Paolo VI a Sophia Antipolis la tecnopoli e la nuova evangelizzazione
Una sfida, appunto per una comunità fondata da un Gesuita, padre Laurent Fabre, con l’entusiasmo del gruppo di preghiera originario che nel 1973 a Lione ha dato il via all’esperimento: 1700 membri in 26 paesi, spiritualità ignazian e Rinnovamento carismatico. “Coppie, famiglie, celibi e nubili consacrati, uomini e donne hanno scelto l’avventura della vita comunitaria al seguito del Cristo povero e umile per mettersi al servizio della Chiesa, del Vangelo e del mondo”, come si legge sul sito italiano. Due sacerdoti, alcuni diaconi permanenti con le loro famiglie e tanta energia. La messa delle 11.00 della domenica trasmessa via internet, e a fianco l’Istituto superiore di Teologia Nice Sophia Antipolis. Perché Sophia è una tecnopoli è anche vero che non deve mancare in un luogo di scienza la ricerca di Dio.
Un luogo difficile dove le grandi aziende delle microelettronica si danno battaglia, dove i centri di ricerca molecolare si intrecciano con quelli di biologia. Un luogo di concentrazione di competenze, ma anche un luogo senza identità. Ecco cosa deva fare la parrocchia, deve creare identità e comunità. E questo succede con la messa della domenica mattina, con gli incontri per le coppie, con i battesimi dei nuovi arrivati, con i matrimoni religiosi dopo 20 anni di convivenza. Tutto succede là, nella Chiesa di Sophia Antipolis, consacrata nel 2000, antica e moderna, con i maxi schermi e la liturgia curata nei dettagli, con il parroco che saluta uno per uno i suoi fedeli dopo la messa. San Paolo delle Nazioni. E tutto nel nome di Paolo VI, il Papa che aveva scelto il nome dell’ Apostolo delle genti, appunto delle nazioni.