I vescovi, araldi del Vangelo, vedette insonni di un’alba già possibile. L’altra prolusione

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“Vogliamo essere – dice il presidente della Cei – gli araldi del Vangelo, e dunque della speranza. Forse, talora, anche scomodi, ma certo appassionati del comune destino, e per questo vedette insonni di un’alba già possibile”. E questo perché “il nostro popolo tiene e resiste. Sempre meno si lascia illudere dalle chiacchiere, ed esige la nuda verità delle  cose, pur senza lasciarsi imprigionare da prospettive solamente negative e deprimenti. È in questa cappa di sfiducia, infatti, il fattore più pernicioso e pervasivo”.

Ma non c’è solo la sfiducia. “Ci sono segnali – dice il numero uno della Cei – che certificano come vi sia, ad esempio, un popolo insospettabile e non residuale fedele alla preghiera del Rosario e alla Messa quotidiana, magari seguite alla televisione. La cittadinanza è più in avanti di quanto non si pensi. I colpi della vita inducono, infatti, ad essere meno superficiali, a diventare più riflessivi, a riscoprire i valori veri”.

E allora, “non può esistere una pastorale solo stanziale” perché “le persone e le famiglie si muovono, emigrano più facilmente, si spostano la domenica, dividono la settimana tra località diverse, senza dire che non c’è parrocchia in cui non risiedano degli immigrati, per di più provenienti da diverse parti del mondo, dunque di culture e religioni differenti”. E i vescovi non si possono “tagliarsi fuori dalla vita”. “Nessuna persona, nessuna famiglia vanno lasciate a se stesse, ignorate, non interpellate”. È ancora la parrocchia al centro della prolusione di Bagnasco. Una parrocchia che deve tornare, ma deve anche adeguarsi ai tempi. Perché  “la parrocchia ha un centro nella chiesa, e soprattutto nell’Eucarestia, ma questo centro è tale se si irradia e va lontano, se interessa non solo le età ma anche gli ambienti. Ecco perché nel decennio scorso, ad un certo punto, si è parlato di «pastorale integrata»: si invocava un’integrazione effettiva tra le potenzialità delle parrocchie e quelle dei gruppi, delle associazioni, dei movimenti, ciascuno con la disponibilità ad integrarsi e lasciarsi integrare, a sagomarsi per quanto è possibile sulla base delle urgenze e delle necessità, non illudendosi che l’autoreferenzialità assicuri di fatto un futuro”.

C’è bisogno di sacerdoti, che siano testimoni (e all’inizio della prolusione Bagnasco fa esempi di testimonianza, da don Ivan Martini, il parroco morto in Emilia a causa del crollo della sua chiesa, al cardinal Martini, passando per il vescovo Schettino, presidente della Fondazione Migrantes recentemente scomparso) e che siano santi. “Non c’è dubbio – dice Bagnasco – che dobbiamo imprimere una decisa accelerazione alla pastorale vocazionale, attraverso anche una dedizione specifica di noi Vescovi e una mobilitazione affettiva e orante del popolo di Dio”.

Anche qui, però, ci sono segnali di speranza. “Il fatto – dice l’arcivescovo di Genova –  che vi siano diocesi e regioni che risentono assai meno della crisi dice che vi sono possibilità da mettere in campo e risorse da esplorare. Anche nei territori più ispidi si possono avere risultati consolanti”.

Sono risposte importanti, da dare all’interno di un processo di secolarizzazione che – dice Bagnasco –  “oltre a sfidare la Chiesa nei Paesi occidentali di antica conversione, definisce la situazione della fede anche in contesti assolutamente diversi”. “Il Papa – ricorda il cardinale – non da oggi si sofferma sul carattere del nostro tempo «nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato»” C’è bisogno di santi e testimoni per portare avanti la quaestio fide, sfida “prioritaria” di questo pontificato. “Per i fantasmi antireligiosi che stanno facendo la loro comparsa anche in Europa – ricorda Bagnasco – e per una fobia anti-cattolica irragionevole che qua e là si manifesta, sappiamo che (e qui Bagnasco cita il discorso del Papa ai vescovi Usa in visita ad limina, ndr) «La nostra fedeltà al Vangelo ci può costare cara, la verità di Cristo non ha bisogno solo di essere compresa, articolata e difesa, ma anche di essere proposta con gioia e fiducia come chiave della realizzazione umana autentica e del benessere della società nel suo insieme»”.

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