Card. Crescenzio Sepe: ‘Per amore del mio popolo… non tacerò’

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Mercoledì 19 settembre Napoli ha celebrato il martire san Gennaro e nell’omelia l’arcivescovo di Napoli, card. Crescenzio Sepe ha ricordato che lo scioglimento del sangue del Santo Protettore: “illumina il volto della Chiesa di Napoli, la quale esprime gioia, gratitudine e riconoscenza al Padre di misericordia per aver posto a protezione del nostro cammino il santo Martire che ha effuso il suo sangue e continua a farlo come segno del suo amore senza fine e senza tramonto per la città. Il martirio è il sigillo estremo che lega Napoli al suo patrono. Il Simbolo del sangue, infatti, esprime a fondo questa forma di appartenenza totale e definitiva, un vincolo quasi ‘carnale’ che rende familiare,  in tutte le case e a tutte le generazioni, la figura di un santo  per sempre votato alla sua gente. San Gennaro, possiamo dire, non è parte di Napoli, ma è Napoli stessa: è la sua anima; è la sua cultura; è la sua forza, espressa attraverso una devozione che alimenta  speranza. Il prodigio, per il quale oggi esultiamo, è un segno che, pur rinnovandosi da secoli, è sempre nuovo, perché non è mai fuori dal  tempo il messaggio con il quale San Gennaro continua a parlare a tutti noi, suoi eredi di sangue, associati ai benefici del suo martirio, che non finirà mai di purificare e rendere feconda la sua Chiesa”, concludendo con un beneagurante: ‘A Maronna c’accumpagna!

 

 

Prendendo lo spunto dalla ricorrenza il card. Sepe ha fatto una riflessione collettiva sul bene comune della città: “Abbiamo aperto, tutti insieme, le porte di nuove speranze; abbiamo ridestato, tutti insieme, un nuovo clima di fiducia e di impegno nel mettere in campo le  grandi risorse di una città, sulla cui storia non è passata nessuna mano in grado di cancellarne i segni. Purtroppo, dobbiamo dire che questo l’ha pensato, e forse pensa di poterlo fare, la violenza organizzata, spargendo sangue e terrore, e infestando la città con la propria velenosa rete del malaffare e della prepotenza. Napoli, con il Giubileo, ha dimostrato di avere risorse umane, capacità realizzative ed eccellenze per risorgere e competere, ma ancora è offesa e violentata da nemici senza legge e senza dignità, che contrabbandano le proprie trame di morte addirittura con forme di ‘protezione’, espressa attraverso lusinghe, danaro e incarichi di lavoro che puzzano di carcere, se non di sangue e di morte. In realtà, queste consorterie del crimine, la camorra e associati della stessa risma, non fanno altro che rubare il futuro a Napoli e, soprattutto, ai suoi giovani…. Per andare avanti e costruire un futuro migliore, è evidente che Napoli ha bisogno di venire a capo di tutto ciò che ne ostacola il cammino. Questo morbo sociale, inquietante, funesto e insidioso per chi vacilla, non avendo occupazione e reddito, richiama un’esigenza persistente e preoccupante, qual è quella del lavoro, la cui mancanza crea una situazione dolorosa e insostenibile per tanta parte della nostra gente. Ci sono tanti, ahimè, che non hanno neppure da mangiare. Le nostre mense registrano sempre più la presenza di intere famiglie colpite dalla povertà”.

