Emergenza Siria: gli aiuti umanitari sono insufficienti
L’escalation di violenze e la difficoltà di raggiungere i civili che necessitano aiuti umanitari, rallentano la distribuzione di aiuti nel paese. Durante questi 18 mesi di scontri sono 27.000 le vittime dichiarate da attivisti locali. Nello scorso fine settimana ad Aleppo sono morte 235 persone a causa degli scontri. E l’Unione Europea ha stimato che 2.500.000 di siriani necessitino assistenza umanitaria, numero che include l’1.200.000 persone che hanno abbandonato la propria casa. Il commissario dell’Unione Europea per gli Aiuti Umanitari, Kistalina Georgiva, ha affermato: “Per supportare la popolazione civile abbiamo bisogno di poter aver accesso in Siria. Questa è una guerra urbana, è difficile distribuire gli aiuti in queste condizioni, è necessario che aumenti il numero di operatori umanitari legittimati ad entrare nel paese. Inoltre la fine del conflitto non sembra essere vicina. Le scorte interne di medicinali e cibo sono quasi esaurite, la stagione invernale alle porte ed è ora di discutere seriamente il problema, che si capisca quali potranno essere le necessità oggettive della popolazione civile stretta nella morsa dei combattimenti”. Intanto l’Unione Europe ha stanziato 287.000.000 $ per rispondere alla crisi umanitari in Siria, ma la Georgiva afferma che solo il 38% dei fondi richiesti dalle Nazioni Unite è stato ad oggi finanziato.
E 9 Ong di AGIRE (ActionAid, CESVI, CISP, GVC, Intersos, Oxfam, Sos Villaggi dei Bambini, Terre des Hommes e Vis) sono attive da mesi in Siria, Libano e Giordania, per dare assistenza alla popolazione colpita. Però l’appello lanciato nel mese di agosto da AGIRE ha raccolto solo € 60.000, il risultato più basso che AGIRE abbia mai raggiunto in una campagna. Il direttore di AGIRE, Marco Bertotto, ha spiegato: “I risultati di un sondaggio Doxa confermano che il 60% degli italiani è al corrente dell’esistenza di un’emergenza in Siria. Di questi circa il 58% ritiene necessario un aiuto dall’esterno per affrontare l’emergenza, mentre il 48% è soprattutto preoccupato per le possibili ripercussioni sull’Italia (per l’arrivo incontrollato di profughi o le conseguenze politiche ed economiche della crisi). Eppure queste informazioni però non si trasformano in una mobilitazione. A differenza che in altre emergenze, l’opinione pubblica (non solo quella italiana) sembra non aver percepito appieno le dimensioni della tragedia umanitaria e soprattutto appare poco motivata a un intervento concreto”.
Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita espulso dalla Siria, perché il regime siriano ha sostenuto che è stato pagato da fantomatiche ‘entità’ per sostenere i nemici della Siria, tra cui al-Qaeda, colpevole di aver ‘infranto il proprio mandato spirituale e preso parte alla campagna di disinformazione contro la Siria’, ha risposto al governo siriano: “Questo comunicato purtroppo dimostra la paranoia di un regime alla deriva e il suo scollamento dalla realtà. La dichiarazione paradossalmente riconosce il ruolo positivo che ho svolto, quando dice che nei trent’anni trascorsi nel Paese sono stato ‘testimone di tutti i successi raggiunti dalla Siria negli ambiti politico, economico e sociale’. E adesso si scopre che, siccome sono solidale con i giovani che chiedono democrazia e vengono imprigionati, torturati o massacrati, divento un agente terrorista. Siccome altrove si è sistematicamente dichiarata la contiguità tra estremismo musulmano e complottismo sionista è chiaro che il cerchio si chiude e si capisce di chi è agente padre Paolo. Questo è un controsenso. Sono stato con loro trent’anni e ora faccio parte dei tanti traditori che hanno lasciato la barca del regime che affonda. E quindi si scopre chi sono i veri amici e chi i traditori introdotti e che io ero un lupo vestito da agnello”.
Ed in un incontro, avvenuto nelle settimane scorse a Parigi, padre Dall’Oglio ha parlato della situazione dei cattolici nel Paese: “L’emigrazione dei cristiani dalla Siria, è stata una storia lunga, ma il movimento ha accelerato. Lungo tutta la valle dei Oronte, è disordine. Il danno è già fatto… I cristiani sono la porta della democrazia… Nel corso degli anni 2000, speravamo di cambiare. Credevamo che Bashar al-Assad avrebbe fornito un quadro. Abbiamo lavorato per questo. Infine, sono i giovani che hanno impostato il ritmo del cambiamento… I cristiani hanno espresso la loro volontà di essere cittadini tra tutti i cittadini, il loro desiderio di partecipare alla vita della società in cui si trovano”. Ed infine padre Dall’Oglio ha spiegato la sua scelta di resistenza non violenta: “Il popolo siriano deve essere in grado di difendersi. Tradizione cattolica afferma il diritto e anche il dovere, al dittatore. Lo sapevate che Giovanna d’Arco è apprezzata dagli intellettuali musulmani? Secondo loro, ha infatti obbedito alle voci sacre che sentiva, e ha fatto il suo jihad, la guerra santa. Ma la vera soluzione sarebbe non violenta jihad, la resistenza gandhiana. Abbiamo bisogno di molti giovani capaci di resistenza non violenta. Non dovrebbero sentirsi in colpa. In futuro, ci vorranno molti giocatori capaci di perdono”. Infine padre Dall’Oglio ha parlato di fede e del monastero di Mar Moussa: “I musulmani dovrebbero essere in grado di reinterpretare le parole della loro fede nell’esperienza endogena, anche se possono imparare dalle esperienze di altri in tutto il mondo… Il monastero di Mar Moussa vuole diventare il centro simbolico della Siria futura. Il progetto è un punto di vista spirituale, senza il quale il dialogo interreligioso è spesso secco e doloroso. E’ l’esperienza spirituale che ci spinge ad andare oltre le parole per una vera armonia civile e religiosa”.
Alla rivista ‘Popoli’ padre Dall’Oglio ha dichiarato: “Il fatto che io abbia parlato di questioni tecniche su come salvare il popolo siriano dal massacro perpetrato dal regime di Assad (ad esempio riguardo una no-fly zone) li disturba. Di fatto Assad pone le proprie speranze nei bombardamenti aerei e in quelli dell’artiglieria pesante. La no fly zone da sola però può non essere opportuna perché potrebbe facilitare l’aumento dei massacri di natura comunitaria specie nella zona del fiume Oronte e della montagna abitata soprattutto dagli alawiti ad Ovest del fiume. La no fly zone dovrebbe essere accoppiata alla presenza dei caschi blu dell’Onu sui territori a rischio. Ma qui ci si scontra di nuovo con il veto russo. E’ allo studio, in alternativa, la possibilità di garantire militarmente (specie con missili terra aria ed armi anticarro) la sicurezza di zone a ridosso delle frontiere esterne anche in modo da elaborare una metodologia che garantisca che le armi rimangano, per così dire, in buone mani! Se la cosa funziona la si potrà allargare progressivamente creando delle zone liberate e rese sicure e nelle quali il nuovo Stato deve prepararsi alle responsabilità nazionali aiutato da Paesi amici. Ora, sul piano militare, le cose stagnano e sembra che i bombardamenti siano in parte diminuiti”.