Comunità di Sant’Egidio: a Sarajevo con uno sguardo in Libano
Nel giorno dell’anniversario delle ‘Torri Gemelle’ a Sarajevo, a 20 anni dall’assedio, si è concluso l’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio sul dialogo tra le religioni; ed il prossimo anno l’incontro ritornerà a Roma, come ha detto il presidente Marco Impagliazzo. Nell’appello conclusivo i rappresentanti delle fedi religiose hanno ricordato il conflitto: “Tutti a Sarajevo, e tutte le Comunità religiose e nazionali ricordano a noi tutti come la guerra è un grande male e lascia un’eredità avvelenata. Bisogna evitare con tutte le forze di scivolare nella spirale terribile dell’odio, della violenza e della guerra. Il vicino non deve trovarsi a lottare con il vicino perché appartiene a un’altra religione o a un’altra etnia. Mai più in questa terra! Mai più in nessuna parte del mondo!.. Siamo diversi. Ma la nostra unanime convinzione è questa: vivere insieme tra gente diversa è possibile in ogni parte del mondo, è molto fecondo.
E’ possibile a Sarajevo e ovunque. Bisogna preparare con responsabilità il futuro. Grande è la responsabilità delle religioni in questo. In questi giorni a Sarajevo abbiamo vissuto la grazia del dialogo e visto come costruire il futuro. Invece oggi, in un tempo di crisi economica, è forte la tentazione di ripiegarsi, anzi di incolpare gli altri popoli dei propri problemi, quelli del passato o del presente. Così un popolo diventa per l’altro straniero o nemico. Si sviluppano pericolose culture del risentimento, dell’odio, della paura. Ma nessun popolo è nemico: tutti hanno sofferto, tutti hanno un’anima buona! Tutti possono vivere insieme! Le religioni hanno un grande compito: parlano di Dio al cuore dell’uomo e lo liberano dall’odio, dai pregiudizi, dalla paura, e lo aprono all’amore. Cambiano l’uomo e la donna dal di dentro. Le religioni possono insegnare a ogni uomo e ogni donna e ai popoli l’arte di vivere insieme attraverso il dialogo, la stima reciproca, il rispetto della libertà e della differenza. Possono, così, creare un mondo più umano. Perché siamo tutti uguali e tutti diversi”.
Durante la cerimonia finale il ministro italiano della Cooperazione internazionale e dell’Integrazione, Andrea Riccardi, ricordando il card. Martini e il patriarca di Etiopia, Abuna Paulos, ha detto: “Che Sarajevo resti una e plurale! La storia di Sarajevo é un ammonimento… Guardiamo al futuro senza paura! Ma prepariamo il futuro nella simpatia tra i popoli. Guardiamo al futuro senza lasciarci paralizzare dalle paure del passato! Ci vogliono coraggio e speranza per preparare un futuro di vita comune in pace. Lasciamo cadere i pregiudizi, le predicazioni dell’odio. Possiamo costruire il futuro, educando le donne e gli uomini, i giovani, alla pace: che solo la pace è santa, che vivere insieme manifesta la volontà di Dio e l’uguaglianza tra gli uomini. Una uguaglianza radicata in Dio stesso. Tanto che chi uccide un uomo colpisce Dio stesso. Ma anche chi lo odia e lo disprezza!”.
Ma lo sguardo di Sarajevo si è rivolto alla società mediorientale attraverso l’appello dell’arcivescovo greco cattolico libanese Cyrille Salime Bustros, sottolineando che per ottenere la democrazia “bisogna conferire a tutti pieni diritti, garantendo un pluralismo che nasca dalle relazioni. Per questo, dobbiamo adoperarci per purificare i nostri rapporti, che nel passato sono stati feriti”. Con particolare riferimento a Libano e Siria l’arcivescovo ha ribadito: “Davanti a questa situazione tragica, la questione del pluralismo si pone con forza a tre livelli: etnico, religioso e politico. Gli abitanti di questo paese del Medio Oriente sono chiamati ad accettarsi nonostante le loro differenze etniche, religiose e politiche. Per giungere ad un’accettazione reciproca, c’è bisogno di una purificazione della memoria. Questi abitanti, cristiani o musulmani, sunniti, sciiti o drusi, non possono vivere insieme in pace perché non hanno ancora perdonato gli uni gli altri gli errori dei loro antenati e perché non hanno ancora dimenticato i conflitti religiosi che gli hanno divisi nei secoli passati…
La democrazia implica necessariamente il pluralismo a diversi livelli: religioso, etnico e politico. Il pluralismo è necessario per il futuro del Medio Oriente arabo-islamico. Senza accettazione del pluralismo il Medio Oriente è condannato alla violenza, al terrorismo ed al razzismo… Per concludere è indispensabile ricordare che non ci sarà mai la pace definitiva in Medio Oriente, e la sicurezza per il futuro del Medio Oriente arabo-islamico finché il conflitto tra Israeliani e Palestinesi non sarà risolto. Il pluralismo deve anche includere lo stato d’Israele; tutti gli abitanti del Medio Oriente devono avere giustizia: ebrei, cristiani e musulmani”. Mentre dall’Algeria l’arcivescovo cattolico, Ghaleb Bader, ha sottolineato il problema delle minoranze in un mondo globalizzato e la presenza cristiana nel Medio Oriente: “Diciamo prima di tutto che i veri cristiani sono e saranno sempre, dappertutto nel mondo e non solo nel Medio Oriente, una minoranza. Parlando ai suoi discepoli e alla Chiesa che cominciava appena ad esistere, Gesù diceva: ‘non temere, piccolo gregge’… questo piccolo gregge si chiama oggi minoranza.… la situazione non è cambiata neanche dopo duemila anni… i cristiani sono sempre e quasi ovunque un piccolo gregge, cioè una piccola minoranza… Questi cristiani e queste comunità cristiane del Medio Oriente sono tre volte minoranze: una prima volta nel loro proprio paese e di fronte alla maggioranza della popolazione con la quale vivono, una seconda volta di fronte al mondo ormai globalizzato, e una terza volta tra di loro perché ogni comunità costituisce una minoranza in mezzo alle altre comunità cristiane”.
Mentre l’intellettuale egiziano, Sameh Fawzy, ha raccontato il sapore della democrazia: “In piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivoluzione, la gente ha dimostrato di poter rovesciare un regime oppressivo per costruire una nuova democrazia. Cristiani e musulmani, che hanno rifiutato gli inviti a fare un passo indietro rispetto alla loro partecipazione, hanno goduto di un raro momento della loro storia moderna per ri-esplorare l’altro, dopo decenni di tensioni religiose, incomprensioni, paura reciproca e mancanza di fiducia… Un ‘Patto di Cittadinanza’ è l’unica ‘via’ possibile e sicura per musulmani e cristiani; vincolandoli insieme in una unità di reciproca comprensione, di rispetto per ciascuno di essi e di riconoscimento della diversità religiosa”.