Il Papa:col Vangelo “Dio ha rotto il suo silenzio”, “il cristiano non dev’essere tiepido”

“Dio ci conosce – ha proseguito il Pontefice –, è entrato nella storia: Gesù è la sua parola, il Dio con noi, che ci mostra che ci ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge”. Benedetto XVI parla a braccio davanti ai 262 patriarchi, cardinali e vescovi Padri sinodali. Ci sono gli esperti e gli uditori, i delegati fraterni e lo staff della Segreteria Generale. In tutto oltre 400 persone e l’Aula nuova del Sinodo è gremita. Il Papa struttura la sua meditazione (venti minuti) suddividendola in due parti. Dapprima riflette sul significato della parola “evanghelion”, notando che ha una lunga storia: appare in Omero, come annuncio di vittoria. Nel Secondo Isaia è una voce che comunica gioia da Dio e fa capire che Lui è presente, ha potere e non ha dimenticato il suo popolo. “La questione per noi è come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi perché diventi salvezza” osserva Benedetto XVI, spiegando poi che “la Chiesa non comincia con il nostro agire, ma con il fare, il parlare di Dio”.
Gli apostoli non si sono riuniti in un’assemblea costituente per fondare la Chiesa, ha ricordato il Papa: “Hanno pregato, e in preghiera aspettato, perché sapevano che solo Dio può creare la sua Chiesa. Dio è il primo agente”. Così anche oggi, “solo Dio può cominciare, noi possiamo solo cooperare”. Non è quindi una “mera formalità”, iniziare “ogni giorno la nostra assise con la preghiera” precisa il Papa: “Solo il precedere di Dio rende possibile il nostro camminare”, ricordando che “l’iniziativa viene da Dio e solo inserendoci in essa possiamo anche noi divenire con Lui e in Lui evangelizzatori”. Ma Dio “vuole anche il nostro coinvolgimento”, attraverso confessio e caritas. La parola “confessione” – che sottintende la concezione virginale di Gesù, la sua nascita, passione, croce e risurrezione –, nel latino cristiano ha sostituito “professio”, portando in sé l’elemento martirologico, ossia la disponibilità a soffrire, a “testimoniare davanti a istanze nemiche alla fede, anche in situazione di passione e pericolo di morte” precisa il Papa. Implica pertanto la possibilità del dono della vita “e proprio questo garantisce la credibilità”.
È una verifica: “Vale la pena di soffrire fino alla morte”. “Chi fa questa confessio – osserva il Pontefice – dimostra così che quanto confessa è la vita stessa, è il tesoro, la perla preziosa e infinita”. Questa confessione, ricorda Benedetto XVI citando san Paolo, “deve stare nel profondo del cuore, ma dev’essere anche annunciata davanti agli occhi del mondo”. Dev’essere “intelligente” e “penetrare i sensi della nostra vita”. “La melodia di Dio deve intonare il nostro essere nella sua totalità” nota con poesia. La confessio non è però qualcosa di astratto. Secondo il Papa “la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, che accende realmente il mio essere, diventa grande passione e così accende il prossimo”. Questo è il ruolo dell’evangelizzazione, Parola che diviene realtà vissuta: “Che la verità diventi in me carità e questa accenda come fuoco anche l’altro”. “Il cristiano non dev’essere tiepido” ammonisce Benedetto XVI, perché “la tiepidezza discredita il cristianesimo”.
Il Papa conclude riandando al racconto che l’evangelista Luca fornisce della Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo in forma di lingue di fuoco. Il fuoco è all’inizio della cultura umana: è luce, calore, è forza di trasformazione. Può distruggere, ma può anche rinnovare. E l’uomo in cui arde la fiamma dell’amore “diventa luce di Dio”.
La foto è di Luca Caruso