In attesa all’aeroporto di Beirut. “Benvenuto all’apostolo della pace”

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“Benvenuto all’Apostolo della pace”, ovviamente in arabo. E poi tanti cartelli con il volto di Benedetto VI ed il saluto in tutte le lingue. Beirut accoglie in festa il papa: “in questi giorni mettiamo da parte tutti i nostri problemi, chiediamo al papà tanto sostegno”, dicono per strada; anche gli Ezbollah dedicano al papa messaggi di amicizia, campeggiano sull’unica superstrada del paese che collega Siro a Tripoli. Ma sono soprattutto i cristiani in festa: tanti ceri saranno accesi sulle case e sulle chiese per i giorni della visita. “È la luce che vuole simboleggiare la voglia di dialogo”, ci dicono. Che qui “non è teoria”, ma si scontra con fatti concreti. Anche l’elettricicità può fare la differenza, “i cristiani la pagano, le moschee la ricevono gratuitamente dal governo”, ci dicono per strada. Molti cristiani sono emigrati: dal sessanta pero cento della popolazione oggi sono il quaranta. E nei quartieri sono riconoscibili, si aiutano in comunità… “Per noi il vangelo stesso è dialogo – spiegano -. Noi siamo obbligati a cercare di vivere in pace”. Già, cercare, perché la tensione in Siria rischia di propagarsi anche nel piccolo Libano.

 

“Noi non vogliamo la guerra, ci sono bastati tanti anni di conflitto, ne viviamo ancora le conseguenza”. La parola “war” risuona spesso nei discorsi con i libanesi, quasi come una eco, è la causa di qualsiasi problema…

Ma in questi giorni si deve guardare oltre, tutto è pronto per il papa. L’attesa è febbrile e tutti, capi civili e religiosi in testa, hanno fatto sapere che Benedetto XVI sarà il benvenuto, ripetendolo in tutti i modi: dai giornali alle apparizioni in tv.

Tutti si attendono messaggi di pace, a partire dai cristiani, che per gli ultimi nove giorni hanno soprattutto pregato: per la visita, per il loro Libano,  per rendere sempre più concreta la Speranza di una vita di pace.

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