Il GenFest non è finito. E riparte dal viaggio del Papa in Libano
Nell’esortazione post-sinodale che sarà consegnata dal Papa alle Chiese del Medioriente ci sarà sicuramente la richiesta di un appello di pace per le popolazioni per il Medioriente. Ne è sicuro Joe, 25 anni, ingegnere meccanico, libanese. Lui sarà tra i giovani che accoglieranno Benedetto XVI nel Paese dei cedri. Mentre tra quelli che andranno a salutarlo all’aeroporto ci sarà Lara, 23 anni, che adesso sta prendendo un master. Portano con loro l’entusiamo del GenFest, 12 mila ragazzi di oltre 100 nazionalità che si sono riuniti a Budapest al grido di “Let’s Bridge”. Il loro ideale è il mondo unito, tanto che al GenFest hanno lanciato anche lo United World Project, e su internet gira già una loro petizione per il Mondo Unito da inviare all’ONU. E a Castel Gandolfo, dove 1700 di questi giovani provenienti da 41 Paesi extraeuropei si sono riuniti appena dopo l’evento di Budapest, si respira molto entusiasmo. Sono giovani, professionisti, pieni di ideali, e sono tutti d’accordo: “Il GenFest comincia adesso”.
Il GenFest torna in Libano
Si dice “molto emozionata” dall’arrivo di Benedetto XVI in Libano, Lara. Ventiquattro anni, la convinzione che “il mondo unito è una cosa possibile”, e molta voglia di fare. “Noi Gen in Libano – racconta – facciamo molte attività che aiutano per il Mondo Unito. Una di queste è il riciclaggio di rifiuti. In Libano le persone non sono molto consapevoli dell’importanza di riciclare i rifiuti, allora noi ci impegniamo ad insegnare alle persone a riciclare, a tenere l’ambiente pulito. È anche il segnale che noi giovani ci dobbiamo svegliare, e vedere i molti problemi che ci sono, e cercare di risolvere i problemi”. Non solo: “Cerchiamo anche di raggiungere le persone ai margini della società, e facciamo assistenza a un gruppo di bambini di strada che sono raccolti in un centro di accoglienza. È una esperienza fantastica, ci sono circa 50 bambini, che vengono dalla Siria, dal Pakistan, dall’Africa. Hanno dovuto lasciare i luoghi dove sono nati, e allora ci prendiamo cura di loro”.
E tra i 106 Gen Libanesi c’era anche Joe. Ha il volto sicuro di chi sa quello che vuole e ha fiducia di poterlo raggiungere. “I nostri progetti – racconta – sono quello di fare una Comunità giovanile di dialogo. Lavoriamo insieme, cristiani e musulmani, facciamo attività pratiche come il riciclaggio di rifiuti. Ogni anno organizziamo una grande cena la sera durante il mese di Ramadan, e organizziamo varie attività sociali”. In Libano accoglierà il Papa, e porterà con sé anche un po’ dello spirito di Budapest. “Guardando il GenFest – dice – si può vedere chiaramente che il nostro obiettivo è differente: noi possiamo essere uno. La risposta delle persone è stata grandissima: siamo arrivati in 105 dal Libano, e non sembra un grande numero. Ma, per un Paese come il nostro, è un risultato notevole. Ora dobbiamo diffondere questo insegnamento dell’unità, e siamo pronti a fare tante iniziative. Vogliamo che l’ideale del mondo unito sia riconosciuto in ogni parte del mondo”.
La Generazione Nuova per il Mondo Unito
E qui forse si deve fare una parentesi per comprendere chi sono i Gen. Gen sta per Generazione Nuova, e sono i giovani del Movimento dei Focolari. Nascono dall’appello che Chiara Lubich, nel 1967, rivolge ai giovani e ai ragazzi che fanno parte del movimento: “Giovani di tutto il mondo unitevi”. Chiede di chiamare “a raccolta il più gran numero possibile di ragazzi del mondo e lanciare una grandiosa rivoluzione al grido di uniamoci. Una rivoluzione d’amore”. Il movimento Gen nasce proprio dall’adesione di migliaia di giovani in tutto il mondo a questo appello.
