A cinquant’anni dal Concilio

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“Un incontro con il volto del Cristo Risorto, Re glorioso e immortale, diffuso in tutta la Chiesa per salvare, confortare e illuminare le nazioni”: così Giovanni XXIII definiva il Concilio Ecumenico Vaticano II nel radiomessaggio dell’11 settembre 1962, Ecclesia Christi lumen gentium, rivolto ai fedeli di tutto il mondo a un mese esatto dall’inizio dell’Assemblea. “Il Concilio – spiegava in un’intervista dell’epoca monsignor Pericle Felici, che dell’Assise era Segretario generale – è la riunione di tutti i vescovi della Chiesa cattolica, sotto la guida del Romano Pontefice, che è il vescovo di Roma, per decidere questioni importantissime di dottrina e di disciplina riguardanti tutta la Chiesa. In questo momento in cui gli uomini sono travagliati da tanti problemi, riguardanti la vita dello spirito e la stessa vita temporale, la Chiesa ha da dire la sua parola, attraverso i suoi legittimi maestri, che sono i Vescovi, successori degli apostoli”.

50 anni sono trascorsi dall’apertura del Concilio e la Chiesa si appresta adesso a celebrare quell’evento storico al quale hanno partecipato (e nel primo periodo sono stati compresenti) ben cinque Papi, cioè gli uomini che si sono avvicendati alla guida della Chiesa negli ultimi cinque decenni: Giovanni XXIII che lo ha concepito, inaugurato e guidato nella preparazione e nella prima sessione, il cardinale Giovanni Battista Montini, dapprima quale arcivescovo di Milano, poi come Papa Paolo VI, che lo ha portato a conclusione, Albino Luciani, vescovo di Vittorio Veneto, Karol Wojtyla, prima vicario capitolare e poi arcivescovo metropolita di Cracovia, e Joseph Ratzinger, consulente teologico del cardinale arcivescovo di Colonia Josef Frings. I Pontefici sono tornati spesso a riflettere sul Vaticano II. “Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica del 6 gennaio 2001 Novo Millennio ineunte. E nel famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, a pochi mesi dalla sua elezione, riferendosi al Concilio Benedetto XVI parlò di “ermeneutica della riforma”, cioè del “rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”: “un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.

Ma cosa è stato davvero il Concilio? Di certo una riflessione e un’interrogazione della Chiesa su se stessa e al contempo un dialogo con il mondo, cioè con l’intera umanità. Il Concilio ha manifestato il volto della Chiesa, quello visibile e quello invisibile, il suo intento di rinnovamento e la passione per l’unità, nella concretezza dei problemi sperimentati dall’episcopato di tutto il pianeta. Il colonnato del Bernini sembrava quasi abbracciare la moltitudine dei Padri vestiti di viola o di porpora che in quelle mattine d’autunno, dal 1962 al 1965, raggiungevano con le loro cartelle la Basilica di San Pietro. Aveva luogo l’evento più rilevante del XX secolo. “Un avvenimento storico, di prima grandezza, sta per verificarsi” sosteneva l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini all’indomani dell’annuncio di Giovanni XXIII di indire un Concilio Ecumenico. E aggiungeva: “Grande di pace, di verità, di spirito; grande oggi, per domani; grande per i popoli e per i cuori umani; grande per la Chiesa intera e per tutta l’umanità”. Era il maggiore Concilio che la Chiesa avesse mai celebrato nel corso dei suoi venti secoli, forse il più importante: “La storia – proseguiva il cardinale Montini – si apre con visioni immense e secolari ai nostri sguardi”. Il Concilio Vaticano II ha sicuramente assunto risonanze impensabili tra quelli che lo hanno preceduto, anche a causa delle particolari condizioni storiche, sociali e culturali nelle quali si è svolto – si pensi ad esempio al fenomeno dell’informazione conciliare, che attraverso stampa, televisione e radio ha spalancato al mondo i portoni della Basilica Vaticana. Il giorno dell’apertura dei lavori erano accreditati presso l’Ufficio stampa del Concilio, che pochi anni dopo sarebbe diventato la Sala Stampa della Santa Sede, oltre 1200 giornalisti da tutto il mondo.

Ma perché indire un Concilio in un tempo che non presentava particolari eresie, se si eccettua il Comunismo, peraltro già ampiamente condannato? La domanda era però un’altra: v’era ancora posto, per la Chiesa, in un mondo industrializzato, materialista, atomico come già allora appariva? La Chiesa, la cui missione è di trasmettere l’immutabile messaggio del Vangelo ad uomini i cui gusti e abitudini cambiano con il passare del tempo, avvertiva l’esigenza d’interrogare se stessa per comprendere se la propria capacità d’annuncio fosse adeguata alle sfide che ogni epoca pone. Per capire se i metodi, i linguaggi e gli strumenti da essa adottati fossero ancora adatti ed efficienti, o non abbisognassero piuttosto di un’opera di rinnovamento e di adeguamento alle mutate condizioni storiche e sociali, pur nella fedeltà a quanto di sacro ed immutabile si riafferma nella sua natura e nella sua dottrina. Da questi elementi derivò la necessità del Concilio Vaticano II, che fu caratterizzato da uno spirito essenzialmente pastorale, senza tuttavia ignorare gli aspetti dottrinali, nei quali sono radicati la fede e i principi morali. Benché nel Vaticano II non vi siano state nuove definizioni dogmatiche, ogni Concilio si conferma come un’autorevole cattedra della verità, che viene presentata con sempre maggiore chiarezza, a seconda dei bisogni degli uomini o degli errori che si riaffacciano. E la disciplina del clero e dei fedeli riceve vigore dalla dottrina solennemente promulgata e riconfermata.

Poco dopo l’annuncio, in molti credettero che finalità del Vaticano II fosse di realizzare l’unione delle varie Chiese cristiane con quella cattolica (si pensava al secondo Concilio di Lione del 1274, o a quello di Firenze del 1431-1442, che avevano tentato invano di riunire la Chiesa ortodossa greca a quella di Roma, e si ricordava il Concilio di Trento, che aveva operato per il ritorno dei protestanti). Ma non poteva essere questo l’intento del Papa: non era possibile giungere nel giro di qualche anno ad una vera unione, sorvolando secoli di incomprensioni e pregiudizi che avevano creato barriere difficili da superare. Lo stesso Giovanni XXIII precisò le finalità del Vaticano II nella prima enciclica del suo pontificato, Ad Petri Cathedram, del 29 giugno 1959: “Scopo principale sarà di promuovere l’incremento della fede cattolica, e un salutare rinnovamento dei costumi del popolo cristiano, e di aggiornare la disciplina ecclesiastica secondo le necessità dei nostri tempi. Ciò, senza dubbio, costituirà un meraviglioso spettacolo di verità, di unità e di carità che, visto anche da coloro che sono separati da questa Sede Apostolica, sarà per essi un invito, lo speriamo, a cercare e raggiungere quell’unità per la quale Gesù Cristo rivolse al Padre celeste così ardente preghiera”.

 

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