“Il sacerdote annunci con forza il Vangelo”. L’appello del primate della Chiesa greco-cattolica ucraina Shevchuk

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“E’ importante che il sacerdote annunci con forza la buona novella evangelica”. Durante i lavori del sinodo, Sviatoslav Shevchuk, primate della Chiesa greco-cattolico ucraina, ha tenuto un discorso appassionato perché le omelie “trovino una nuova forza kerigmatica”. E cosa intende, Sua Beatitudine lo spiega in un briefing con i giornalisti a margine dei lavori del Sinodo. “I sacerdoti – denuncia – cercano il modo di agganciare la gente, si mostrano come uno showman, parlano di cose sociali. Ma non parlano alla luce del Vangelo. E così questa parola del Vangelo letta durante le liturgie non viene annunciata. Questo impedisce di attingere la forza della vita cristiana dalla parola di Dio quotidiana”.

 

Per Sua Beatitudine Shevchuk, la nuova evangelizzazione comincia da qui. Quarantatre anni, ucraino, parla fluentemente italiano, inglese, polacco, russo e spagnolo. La prima cosa che ha fatto quando è stato eletto per succedere al cardinale Lubomyr Husar alla guida della comunità greco-cattolico ucraina (era il 2011) è stata una lettera pastorale ai giovani. Segno che l’evangelizzazione è un tema  che gli sta particolarmente a cuore.  Shevchuk parla prima di tutto una nuova evangelizzazione intra-religiosa, all’interno della stessa religione. E poi, interreligiosa. A partire da una base comune: la dottrina sociale della Chiesa. L’insegnamento sociale che è un perno anche dell’ecumenismo.

“La divisione tra i cristiani – dice Shevchuk – è uno scandalo che ci impedisce di annunciare con forza la parola di Dio. E questo lo posso confermare secondo le nostre esperienza in Ucraina. A causa di questa intolleranza tra i cristiani, la parola di Dio perde di valore. Ma abbiamo anche un’esperienza positiva: quindici anni fa si è creata una associazione civile, il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle associazioni religiose, che comprende il 95 per cento dei credenti. E così abbiamo imparato a costruire non solo la pace religiosa in Ucraina. Siamo anche diventati una voce potente dal punto di vista morale. Quest’anno, il primo dicembre si festeggiava il ventennale del referendum con cui i cittadini hanno scelto l’Ucraina indipendente, e noi, capi della Chiese più grandi in Ucraina abbiamo divulgato un messaggio in cui abbiamo parlato delle radici spirituali della crisi. Questo è stato ben recepito, è piaciuto questo nostro agire uniti. Abbiamo imparato a convivere, ma anche a costruire una nazione comune”.

Certo, ci sono ancora delle cose irrisolte. E una delle cause della mancata piena comunione, per Shevchuk, riguarda proprio la mancanza di libertà delle Chiese. Lui – che recentemente ha denunciato con forza che “la Chiesa ortodossa russa è stata utilizzata dal regime di Stalin per la liquidazione forza della Chiesa greco-cattolica in Ucraina” e ha chiesto le scuse del patriarcato di Mosca per la cosiddetta “guarigione della memoria – sostiene che la piena unità “sarà possibile quando le Chiese saranno libere dalla politica. Perché le Chiese ortodosse sono strumentalizzate dagli scopi politici, specialmente quando il centro di questa Chiesa è fuori dall’Ucraina. Allora diventa uno strumento di geopolitica, e non è libera più di essere se stessa”.

Per questo, la Chiesa greco-cattolica si è tirata fuori da ogni dibattito politico. A livello pastorale, Shevchuk non si aspetta un patriarcato, né si aspetta di diventare patriarca, o eventualmente cardinale. “Mi aspetto di essere santo”, dice.  E, tra l’altro, sottolinea, con il patriarcato cambierebbe poco. Solo, il sinodo della comunità greco cattolica ucraina non sarebbe più tenuto a chiedere al Papa l’approvazione della persona che vota alla sua guida. Non chiude all’ipotesi di un Papa di rito greco-cattolico, anche perché in fondo “la presenza dei cattolici di rito greco è ciò che fa la Chiesa cattolica, cioè universale”. Si è spesso parlato di una visita di Benedetto XVI in Ucraina, che sarebbe dovuta avvenire quest’anno. Non c’è stata, ma Shevchuk è ottimista. “Io penso che verrà”, dice.

E i rapporti, più che con Roma, sono difficili con la Chiesa cattolica italiana. I cattolici di rito orientale hanno il clero sposato, e anche la piccola Chiesa guidata da Shevchuk presenta “il 90 per cento di sacerdoti sposati e il 10 per cento di sacerdoti celibi”. Questo non costituisce più un problema per le comunità negli Stati Uniti e in Canada, dove vengono inviati sacerdoti con le loro famiglie, “il che è anche un esempio di Chiesa domestica da esportare”; ma è un problema per la Chiesa italiana, che da poco affronta il problema dell’exploit della presenza dei cattolici di rito greco e che ancora fatica ad accettare la presenza di sacerdoti sposati alla guida della comunità. “Ci sono passi avanti da compiere – dice Shevchuk – anche nel dialogo. La Conferenza Episcopale Italiana è restia a concedere un ordinariato ai cattolici di rito greco, hanno parlato piuttosto di cappellanie etniche, che hanno lo scopo di ricondurre tutto al tessuto religioso italiano. Questo vuol dire assimilazione”.

Eppure la Chiesa greco-cattolica ha difeso il celibato in Austria, dove “abbiamo avuto un periodo bellissimo”, dice Shevchuk. “E’ noto – commenta sua Beatitudine – che un gruppo di sacerdoti latini aveva protestato in Austria contro la tradizione del celibato sacerdotale. Ma i nostri preti greco-cattolici sposati hanno scritto una lettera, valorizzando il celibato e la vita consacrata. Si è trattato di una testimonianza molto interessante. Perché noi abbiamo la tradizione del sacerdote sposato, ma non disprezziamo il celibato e il monachesimo. Anzi, penso che proprio dai nostri sacerdoti sposati può arrivare una voce potente per difendere il celibato e mostrare il valore di questo dono di Dio. Spesso si dice che se il celibato fosse abolito potrebbe risolvere i problemi. Noi pensiamo di no”.

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