Gabriele è colpevole per il Tribunale, ma la vicenda non è chiusa.

E adesso la prossima parola spetta al Papa. La sentenza di prima istanza del processo a carico di Paolo Gabriele è arrivata in una mattina di sabato alla vigilia dell’ apertura del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Quattro udienze per ripercorrere le vicende illustrate dall’ istruttoria che dal 23 maggio si è conclusa il 13 agosto. Una parte dell’ istruttoria a dire il vero. Solo quella che riguarda il furto di documenti riservati del Papa. Paolo Gabriele è colpevole, il Tribunale vaticano lo condanna a 18 mesi di reclusione tenendo conto delle attenuanti previste dalla legge del 1969 che si aggiunge al codice di diritto penale vaticano, lo Zanardelli. Per ora Gabriele è tornato a casa, agli arresti domiciliari. Ha tre giorni di tempo per decidere se ricorrere in appello o no. E poi c’è la possibilità, molto concreta, della grazia da parte del Papa. Potrebbe anche cancellare tutto. E l’inchiesta non è finita.
Proseguono le indagini, c’è un fascicolo aperto sulla condotta della Gendarmeria nella fase istruttoria, c’è il processo a Claudio Sciarpelletti che forse si farà a novembre, dopo la fine del Sinodo. Paolo Gabriele, sempre distaccato e a volte sorridente, è decisamente impenetrabile. Il suo avvocato difensore sembrava non aver concordato bene la linea difensiva con il suo cliente e a tratti sembrava più attenta a far passare notizie alla stampa che curare a fondo il suo assistito. Un’impressione certo. Ma stamattina anche il Promotore di Giustizia Nicola Picardi ha spiegato la sua attenzione addirittura posta a confrontare il codice Zanardelli con il codice Rocco, per cercare la pena più mite. 18 mesi che se non arrivasse la grazia e se non si ricorresse in appello Gabriele potrebbe scontare in Italia, scalando i mesi già trascorsi dal 23 maggio, giorno del suo arresto. Le questioni aperte sono ancora molte. Il Tribunale scrive tra le attenuanti “il convicimento- se pur erroneo- indicato dall’imputato quale movente della sua condotta, nonchè la dichiarazione circa la avvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre.”
L’ultima parola infatti l’ha detta Paolo Gabriele in Tribunale prima della sentenza: “ non mi sento un ladro”. Anzi è ancora convinto di aver agito per il bene della Chiesa. “ Sento di aver agito per eccessivo amore, viscerale direi, della Chiesa di Cristo e del suo capo visibile.” Parole che fanno venire i brividi. Davvero si può pensare che invece di parlare direttamente con l’interessato di un problema sia meglio mettere tutto in pasto alla pubblica opinione? L’avvocato Arru, il cui padre oggi era presente in aula, parla di “motiviazione morale che spero un giorno sarà riconosciuta e anche premiata”, ma anche di un atto “comunque condannabile ed illecito”. Insomma è evidente a tutti che il reato c’è stato, anche se proprio l’avvocato nella sua arringa cerca di far derubricare il reato ad “appropriazione indebita” e si arrampica sulle “falle nella procedura” ma poi dice che non sono importanti.
Che succede ora? In effetti non lo sa ancora nessuno. Gabriele rimarrà a lavorare in Vaticano o si cercherà per lui una sistemazione all’esterno? Il Papa “cancellerà” la pena con un colpo di spugna? Tutto lascia immaginare che sarà così. Ma è davvero un bene per tutti i dipendenti della Santa Sede e del Vaticano vedere che in fondo dopo un po’ di scompiglio tutto si conclude con un nulla di fatto? Gabriele non tornerà di certo in Appartamento, ovvio, ma se dovesse lavorare ancora in Vaticano chi vorrebbe avere un collega che, magari con l’idea di far bene, trafuga archivia e fa pubblicare anche la personale lista della spesa? In Vaticano dopo la vicenda di Gabriele c’è molta diffidenza, nessuno scrive nulla, e molti vescovi hanno dichiarato di non sentirsi sicuri a scrivere i propri pensieri al Papa. Insomma Gabriele si è reso colpevole molto più che di un furto, ma anche di un peggioramento del funzionamento della Curia romana. E del resto da tutto questo viene un insegnamento chiaro: assunzioni e designazioni di compiti e ruoli in Vaticano forse dovrebbero essere fatti con più attenzione. Non basta una generica attestazione di essere “una brava persona” per avere un ruolo di responsabilità. Servono colloqui attitudinali e una selezione del personale non basata solo su indicazioni di monsignori e vescovi.
C’è poi la questione “ambientale” da considerare. Non si comprende bene che significa. Gabriele ha raccolto lo scontento di alcuni e si è sentito investito di una sacra missione, o qualcuno ha spinto perchè lui agisse? Dal processo non risulta alcun “elemento di prova” che si ci siano correi o complici. Ma Gabriele è stato molto confuso anche su questo. E poi ci sono i due sacerdoti, padri spirituali, che quanto meno non lo hanno scoraggiato. Don Giovanni Luzi e don Paolo Morocutti. Sono il fondatore e il confessore di una comunità denominata “Famiglia apostolica per la Chiesa Madre del Buon Pastore” che il 20 marzo del 2011 ha avuto una approvazione del vescovo di Palestrina per tre anni ad experimentum, con tanto di personalità giuridica di diritto canonico. Palestrina e Ceri sono i due punti di riferimento della comunità.
Don Giovanni ha riferito nella istruttoria di aver avuto i documenti che poi Paolo ha passato alla stampa per le mani e di averli distrutti una volta resosi conto di che cos erano. Perchè non ne ha parlato con il suo vescovo invece? Che ruolo hanno avuto veramente per Paolo Gabriele questi due sacerdoti? Anche questo è ancora da chiarire. Per ora ci sono solo le poche righe della sentenza, si attende il dispositivo e le pene accessorie come pure le misure amministrative. Paolo Gabriele è cittadino vaticano, come tutta la sua famiglia, in forza della sua funzione di assistente di camera. Ora se non lo sarà più cesserà anche di avere un appartamento di servizio e la cittadinanza vaticana? Chiusa questa parte del procedimento giuridico restano ancora molti dubbi da sciogliere. Primo fra tutti l’ esatto stato mentale di Gabriele.
La Arru ha rigettato la perizia psichiatrica che era stata voluta da Carlo Fusco, amico di famiglia e primo avvocato di Gabriele. Anzi ha detto anche che pubblicarla nella sentenza di rinvio a giudizio è stato un atto lesivo della dignità di Paolo, una sorta di “gogna mediatica”. C’è solo da attendere per ora la decisione del Papa, sovrano assoluto nel cui nome sabato 6 ottobre è stata emessa la sentenza di colpevolezza. Un sentenza così mite che anche l’ avvocato di Gabriele ne era soddisfatto. Non si sa se ci sia stata una domanda di grazia e l’unica lettera arrivata al Papa non convince alcuni che l’hanno letta: fredda e formale. La notte dei corvi non è ancora passata?