“Se vogliamo la pace difendiamo la vita”. Il Papa parla al mondo civile e religioso del Libano
E che il Libano voglia accoglierlo, il messaggio del Papa, è testimoniato dal calore delle persone. Il Papa arriva in ritardo, sono moltissime le persone che si accalcano ai lati delle strade per vederlo. Tanto che il percorso dalla Nunziatura di Harissa fino al Palazzo Presidenziale è stato fatto in auto scoperta, e non coperta come inizialmente previsto. A un certo punto, il Papa viene come circondato da vari corazzieri con la bandiera, e assiste ad un ballo al termine del quale vengono liberate una cinquantina di colombe. Una di loro si posa sul Palazzo Presidenziale di Badba. Prima di parlare di fronte ai rappresentanti del mondo della cultura e della religione libanese, il Papa si incontra in privato il presidente del Libano Michel Suleiman, poi con il presidente del Parlamento Nabih Berri, quindi con il presidente del Consiglio dei ministri libanese Nagib Mikati e infine con i capi delle comunità religiose musulmane, che nei giorni scorsi hanno accolto con favore la visita del Pontefice.
Di fronte ai rappresentanti del mondo della cultura e delle religioni, Benedetto XVI sottolinea che “il primo compito è ovunque quello di educare alla pace per costruire una cultura di pace”. E una cultura di pace viene “innanzitutto da quei valori spirituali” che “conferiscono alla trasmissione del sapere e elle tradizioni di una cultura il loro senso e la loro forza”. Perché “il gusto innato del bello, del bene e del vero” è nell’uomo “il sigillo del divino, l’impronta di Dio in esso”. Solo a partire da questa aspirazione che l’uomo può volgersi verso il bene”. Ed è solo nella libertà che l’uomo può volgersi verso il bene, dunque “il compito dell’educazione è di accompagnare la maturazione della capacità di fare scelte libere e giuste, che possano andare contro-corrente rispetto alle opinioni diffuse, alle mode, alle ideologie politiche e religione”. Così si afferma una cultura di pace.
E – sostiene il Papa – “l’affermarsi di una cultura di pace non ha prezzo”. Benedetto XVI affronta anche un tema a lui caro, la purificazione del linguaggio e della memoria, “perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti”. “Dobbiamo essere ben coscienti – dice Benedetto XVI – che il male non è una forza anonima, che agisce nel mondo in modo impersonale e deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi”. Ed è così “che avendo offeso il primo comandamento, l’amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l’amore del prossimo”. Con il male “l’amore del prossimo sparisce a vantaggio della menzogna e dell’invidia, dell’odio e della morte”. Ma è possibile, conclude il Papa, vincere il male con il bene.
È questo il centro di un discorso denso, che parte proprio dalla realtà libanese, e che spiega come “un Paese è ricco anzitutto delle persone che vivono al suo interno”, e che l’impegno per la pace non può venire che da “una società unita”. Unità che “non significa uniformità”. La coesione di una società è “assicurata dal rispetto costante della dignità di ogni persona e dalla partecipazione responsabile di ciascuna secondo le sue capacità, impegnando ciò che di meglio c’è in essa”. Si può cominciare dai valori comuni – punto di partenza di ogni dialogo – e dalla volontà di conoscere l’altro, del rispetto reciproco. ” “In Libano, la Cristianità e l’Islam abitano lo stesso spazio da secoli. Non è raro vedere nella stessa famiglia entrambe le religioni. Se in una stessa famiglia questo è possibile, perché non dovrebbe esserlo a livello dell’intera società? La specificità del Medio Oriente consiste nella mescolanza secolare di componenti diverse. Certo, ahimè, esse si sono anche combattute! Una società plurale esiste soltanto per effetto del rispetto reciproco, del desiderio di conoscere l’altro e del dialogo continuo”.
Come costruire la pace? Guardando e favorendo la famiglia, faciliitandone il compito educativo, per “sostenerla così e dunque promuovere dappertutto una cultura di vita”. Difendere la vita per trovare la pace. Una logica che “squalifica non solo la guerra e gli atti terroristici, ma anche ogni attentato alla vita dell’essere umano, creatura voluta da Dio”. È l’indifferenza verso l’uomo che impedisce il rispetto della “grammatica” che è la legge naturale. “Il riconoscimento incondizionato della dignità di ogni essere umano, di ciascuno di noi, e quella del carattere sacro della vita implicano le responsabilità di tutti davanti a Dio”. Il Papa auspica una sana antropologia che “comprenda l’unità della persona”.
Gli attentati all’integrità della vita non avvengono solo nei Paesi in conflitto armato – dove è più evidente – ma anche in modi striscianti. Perché il potenziale umano viene indebolito anche da disoccupazione, povertà, distruzione, diverse dipendenze, sfruttamento, traffici di ogni sorta e terrorismo. Non solo: “La logica economica e finanziaria vuole continuamente imporci il suo gioco e far primeggiare l’avere sull’essere”.
“La perdita di ogni vita umana è una perdita per l’umanità intera”, afferma con forza Benedetto XVI. E mette in guardia da certe ideologie che pongono “in causa in modo diretto o indiretto o persino legale, il valore inalienabile di ogni persona e il fondamento naturale della famiglia” che “minano le basi della società”. “Dobbiamo essere coscienti i questi attentati all’edificazione e all’armonia del vivere insieme”. Serve solidarietà, anche per “sostenere le politiche e le iniziative volte a unire i popoli in modo onesto e giusto”. Serve promuovere una migliore qualità della vita e di sviluppo integrale che “non è possibile se non nella condivisione delle ricchezze e elle competenze”. E perché ci sia uno stile di vita conviviale e dinamico, c’è bisogno di “fiducia nell’altro”.
Una fiducia che può nascere solo da una conversione del cuore, perché “senza di essa le liberazioni umane tanto desiderate deludono”. Ci vuole uno sguardo nuovo e più libero. È una conversione esigente, che dice “no alla vendetta”, chiede di riconoscere i propri torti, accettare scuse senza cercarle e infine di perdonare”.
Solo allora può crescere l’intesa tra culture e religioni, di un dialogo possibile nella certezza che ci sono valori comuni a tutte le grandi culture. E il diritto dei diritti è la libertà religiosa, da cui molti altri dipendono. “Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita deve essere possibile a chiunque”. Mentre “la sedicente tolleranza non elimina le discriminazioni, talvolta invece la rinforza”. “La libertà religiosa – proclama Benedetto XVI – ha una dimensione sociale e politica indispensabile alla pace”. Perché promuove una coesistenza ed una vita armoniose attraverso l’impegno comune alla ricerca della verità. “La fede vissuta conduce inevitabilmente all’amore. La fede autentica non può condurre alla morte”, dice il Papa. Che rivendica il “ruolo essenziale”dei credenti oggi: testimoniare la pace che viene da Dio. A partire dal Libano, “chiamato, ora più che mai, ad essere da esempio”.