Ius soli: occorre riformare la legge sulla cittadinanza
Giovedì 9 agosto è entrato in vigore il Decreto Legislativo 16 luglio 2012 n.109, che recepisce la direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in cui si introduce una modifica importante per il datore di lavoro che assume lavoratori irregolari: “Il nulla osta al lavoro è rifiutato se il datore di lavoro risulti condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite; intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell’articolo 603-bis del codice penale”.
Positivo è stato il commento della Comunità di Sant’Egidio, che ha espresso apprezzamento per la decisione del Governo italiano: “Dopo molti anni di vicinanza alle popolazioni immigrate nel nostro Paese conosciamo bene le problematiche e le sofferenze legate alle condizioni di vita dei lavoratori irregolari. La Comunità d Sant’Egidio apprezza in particolare la scelta del governo di introdurre una norma transitoria, proposta dal Ministro Riccardi, il cosiddetto ravvedimento operoso, che offre la possibilità ai datori di lavoro di poter regolarizzare la propria posizione: questo aiuterà datori di lavoro (pensiamo in particolare alle famiglie) e immigrati, ed eviterà conflitti sociali di cui il Paese non ha bisogno”. Però questo importante passo deve essere seguito da ulteriori provvedimenti per consentire l’approvazione dello ‘ius soli’.
Infatti il 59,5% dei cittadini afferma che in Italia gli immigrati sono trattati meno bene degli italiani. In particolare, la maggior parte degli intervistati ritiene difficile per un immigrato l’inserimento nella nostra società (80,8%): addirittura il 2,4% lo ritiene impossibile. Nei mesi scorsi la diocesi di Milano ha invitato i politici a promuovere “una riforma delle norme sull’acquisizione della cittadinanza italiana, riconoscendola ai minori stranieri nati in Italia, senza dover attendere la maggiore età, eliminando così limitazioni a diritti e facoltà ingiuste e non comprensibili per chi è di fatto sin dalla nascita inserito nella vita civile e sociale del Paese”. La conclusione a cui è giunto il Consiglio Pastorale della Diocesi milanese è che occorre “come comunità cristiana, affrontare le sfide dell’immigrazione non solo sul piano degli interventi caritativi ed emergenziali ma anche e soprattutto su quello educativo, culturale e pastorale, affinché si pongano le condizioni di quel ‘vivere insieme’ (convivenza), principale obiettivo da perseguire di fronte all’attuale fenomeno migratorio”.
Anche per Santino Scirè, vicepresidente nazionale delle Acli con delega all’immigrazione, la cittadinanza a chi nasce in Italia è un’opzione che gli italiani approvano: “Non ci sono più alibi per rinviare l’approvazione di una legge che conceda la cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono nel nostro Paese”. Le Acli, con numerose organizzazioni della società civile, ha partecipato alla campagna ‘L’Italia sono anch’io’, che ha raccolto oltre 200.000 firme per la riforma della legge sulla cittadinanza e il diritto di voto alle amministrative per gli immigrati stabilmente residente. Infatti la maggioranza degli italiani ritiene che non sia giustificabile prendere in giro uno studente (89,6%) o trattare meno bene un lavoratore (88,7%) ‘perché immigrato’. Inoltre il 60% dei rispondenti ritiene che ‘la presenza degli immigrati è positiva perché permette il confronto con altre culture’. Altrettanti (63%) sono d’accordo con l’affermazione che ‘gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare’; mentre il 35% ritiene che gli immigrati tolgono lavoro agli italiani. Infine per il 65,2% degli intervistati gli immigrati sono troppi.
Infine l’aumento di matrimoni e unioni miste è considerato positivamente dal 30,4% dei rispondenti, a fronte di un quinto circa (20,4%) che considera negativamente questo fenomeno. Se però è la propria figlia a sposare un immigrato la situazione cambia. Per esempio, il 59,2% degli intervistati avrebbe molti problemi e il 25,4% qualche problema se il futuro coniuge fosse un Rom/Sinti. Per la maggioranza non è un problema avere uno straniero come vicino. Tuttavia il 68,4% non vorrebbe avere come vicino un Rom/Sinti: al secondo e al terzo posto tra i vicini meno graditi si collocano i romeni (indicati dal 25,6%) e gli albanesi (24,8%). Sulla convivenza religiosa, la maggioranza (59,3%) esprime una posizione di tolleranza, anche se il 26,9% è contrario all’apertura di altri luoghi di culto nei pressi della propria abitazione e il 41,1% all’apertura di una moschea. Il 72,1% è favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati nel nostro Paese. Il 91,4% ritiene giusto che gli immigrati, che ne facciano richiesta, ottengano la cittadinanza italiana dopo un certo numero di anni di residenza regolare nel nostro Paese.