E nell’omelia l’arcivescovo di Napoli ha ripreso alcuni punti della lettera pastorale ‘Per amore del mio popolo… non tacerò’, con l’obiettivo della formazione di una nuova coscienza di fede, ‘connotata dall’apertura alla città, ai suoi enormi problemi, che sono anche i problemi delle nostre comunità cristiane’, per gettarsi nella mischia ed uscire dalle sagrestie: “A servizio, dunque, soprattutto degli umili, dei poveri, del popolo di Dio e delle comunità nelle quali si vive e si opera, per essere pienamente Chiesa della carità e della speranza. E’ questa la nostra vocazione ed è la scelta che abbiamo fatto nel delineare il piano di lavoro pastorale per il prossimo anno. Una sfida, meditata e impegnativa, per la quale vogliamo essere dispensatori di una carità vissuta e incarnata, e fedeli testimoni del Vangelo e dell’amore di Cristo per l’umanità… La maggior parte ha avvertito la esigenza prioritaria di concentrare la nostra attenzione sul tema ineludibile della formazione, avente come primario obiettivo l’educazione all’impegno e al senso di responsabilità per il bene comune. Non si tratta di un obiettivo che la Chiesa ha riscoperto lungo la strada, perché, in vari modi, esso è stato sempre presente nelle prospettive del nostro operare pastorale. Voler puntare ancora ora su questo tema significa anzitutto riprendere e approfondire un aspetto importante già presente nell’evento giubilare, ma anche dare una risposta concreta alle esortazioni che ci vengono dal Magistero della Chiesa”.

Il card. Sepe ha sottolineato che la Campania è una tra le regioni più religiose d’Italia e dell’intera Europa, essendo ancora molto sentito il senso della pietà popolare e fortemente sentita l’appartenenza alla comunità ecclesiale, che pongono serie domande sull’arretratezza della regione: “Come pastori di questi territori ci sentiamo fortemente provocati da questa costatazione e non possiamo non porci in maniera responsabile di fronte a tali interrogativi. Ci domandiamo: hanno ragione quanti ritengono che la religione sia un fattore di arretratezza culturale? Oppure abbiamo sbagliato noi nel trasmettere una fede monca, bigotta, poco incisiva, per nulla attenta a tanta parte dell’esistenza concreta degli uomini e delle dinamiche della vita sociale? Come è potuto accadere che anche tra i nostri fedeli si diffondesse il discredito per la virtù dell’onestà e l’accettazione della cultura del più furbo? Oggi, questi interrogativi, che hanno già ispirato il Piano Pastorale del 2008, scuotono la nostra coscienza pastorale con insolita urgenza. Alla fine del Giubileo abbiamo, per altro, chiesto perdono alla cittadinanza delle nostre gravi inadempienze, delle occasioni mancate, delle inaccettabili chiusure che hanno indotto in passato una prassi pastorale interessata a curare solo una parte del popolo a noi affidato, quello che si riconosce nelle mura del tempio, nella pratica di una religiosità tradizionale. Ci siamo accontentati dei fedeli appagati dall’assistere alle tradizionali pratiche liturgiche, ma non sempre idonei ad offrire una convincente testimonianza nella vita quotidiana, dove si giocano i destini della comunità degli uomini, dove si promuovono le condizioni per una crescita globale di tutti i cittadini, anch’essi figli di Dio e destinatari delle promesse evangeliche”.

Ed allora l’arcivescovo si è interrogato su quale metodo per procedere sulla strada della fede: “Il metodo da adottare dovrà essere quello proprio dell’approccio educativo. Trattandosi di un percorso che tende a far maturare una diversa visione dell’orizzonte religioso, bisogna assumere le modalità tipiche dei processi educativi, servirsi degli strumenti e delle agenzie propri di tale campo… In pratica, bisogna mettere in conto che, per raggiungere la generalità della popolazione, occorre tradurre questi obiettivi in percorsi formativi popolari, accessibili a tutti e concretamente verificabili nei comportamenti della vita quotidiana. Non si tratta di un lavoro da porre sulle spalle già cariche dei pastori, perché non siamo nella logica del ‘fare di più’, come ho avuto occasione di sottolineare, ma di ‘fare meglio e insieme’, di indirizzare cioè il già intenso lavoro pastorale verso un obiettivo preciso e concreto, intorno al quale far ruotare tutto: l’educazione all’impegno e al senso di responsabilità per il bene comune… Non vanno trascurati i luoghi educativi fondamentali di cui dispone ogni comunità parrocchiale: l’itinerario di fede o catechesi, dando il primato alla Parola, fondamento di ogni processo biblico e catecumenale della pastorale;l’Eucaristia domenicale, Pasqua settimanale;la carità operosa in risposta ai bisogni della nostra gente, come già si sta operando in tutta la Diocesi.. Questi possono diventare formidabili strumenti per formare coscienze avvedute delle loro responsabilità verso la collettività”.

 

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