Al Meeting di Rimini si educa al rapporto con l’infinito
Quella di martedì è stata la giornata fondamentale del Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, in svolgimento a Rimini, con la relazione del prof. Javier Prades Lòpez, rettore dell’Università San Dàmaso di Madrid, sul tema centrale della settimana: ‘La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito’, che ha citato lo scrittore spagnolo Gustavo Martín Garzo: “L’eterna dissociazione tra realtà e desiderio da sempre tribola e fa penare l’uomo. Ognuno di noi deve accettare che la vita che l’aspetta è troppo limitata perché ci possano albergare tutti quei desideri che ci portiamo dentro”, di fronte a 12.000 persone. Introducendo l’incontro, il presidente della fondazione Meeting, Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting, ha ribadito la validità culturale e religiosa del Meeting nel campo educativo: “Già in questi giorni abbiamo visto che il tema di quest’anno comporta un modo diverso di guardare il mondo, penso ad esempio alle mostre sul rock o su Dostoevskij, alle danze del Caracalla Dance Theatre o alla presenza di personalità come Habukawa”. Infine ha posto una domanda al rettore spagnolo: ma perché la natura dell’uomo si contraddistingue proprio per il rapporto con l’infinito?
Partendo da questa sollecitazione il rettore dell’Università San Dámaso di Madrid ha aggiunto altre ‘voci’ culturali, che descrivono la percezione del rapporto con l’infinito nella cultura attuale: “La sproporzione tra realtà e desiderio, che ci spinge alla ricerca di qualcosa d’altro, continua in qualche modo a dirsi attraverso molte espressioni del nostro tempo”, spaziando dal giornalismo alle arti, dai testi pop-rock agli U2, dalla scultura dell’artista di San Sebastian Eduardo Chillida alla letteratura di Ernesto Sábato: “Le parole di quest’ultimo (‘la nostalgia è per me uno struggimento mai soddisfatto’) sono di nuovo il tentativo di raccontare ad altri la natura del desiderio che ci identifica come esseri umani”. Tuttavia nella ‘cultura plurale’ dell’Occidente di oggi si può anche ascoltare una voce di altro segno: “il racconto dell’esperienza di un rapporto singolare con l’infinito: la storia dei primi che hanno incontrato Gesù e l’hanno riconosciuto come Cristo, il figlio di Dio… un’esperienza singolare di rapporto con l’infinito, perché quell’uomo portava l’infinito, lo faceva sentire, vedere e udire. In tal modo avvertivano che la loro vita trovava compimento in quel rapporto”.
Poi ha ricordato le parole pronunciate il 30 maggio 1998 da don Luigi Giussani nell’incontro con papa Giovanni Paolo II: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Nessuna domanda mi ha mai colpito, nella vita, così come questa. C’è stato solo un Uomo al mondo che mi poteva rispondere, ponendo una nuova domanda: ‘Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà se stesso?’” Perciò l’incontro con Gesù emerge soprattutto nella sua resurrezione, che è un avvenimento storico che “si può raccontare con semplicità e insieme con eccezionalità assoluta… Per fare un esempio molto semplice basta evocare quelle situazioni in cui uno si sente dire da un compagno di lavoro: ‘Però, tu sei diverso, perché?’. Questo tipo di episodi, apparentemente irrilevanti, è il seme dell’esperienza del mondo nuovo, del cambiamento del mondo che nasce dalla risurrezione di Cristo”.
Infine il rettore Prades è passato a tracciare alcune implicazioni culturali dell’esperienza nuova dell’uomo come rapporto con l’infinito: “Questa storia particolare, che si racconta anche con entusiasmo, è realmente universale, conviene realmente a tutti gli uomini e a ognuno degli uomini? Ha la forza e la dignità culturale per paragonarsi con le conquiste delle scienze naturali e sociali, che sembrano ridurla a un puro sentimento soggettivo che si limita all’ambito del privato?”, ritornando al punto sorgivo, che è la resurrezione di Gesù: “La novità più grande che il cristianesimo introduce nel mondo è proprio l’esperienza dell’incontro con Cristo, morto e risorto, che converte il mistero che si percepisce oltre, l’esperienza di un punto di fuga, nel contenuto di un rapporto umano, dentro il tempo e lo spazio”.
Quindi occorre educare il cuore dell’uomo, come hanno proposto in un precedente incontro Carlo Wolfsgruber, rettore della Fondazione ‘V. Grossman’ di Milano e don Franco Moscone, preposito generale dell’Ordine dei Chierici regolari Somaschi: “Il cuore è una ricchezza particolare perché la si può ottenere in origine solamente nella forma del dono, e la si aumenta attraverso la dinamica del regalo. Si tratta dell’unico caso in cui ciò che si regala non si perde, da parte di chi dona, ma si moltiplica, tanto per chi dà come per chi riceve”. Da qui nasce il metodo del fondatore dell’ordine, san Girolamo Emiliani, che prevede ‘la precedenza del passivo’ (nessuno educa se non è stato educato) e il presente dell’incarnazione: “in quanto l’educazione ha bisogno di uno spazio che unisce e riscalda i cuori. San Girolamo ha vissuto su di sé il passaggio epocale fra il medioevo e l’epoca moderna quindi un momento non semplice, di profonda crisi della società ma il suo fondarsi su Cristo gli ha permesso di sfidare il presente”.
I fondamenti della sua opera sono tre: la devozione come relazione con la realtà perché ciò che educa è il reale non il sogno; il lavoro come responsabilità dell’educatore e dell’educando, favorendo la capacità di libertà del secondo e la carità come capacità di incontro con gli altri e l’Altro in un atteggiamento paziente, perché occorre dare tempo all’altro per farlo crescere, farlo venir fuori. Sulla stessa linea l’intervento di Wolfsgruber: “Il dialogo educativo vive di domande e di risposte che non si trovano in nessun libro; ogni volta esse sono uniche… E’ un tempo il nostro in cui per educare non basta affidarsi al già saputo; per aderire a questa sfida bisogna avere coraggio”.