semina dell’odio che ha attecchito come l’edera in Italia?

La copertina è di una violenza così totale e stupida da farci dire cinquant’anni dopo: com’è stato possibile che questa roba sia stata parte preminente della nostra storia? Com’è possibile che non sia trattata nei documentari storici della Rai e sulle pagine culturali dei quotidiani come si farebbe con i manifesti nazisti: esposti magari sì, spiegati, indagati nelle loro origini, guai all’oscurantismo, ma anche valutati come aberrazioni. Invece no, sono oggetto di patetiche rievocazioni, quasi fossero canzoni dei Cugini di Campagna. Chi infatti li appese allora con il secchio della colla, o più probabilmente spedendo galoppini, ha fatto certo carriera salendo sulle spalle proprio di quelle esperienze di contestazione organizzata e inchiostrata di minacce (mantenute).

Niente esame di coscienza

Gran parte dei ceti dirigenti oggi sopra i sessanta vengono da lì, hanno talvolta mutato lato ideologico, tuttavia si piacciono anche per essere stati così veementi, altro che questa gioventù spompata per come erano allora. Nessun esame di coscienza ovvio.

La copertina che qui mostriamo è perfetta nella rappresentazione delle movenze profonde della cosiddetta contestazione, che era una ben strana contestazione, essendo avallata dal potere culturale dominante ed era tradotto in prosa in scalmanati documenti, tra i quali il più famoso è quello pubblicato dall’Espresso nel giugno del 1970 e intitolato «Calabresi torturatore». Quel testo fu uno tra i molti appelli. Michele Brambilla in “L’eskimo in redazione” ha fotografato questo mondo a testa rovesciata. Rileggerlo è istruttivo tanto quanto lo sfogliare “Sui muri” di Risso. Si è soliti ricordare le settecento firme di quel proclama foriero di assassinio, ma si evita sempre di ricordare che esso fu sottoscritto dalla sigla che raccoglieva la corrente maggioritaria del sindacato dei giornalisti. Così era quella categoria allora. Resta che essa a tutt’oggi, in documenti dell’Ordine, non ha mai sconfessato quelle forme e addirittura ha rivendicato nella sua sezione lombarda quelle forme come espressione di libertà, oibò. Casi isolati di pentimento ci sono stati. Il libro di Brambilla è dimenticato, in compenso sono allegati gratis ai quotidiani testi di maestri del pensiero che erano in prima fila ad additare alle bande armate rosse i loro nemici che giravano in cinquecento, come il citato commissario.

L’immagine del libro che è esposta nelle librerie e suscita simpatie e rimpianti, mostra un pugno rosso, la grafica è quella del realismo socialista degli anni 30, con Stalin regnante, e la Russia nelle mani di Ezov e del terrore rosso. Essa è davvero la rappresentazione dell’estetica fascinosa per gli occhi dei suoi adepti e subito dopo brutale e fracassante con la chiave inglese le teste di chi la rifiutava. L’estetica è lo specchio dell’etica, e non è un gioco di parole: è la percezione del bello («la bellezza è promessa di felicità», Herbert Marcuse, che nessuno però leggeva) a essere infinitamente più convincente nel determinare sistemi di valori e azioni conseguenti che non la dialettica astrusa, i pesanti discorsi infarciti di «cioè» «nella misura in cui» «a monte», e i comandamenti morali. Le immagini corrispondo a slogan puerili, ma affascinanti per molti. Quel pugno spigoloso ed enorme spezza come un colpo di karate le lastre marmoree di parole amuleto, come sfruttamento, repressione, società dei consumi, Nato.

Come e perché si affermò quella estetica che avvolse come un manto lucente scelte mostruose? Che cosa accadde in quegli anni perché apparisse bella questa roba, e persino il sangue con il suo colore e la sua spuma sul marciapiede facesse brillare lo sguardo alla crème delle classi alte? Classi alte, certo. Inutile fingere: a Monza, dove facevo il liceo, il capo del Movimento studentesco (studenti, operai uniti nella lotta; Agnelli e Pirelli vogliono i colonnelli, ma non hanno fatto i conti con gli studenti; fascisti, borghesi ancora pochi mesi) non voleva gli si telefonasse a casa. Un mio compagno di classe militante fedele fece il suo numero perché doveva far sapere con urgenza che, notizia di una loro talpa in Procura, era stata organizzata la perquisizione della sede piena di spranghe. Si sentì rispondere dal maggiordomo: «Le chiamo subito il signorino».

È un fatto che questa robaccia abbia catturato la mente non solo di chi usò chiavi inglesi per spaccare le ossa degli altri, e poi passò alla P38 e ai fucili a pompa, ma anche quella schiera di ragazzi e adulti che facevano ala a costoro e tollerarono che le università fossero invase da questi princìpi ma soprattutto da questa estetica. I sigari del Che Guevara, il basco sulle 23 con la stella rossa, ah già la continuità con allora è data dalla musica, “Bella ciao” dominava, anche se considerata troppo sentimentale. Fu sostituita dalle nenie andine degli Inti Illimani, mentre i cantautori di moda allora sono rimasti gli stessi, dopo che subirono qualche processo proletario perché guadagnavano troppo ma furono perdonati.

Camus e Hugo

Ci sarebbe un altro perché da porsi. Perché tutto ciò da noi non è rinnegato, ma vezzeggiato, quasi fosse polvere di un oro antico. In Francia e in Germania era ed è diverso. C’era un’altra profondità culturale in quei ragazzi della contestazione. Non avevano ragione, ma sentivano il fascino di Camus e di Merlau Ponty, della Yourcenar e persino di Victor Hugo più che di Engels e del determinismo storico marxista. Basti leggere i discorsi di Cohn Bendit e di Regis Debrè: un’altra storia. Per questo essi furono sconvolti da Arcipelago Gulag di Solgenitsin e presto rinnegarono il comunismo e quelle utopie sanguinarie. Da noi brillava Dario Fo che certo fu uno spettacolare artista, ma totalmente obnubilato dalla voluttà di far dimenticare il suo passato di rastrellatore repubblichino di partigiani. In quegli anni disgraziati non dimentichiamo però chi resistette, pagando un prezzo oggi dimenticato e che consentì allora di mantenere spazi di libertà e di diversa presenza nelle università e nelle scuole. Erano i ragazzi di Comunione e Liberazione, che guardando quelle immagini e quegli slogan di fogne per fascisti e di sangue delle camice nere con cui tingere di rosso le bandiere, meriterebbero forse un grazie tardivo. Mi pare che tra chi li capeggiasse ci fosse un tale Roberto Formigoni… Ma questa è un’altra storia.

151.11.48.50