Il GenFest torna in Brasile
Saltiamo un continente, e arriviamo in Brasile. Lì i preparativi fervono, ci si prepara alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2013, e nel frattempo la croce della Gmg sta girando. “C’è una applicazione I-Phone – spiega Leandro, 30 anni, geologo di Rio de Janeiro – che permette di vedere il percorso della croce della Gmg”. Leandro fa parte del comitato culturale di preparazione della Gmg. È convinto che “la visita farà molto bene al Papa”, racconta del grande entusiasmo che c’è nel partecipare agli eventi della croce della Gmg, spiega che, sì, si sente tanto parlare della crescita degli evangelici in Brasile, ma che “dall’interno, noi che viviamo il cristianesimo giorno per giorno, non la sentiamo così tanto”. Le attività messe in campo dai Gen di Rio sono moltissime. Vanno il sabato in spiaggia per “farsi uno con le persone e mostrare con l’esempio che un altro modo di vivere è possibile”, lavorano nelle favelas.
Saranno tre i momenti animati dai Gen durante la Gmg. “Faremo – racconta Leandro – tre adorazioni in una Chiesa, e un’expo all’Urca, un quartiere di Rio. Poi avremo anche momenti di comunità durante i quali sarà presentato l’ideale di Chiara Lubich”.
Leandro è stato al GenFest, insieme a 110 brasiliani. “Da Budapest – dice – mi porto il fatto che l’unità è possibile. L’ho vista È come se io non parlassi solo, se ogni cosa che dico sia ripetuta da tante persone di tanti posti diverse. È come se avessi varie nazionalità. Ho la sicurezza che c’è un mio fratello che vive nell’altra parte del mondo che ha il mio stesso ideale”. Un’ideale che si sente forte anche nella Settimana del Mondo Unito, che “organizziamo anche a Rio”.
La settimana per il Mondo Unito
L’idea della Settimana del Mondo Unito viene lanciata al termine del GenFest del 1995. Si tratta di una settimana per contribuire a creare rapporti di pacifica convivenza, una mentalità di reciprocità tra popoli e culture diverse, nel rispetto della dignità di ogni uomo e dell’identità di ogni comunità e popolo. La settimana del Mondo Unito si svolge in contemporanea nei continenti, dalle Filippine agli USA, dalla Russia al Sud Africa, dal Medio Oriente ad altri punti “caldi” del nostro pianeta. Culmine della settimana è una conferenza telefonica mondiale con tutti gli oltre settanta Paesi partecipanti: una telefonata planetaria per comunicarsi reciprocamente le azioni comuni che vengono portate avanti nei luoghi in cui ogni partecipante si trova.
Il GenFest torna in Birmania
Spesso concorrono a creare un mondo unito anche le azioni più semplici. Thomas ha 24 anni e viene dalla Birmania. “In Birmania – racconta – ci sono pochissimi Gen, abbiamo però grande unità con le Pope e i Popi, facciamo qualche attività con gli orfani, con i bambini ciechi. Quando siamo insieme con i Gen è facile capirsi, ma quando siamo a scuola è più difficile. I miei compagni sono quasi tutti buddhisti, non parliamo molto di cristianesimo”. Jerome, 18 anni, anche lui di Yangoon, dopo l’esperienza di Budapest e quella di Castel Gandolfo trascorrerà un anno a Loppiano. Racconta: “Io ho un papà buddhista e una madre cattolica, e ho deciso di essere cristiano. Le prime volte mi sentivo un po’ a disagio. Ma poi ho vissuto fino in fondo l’ideale di amare per primo e tutto si è risolto”.
Il GenFest torna nelle Filippine
Nikko, 24 anni, viene da Manila, Filippine. Da lì, sono partiti per Budapest 125 giovani. Un numero altissimo, anche considerando i costi del viaggio. Ma i Gen non si sono dati per vinti, e sono riusciti – attraverso varie attività – a raccogliere circa 6 mila euro, da investire nella presenza al GenFest. “Da Budapest – racconta Nico – porto con me una esplosione di molti giovani che fanno un mondo unito: una realtà che per me non è più così lontana. Mi è piaciuto molto cosa ha detto Maria Voce, il suo invito ad essere uniti e a dedicarci all’altro. È molto difficile testimoniare, ma io credo che basta essere seri sul nostro luogo di lavoro, fare un sorriso al momento giusto. Questo è diffondere la cultura dell’umanità”. E Nikko racconta anche della difficoltà di mantenere le relazioni tra i Gen di un Paese fatto di centinaia di isole.
