Meeting di Rimini, entra nel vivo il programma culturale

Meeting di Rimini
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Al Meeting di Rimini, organizzato da Comunione e Liberazione, si sono trovati tanti giovani per incontrarsi, riflettere e dibattere sul tema “O protagonisti, o nessuno”. Ad attirare di più sono le mostre, come quella sulla ‘Primavera di Praga’. Accanto a chi ha vissuto quell’epoca tanti giovani che volevano conoscere la storia. Ricordare il quarantesimo anniversario del 68, forse celebrarlo: sembra una costante fissa di questi tempi.

“Esistono giudizi diversi a volte opposti su quegli avvenimenti” ha detto Giancarlo Cesana professore di Igiene generale ed applicata all’università di Milano Bicocca introducendo alle 11,15 in auditorium l’incontro “Sessantotto un’occasione perduta?”. Indubbiamente è stato l’incipit per una spinta secolarizzatrice dell’intera società italiana. “Una spinta che ancora continua – constata Cesana – E Comunione e Liberazione è un movimento del ‘68”. Ricordando anche che “Comunione e Liberazione è stata una risposta. A chi diceva che la liberazione è frutto di scelte politiche rivoluzionarie, don Giussani ricordava che solo nella comunità vi è un cammino di libertà”.

Giovanni Cominelli, responsabile del dipartimento Sistemi educativi della Fondazione per la Sussidiarietà, visse da protagonista in Università quegli anni. Cattolico di formazione, abbracciò le istanze avanzate dagli studenti. Ma precisa: “Il sessantotto in Italia ebbe inizio nel novembre del 1967 con l’occupazione dell’Università cattolica contro l’aumento delle tasse e terminò il 12 dicembre del 1969 con l’attentato di Piazza Fontana”. Dopo iniziarono le divisioni e quello che era sembrato un movimento unitario divenne una galassia di piccole formazioni in lotta fra loro. Ma già nel 1969 a Milano nelle riunioni del Collettivo politico milanese (Cpm), uno dei tanti gruppuscoli e partitini, si cominciò a parlare di lotta armata. “E l’anno seguente in un convegno semiclandestino del Collettivo a Chiavari, in un albergo di proprietà della Curia!, vennero di fatto fondate le Brigate rosse”. Ma quali motivazioni ha avuto il ’68? – si è chiesto Cominelli. “Un fenomeno di sazietà e fame” lo definisce, “sazietà in un paese che stava superando definitivamente i problemi del dopoguerra e fame di superamento di convenzioni e valori ormai subiti e non compresi”.

Nella fase iniziale l’apporto principale venne dai cattolici, sulla spinta di una lettura parziale del Concilio e dall’influenza di diverse scuole teologiche: la tedesca, sia cattolica sia protestante, con i teologi della morte di Dio, ma anche la teologia della liberazione, che andava affermandosi soprattutto in America Latina, nella quale marxismo e cristianesimo si equivalevano. Ma questo era reso possibile da una sfiducia nella Chiesa “e se la religione non ti dà qualcosa di più allora finisce che non te ne importa più nulla”. “Essere nati è frutto di un atto di libertà di un altro – ha detto Giancarlo Cesana chiudendo l’incontro – don Giussani era critico, in senso etimologico, nei confronti della realtà ecclesiale. Ma ha saputo prendere ciò che era importante venisse tenuto e dare ragione di ciò che ci è stato dato”. Non a caso Comunione e liberazione è l’unico movimento rimasto vivo e attivo fra le centinaia dalla vita effimera.

Invece, il filone economico-politico è stato aperto da un incontro, “Cultura politica e sussidiarietà”, al quale hanno partecipato Phillip Blond, Senior Lecturer in Cristian Theology at the University of Cumbria, Alonso Mendoza, esperto in fund raising, Josè Miguel Oriol, presidente Ediciones Encuentro, Adrian Pabst, Leverhulme Research Fellow Department of Theology and Religious Studies Centre of Theology and Philosophy University of Nottingham, Carlin Petrini, presidente di Slow Food Italia, e Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà; ha introdotto l’incontro Antonio Quaglio, caporedattore de” Il Sole 24 Ore”. Proprio Quaglio, dopo avere ricordato come la sussidiarietà sia un concetto ormai globale, comincia con una provocazione: “Cultura e politica si devono ritrovare, ma Vittadini ce le presenta assieme; la sussidiarietà quindi ne deve essere il catalizzatore”.

Primo a intervenire è Peter Blond, che afferma come in Gran Bretagna l’idea di sussidiarietà non riesca ad attecchire, a causa del contrasto fra le due grandi ideologie, socialista(rappresentata dai laburisti) e liberale(rappresentata dai conservatori). Promuovendo la prima una sorta di collettivismo e la seconda un individualismo sfrenato hanno creato una società inglese in cui l’individuo persegue solo il proprio tornaconto. Carlin Petrini invece cambia subito le carte in tavola: “Io dico che la sussidiarietà è la parte più alta e nobile della cultura politica”, e poi aggiunge, “è il terreno di incontro di chi si sente straniero, perché né la destra né la sinistra parlano dei temi veramente importanti, come il fatto che stiamo perdendo il rapporto con la natura che ci garantisce di stare al mondo”. Continua poi parlando della sempre maggiore perdita di biodiversità nel mondo a causa del crescente inquinamento ma soprattutto di Terra Madre, grande network mondiale di piccoli agricoltori sostenuto da Slow Food, che promuove un’agricoltura sostenibile.

Degli USA parla invece Mendoza, sottolineando il ruolo fondamentale della Chiesa nel sostegno all’accoglienza dei migliaia di immigrati che ogni anno giungono negli States da tutto il mondo. “Caratteristica fondamentale della società americana è l’iniziativa della persona, che permette di realizzare l’‘american dream’ “. La sussidiarietà secondo Mendoza diventa quindi quello spirito che grazie anche all’aiuto e alla mediazione della Chiesa permette a molti di entrare negli USA e realizzare i propri sogni. Una voce dalla Spagna giunge attraverso Josè Miguel Oriol che afferma: “in Spagna il concetto di sussidiarietà è ancora poco conosciuto, ma vi sono realtà che vi hanno a che fare,come le c.d. ‘scuole concordate’, cioè delle scuole finanziate dallo Stato ma gestite da privati ma che sono diventate bersaglio della attuale sinistra di governo”.

Adrian Pabst invece sposta il campo di battaglia sulla scena europea: “Per realizzare la sussidiarietà a livello UE è necessario un sistema federale che non si è mai realizzato, perché manca una cultura comune”. Basti pensare al recente dibattito sulle radici cristiane dell’ Europa. “L’Unione invece -continua Pabst- è sempre stata imperniata, fin dalla sua creazione, sulla logica del funzionalismo, cioè la prevalenza degli obiettivi giuridico/economici su quelli culturali, cosa che ha provocato un accentramento del potere, lasciando poco spazio all’ iniziativa privata”.

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