In Italia gli aborti sono in calo, ma aumentano tra le immigrate

Nella settimana scorsa il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha presentato al Parlamento la relazione sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78). Nel 2011 sono state effettuate 109.538 IVG, con un decremento del 5,6% rispetto al dato definitivo del 2010 (115.981 casi) e un decremento del 53,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’IVG (234.801 casi). Il tasso di abortività (numero delle IVG per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all’IVG, nel 2011 è risultato pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3% rispetto al 2010 (8,3 per 1.000) e un decremento del 54,7% rispetto al 1982 (17,2 per 1.000). Il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei Paesi industrializzati. Diminuzioni particolarmente elevate si sono registrate in Molise, Campania, Basilicata. Il rapporto di abortività è stato calcolato utilizzando i dati provvisori dei nati vivi (540˙910) del 2011, forniti dall’Istat, ed è risultato pari a 202.5 IVG per 1000 nati vivi, con un decremento del 2.8% rispetto al 2010 (208.3 per 1000) e un decremento del 46.7% rispetto al 1982.
Nel 2010 si è notata una stabilizzazione generale del fenomeno dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7% del 2005, al 69,2% del 2006, al 70,5% del 2007, al 71,5% del 2008, al 70,7% nel 2009 e al 69,3% nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7% al 50,8%. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6% nel 2005 al 44,7% nel 2010. Percentuali superiori all’80% tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2% in Basilicata, 83,9% in Campania, 85,7% in Molise, 80,6% in Sicilia, come pure a Bolzano con l’81%. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75% in Molise e in Campania e 78,1% in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7%) e in Valle d’Aosta (26,3%). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 86,9% in Sicilia e 79,4% in Calabria. Per quanto riguarda i numeri dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali. Per quanto riguarda le minorenni, il tasso di abortività nel 2010 è risultato pari a 4,5 per 1.000 (4,4 per 1.000 nel 2009), con valori più elevati nell’Italia settentrionale e centrale.
Come negli anni precedenti, la Relazione conferma il minore ricorso all’aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale. Il rapporto di abortività (numero delle IVG per 1.000 nati vivi) è risultato pari a 202,5 per 1.000 con un decremento del 2,8% rispetto al 2010 (208,3 per 1.000) e un decremento del 46,7% rispetto al 1982 (380,2 per 1.000). L’analisi delle caratteristiche delle donne che ricorrono all’IVG, riferita ai dati definitivi dell’anno 2010, ha confermato che nel corso degli anni è andata crescendo la quota di IVG richiesta da donne con cittadinanza estera, raggiungendo nel 2010 il 34,2% del totale delle IVG, mentre, nel 1998, tale percentuale era del 10,1%. Inoltre dalla fine del 2011 l’Istat ha terminato il calcolo delle stime ufficiali della popolazione straniera residente in Italia per sesso, età e cittadinanza dal 2003 al 2009. Ciò ha permesso di calcolare i tassi di abortività per le sole cittadine italiane e per le straniere, confermando la decrescita dei tassi di abortività volontaria tra le italiane ma anche un forte decremento tra le straniere, specie quelle provenienti dalle aree più povere del mondo: nel 2009 il tasso per le italiane è risultato pari a 6,9 per 1.000 per le cittadine italiane di età 15-49 anni, a 7,7 per 1.000 nelle cittadine dei Paesi in via di sviluppo e a 26,4 per 1.000 in quelle di Paesi più poveri, indicando che ancora quest’ultimo gruppo di donne ha livelli di abortività molto più elevati delle italiane.
Il Ministro Balduzzi ha così commentato questi dati: “La promozione della procreazione responsabile costituisce la modalità più importante per la prevenzione dell’aborto. Per conseguire tale obiettivo, è importante potenziare la rete dei consultori familiari, che costituiscono i servizi di gran lunga più competenti nell’attivazione di reti di sostegno per la maternità, in collaborazione con i servizi sociali dei comuni e con il privato sociale. Specifica attenzione dovrà anche essere posta verso i gruppi di donne straniere a maggior rischio di ricorso all’IVG con specifici interventi di prevenzione che tengano conto anche delle loro diverse condizioni di vita, di cultura e di costumi”.
Comunque nel rapporto risulta evidente che i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l’interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete dei servizi, degli organici, delle sedi. Perciò il ministro ha chiesto “la necessità di una maggiore valorizzazione dei Consultori familiari quali servizi primari di prevenzione del fenomeno abortivo e di una effettiva integrazione con i centri in cui si effettua l’IVG, potenziando anche il ruolo di centri di prenotazione per le analisi pre-IVG e per l’intervento”.
Il presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, prof. Lucio Romano, ha commentato così il rapporto: “Per quanto statisticamente e apparentemente in diminuzione, il numero complessivo di aborti rappresenta comunque il perseverare di gravi sconfitte sotto il profilo umano e sociale… Molteplici le cause che costantemente si ripresentano, come si evince dalla stessa relazione, quali: mancata valorizzazione dei servizi primari di prevenzione, scarsa attenzione per la collaborazione con il privato sociale, insufficiente attivazione delle reti di sostegno per la maternità, carenza nell’informazione sul diritto a partorire in anonimato. E’ assolutamente necessario indirizzare sforzi congiunti per una vera cultura dell’accoglienza pre e post concezionale, attraverso un’opera capillare di prevenzione e di formazione incentrata, tra l’altro, sull’educazione della sessualità e all’affettività. Infine, il significativo e prevedibile ricorso alle dimissioni volontarie dopo l’uso della RU486, dimostra chiaramente il diffondersi della cultura della privatizzazione dell’aborto e la sua invisibilità sociale. Infatti, la gran parte delle donne che ha fatto ricorso all’aborto chimico ha preferito firmare le dimissioni e consumare tutte le fasi abortive nella drammaticità della solitudine”.