Ecologia umana: l’embrione non è brevettabile

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Una denuncia di Greenpeace ha portato alla sentenza della Corte Europea che sancisce che non ci possono essere profitti dalla distruzione di embrioni umani. La Corte di Giustizia Europea ha stabilito che non si può brevettare nessuna procedura che comporti la distruzione di un embrione umano. È invece possibile brevettare procedimenti che coinvolgono embrioni umani se risultano di una qualche utilità per l’embrione stesso. Ad esempio una diagnosi o una cura. La sentenza della Corte di Giustizia Europea apre ora nuovi scenari. Dove andranno a finire tutte le ricerche già finanziate sugli embrioni umani? E in che modo i Paesi europei con una legislazione più libera riguardo la sperimentazione scientifica faranno fronte alle conseguenze della sentenza?  Già c’è chi parla di leggi cuscinetto, in maniera tale da aggirare le norme europee. Ma la vera particolarità è che la sentenza della Corte Europea viene da una denuncia di Greenpeace all’ufficio brevetti tedesco.

 

Nel 1997, il professor Burstle  aveva brevettato sul procedimento di una cura che si fonda sull’uso di cellule progenitrice neurali isolate e depurate ricavate da cellule staminali embrionali umane allo stadio iniziale di blastocisti, ovvero a circa 5 giorni dalla fecondazione. Su domanda presentata da Greenpeace l’ufficio Brevetti tedesco annullò la registrazione. Il medico sostenne in appello che non si poteva parlare di embrioni umani per le cellule staminali in stadio di blastocisti. Nel 2009 la Corte di Cassazione federale ha adito la Corte di Lussemburgo, 2o per una interpretazione della nozione di “embrione umano” nella direttiva europea sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche che vieta la possibilità di sfruttare commercialmente le procedure ed i medicinali ricavati distruggendo embrioni umani. “Non escludere dalla brevettabilità una tale invenzione – ha scritto la Corte Ue – avrebbe la conseguenza di consentire di eludere il divieto di brevettabilità mediante una abile stesura della rivendicazione”.

Per la Corte, l’embrione è qualificato come “umano” sin dal primo istante della sua esistenza. C’è di più: la definizione di embrione è estesa anche agli embrioni  formati mediante trasferimento nucleare – il metodo utilizzato per far nascere la pecora Dolly – e quelli per partenogenesi da ovocita non fecondato – cioè quando il gamete femminile si divide e si sviluppa come un embrione pur non essendo stato fecondato. Vengono così scoraggiate le sperimentazioni estreme, che hanno l’ambizione di cercare nuove modalità di creazione dell’umano diverse da quella naturale, diverse cioè dall’unione di gameti di persone di sesso differente.

E tutto è partito da una denuncia di Greenpeace. Che dimostra così di perseguire quella “ecologia dell’uomo” che tante volte Benedetto XVI ha richiamato nei suoi discorsi. Anche in quello al Bundestag, il Parlamento tedesco, dove il Papa ha plaudito al movimento dei Verdi (e alcuni di loro per protesta non erano presenti) e ha sottolineato come l’attenzione per l’ecologia deve essere accompagnata all’ecologia dell’uomo.

Forse è proprio lì che si può trovare un punto di convergenza tra culture differenti. Il percorso che ha portato alla sentenza della Corte Europea ha in qualche modo rappresentato un punto di svolta. La convergenza sulla non brevettabilità della vita unisce ambienti pro-life con ambienti che tradizionalmente non lo sono. Lo dimostrano le parole di  Alessandro Gianni, direttore delle campagne italiane di Greenpeace: “La vita non si può brevettare e oggi la Corte di Giustizia della UE dà ragione a questo principio.  Per noi si tratta di una conferma del principio visto che ci sono dei limiti chiari e invalicabili sugli embrioni umani. Questo brevetto non ha niente a che fare con la ricerca.  La brevettabilità di embrioni umani porta con sé il rischio concreto di clonazione ma anche della nascita di un mercato degli embrioni umani. La conferma dello stop ai brevetti sulla vita da parte della Corte UE previene proprio questi pericoli”.

(da La Sicilia, 20 ottobre 2011, pag 28)

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