Il GenFest torna in Thailandia e in Malesia
Una difficoltà che vive anche Wen, 21 anni, che proviene dalla Thailandia. “Il nostro gruppo Gen – racconta – si divide tra Myanmar, Cambogia, Thailandia, Laos e Vietnam. Nelle nostre nazioni tutto è molto differenre, e c’è davvero bisogno di stare insieme. Noi facciamo molte attività con i poveri. Il problema principale per noi sono le lingue. Ci sono 5 lingue diverse, ma quando stiamo insieme va tutto molto bene: sentiamo che non ci sono tante differenze, che possiamo vivere insieme”.
Il motto del GenFest è stato “Let’s bridge”. Una necessità che Mary, una giovane malese di 27 anni, sente moltissimo. “La Malesia – racconta – è fatta di differenti culture. Lì i cristiani sono una minoranza, e dunque è necessario costruire ponti. Quello che posso dire è che ci sono molte persone con le quali costruire ponti. Lo stiamo facendo, anche se in realtà non lo possiamo fare in maniera realmente pubblica. Possiamo andare a Messa, è più difficile vivere pubblicamente la nostra fede. Ma i Gen vivono dove c’è un Vangelo da vivere”. E se è vero che è difficile vivere in un mondo a maggioranza musulmana è indù, è anche vero che “questa esperienza al GenFest – dice – mi ha fatto capire che è davvero possibile continuare a fare ponti, che questo significa realmente conoscere l’altro, farsi uno”. E allora è valsa la pena di lavorare duro per raccogliere fondi con varie iniziative e permettere a quanti volevano partire dalla Malesia per Budapest di partire.”Nella mia nazione – racconta Mary – mi sento piccola e insignificante, siamo davvero pochi. Ma vedere una grandissima quantità di persone che fanno tutto questo insieme mi fa venire voglia di andare avanti, di non avere paura, di non sentirmi sola”.
Il GenFest torna in India
Ed è la stessa sensazione che ha avuto Elaine, 25 anni, proveniente dall’India, dove lavora per Bloomberg. “Ci siamo subito accorti – dice – di stare in qualcosa davvero più grande di quella che potevamo pensare. Abbiamo fatto laboratori, capito come potevamo costruire ponti, in che modo potevamo farci uno con gli altri. Abbiamo scoperto che quella di costruire ponti è la nostra vocazione di Gen”. Racconta, Elaine, che il bridging è cominciato in India, “dove è molto difficile stare insieme. Al GenFest noi indiani abbiamo fatto un ballo, in cui in qualche modo raccontavamo le nostre reciproche esperienze”. Non è una situazione facile. “La vita – dice Elaine – è molto estrema in India. Si va dalla povertà assoluta alla ricchezza assoluta, senza vie di mezzo. Noi abbiamo fatto delle attività di preparazione al GenFest. Per esempio, abbiamo disegnato dei wall painting sul tema del bridging in quartieri dove c’erano persone di diverse culture, diverse razze, in modo tale che chiunque passasse potesse vedere e vedere che ci potessero essere ponti”.
Ma per Elaine, tutto comincia adesso: “Il GenFest non è finito. È stato molto significativo, ci ha dato l’idea che non siamo davvero soli, ma ora dobbiamo tornare ancora più uniti, portare quello spirito nei nostri paesi di origine. Ora vedremo come diffondere questa idea di Unità attraverso il World United Project. In India abbiamo vari progetti, varie esperienze, lavoriamo tra differenti culture, dobbiamo mettere tutte queste esperienze insieme”.
In fondo, è l’invito che ha fatto loro Benedetto XVI. Il quale ha salutato i ragazzi del GenFest al termine dell’udienza di mercoledì 5 settembre, e li ha invitati a “promuovere l’unità nella famiglia umana, costruendo ponti con coraggio”. “Possano – ha detto loro il Papa – la gioia semplice, l’amore puro e la pace profonda che provengono dall’incontro con Gesù Cristo farvi testimoni radiosi della Buona Novella ai giovani dei vostri Paesi”.