Il cuore del mondo unito è giovane. E batte a Budapest per il GenFest
“Guardate in alto, guardate lontano”. Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, parla così ai 12 mila ragazzi di un centinaio di nazionalità si sono radunate a Budapest per il GenFest, il raduno dei giovani del Movimento dei Focolari nato ormai 40 anni fa. Non c’erano GenFest dal 2000. Ma quando i Giovani per un Mondo Unito si riuniscono, il tempo sembra non essere mai passato. E c’è la voglia di non rendere l’esperienza sterile. Il motto del GenFest di Budapest è “Let’s bridge”, facciamo ponti, e calza a pennello con la geografia della capitale ungherese, fatta di ponti che portano da una parte all’altra della città. E da lì lanciano lo “United World Project”, ovvero il progetto di stringere “un patto mondiale per la fraternità” e creare di conseguenza “un network della fraternità” che impegni personalmente chi vi aderisce, sostenuto da un “osservatorio permanente della fraternità”.
Una iniziativa che risponde perfettamente al messaggio inviato dal Papa alla manifestazione, che incoraggiava i presenti a “dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio”. Certo è che il GenFest è stato l’anticipatore e l’ispiratore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Erano gli anni Settanta quando Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolarini, pensò di riunire in una festa il neonato movimento Gen. Il primo GenFest si tiene a Loppiano nel 1973, e – visto il successo dell’iniziativa – viene replicato a Roma nel 1975. È presente Paolo VI, che si congederà dai 20 mila giovani accorsi dicendo: “Nasce un mondo nuovo”. Da lì, hanno luogo nove edizioni del GenFest. Poi il lungo stop, fino all’edizione ungherese di quest’anno.
“Qui si scrive una pagina della storia della cristianità”, ha affermato Tarlòs Istvàn, sindaco di Budapest, salutando l’assemblea. E Maria Voce ha sottolineato: “Viaggiando per il mondo ho conosciuto i giovani di ieri e di oggi; ho visto trasformarsi le condizioni sociali in cui si vive; ho visto il frantumarsi di tante sicurezze; ho visto le sofferenze di non trovare lavoro. Ho sentito crescere una generazione che ha paura. Paura di illudersi e di essere delusa, paura di dare qualcosa di sé e di trovarsi a mani vuote. Ho però incontrato anche molti giovani che sanno che per la costruzione di un mondo più unito occorrono cambiamenti innanzitutto personali, e quindi scelte radicali. E le fanno. Scoprendosi fratelli, vicini e solidali. Sì, dico a voi tutti: guardate in alto. Guardate lontano, è lì che troverete l’appiglio sicuro. Guardate all’amore che è Dio. Lui è l’unico che non vi delude. E poi non abbiate paura! Siate voi stessi ed entrate personalmente nella società. Il vostro contributo è unico, irripetibile”.
È il clima che si respira per le strade di una Budapest in qualche modo invasa da questi 12 mila giovani a dare il senso di una forte voglia di cambiamento. I ragazzi portano bandiere di tutte le nazioni, ma non significa che ne siano cittadini. Racconta Michele Zanzucchi, direttore di Città Nuova, il quindicinale dei Focolari, di aver visto un ragazzo di Annecy, Francia, con una bandiera del Libano. Zanzucchi scrive di avergli chiesto ragione di quel vessillo. “Quest’estate – ha risposto sono stato nella Terra dei cedri e mi sono reso conto che, se non interveniamo noi europei, quel simbolo di convivenza rischia di essere spazzato via dalla furia dei fondamentalismi. Così sono diventato libanese, nel cuore”.
E forse il momento più suggestivo del GenFest è stata la lunga marcia di 7 chilometri per le strade di Budapest, la sera di sabato primo settembre. Tutti verso Meta, il ponte delle catene, simbolo di unità per le due parti della capitale ungherese: Buda (collina) e Pest (pianura). I 12 mila partecipanti al GenFest ci mettono quasi tre ore a raggiungere il ponte. Vengono dal Vietnam, dalla Cambogia, da Cuba e dal Congo, dalla Svezia e dall’Argentina. Non ci sono giovani dalla Siria, perché non hanno potuto ottenere il visto, data la situazione lì. Tutti hanno raccontato nei giorni precedenti le loro esperienze di fraternità nei loro Paesi.
E, sottolinea Zanzucchi nei suoi reportages, sono più le cose che non raccontano, per necessità di tempi. “Ad esempio, i giovani di Yogyakarta, in Indonesia, in collegamento raccontano piccole vicende della preparazione dell’appuntamento ungherese, ma non possono accennare, ad esempio, all’ampia azione che hanno fatto a Bantul, epicentro del terremoto devastante del 2006: hanno costruito dei centri sociali con i musulmani dei 42 villaggi rurali, e ora sono impegnati in un vasto programma di insegnamento dell’inglese ai bambini. Altro esempio, i giovani egiziani raccontano di un muro dipinto assieme alla popolazione per rendere più gradevole la vita d’un quartiere, ma non possono raccontare della loro partecipazione alle manifestazioni di piazza Tahrir, del loro impegno nei social network, del loro “essere rivoluzionari”.
I giovani arrivano al ponte delle catene. Sopra, c’è il castello, simbolo della città, a fianco il parlamento. Tutte le delegazioni vengono salutate dal microfono. Poi si fermano. E al grido di “Go” parte il flashmob: al grido di “Go” ci si scambia delle sciarpe colorate su cui ciascuno ha scritto una frase, il proprio nome, una consegna, una frase. Ognuno la vive come un dono.
C’è la consapevolezza che è proprio dalla spinta dei giovani che può venire un mondo unito. Lo dice l’ultimo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace, “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”. E lo diceva Chiara Lubich, in un memorabile discorso al GenFest del 1990, con ospite d’onore Giovanni Paolo II. Chiara Lubich ricordava i giovani di piazza Tienanmen, i giovani in prima fila nelle manifestazioni e nell’impegno politico che avevano provocato l’abbattimento del Muro di Berlino, i giovani delle primavere di Praga, di Budapest, di Bucarest, i giovani polacchi che avevano partecipato al movimento di Solidarnosc – e oggi forse parlerebbe dei giovani di piazza Tahriir, e le manifestazioni di giovani che in questi ultimi tempi si sono susseguite nelle capitali europee, ma anche degli angeli del fango di Genova. E poi Chiara Lubich sottolineava, con parole che valgono ancora oggi: “Non è ero che i giovani oggi si siano ritirati unicamente nell’ambito del privato e siano, in genere, scarsamente interessati ai grandi problemi dell’umanità”. Non è vero, e il GenFest ne è la prova.
(foto da GenFest official – profilo Facebook ufficiale del GenFest)