Primavera di Praga. Il ricordo al Meeting di Rimini
La primavera di Praga del 1968 e la repressione da parte dell’Unione Sovietica sbarcano al Meeting di Rimini con una mostra dal titolo “L’impossibile primavera. Praga 1968”. “Ci interessa parlare di Praga – scrivono i curatori della mostra – perché ci sembra che questo episodio della storia moderna europea riveli come la contraddizione irrisolta e irrisolvibile fra libertà e ideologia non può non emergere dove l’uomo guarda con realismo alla sua dignità e al suo compito storico”.
La mostra sarà presentata domenica 24 agosto, insieme al curatore Sandro Chierici, dal giornalista e scrittore Enzo Bettiza: “Quell’anno lo passai all’estero –scrive nel suo libro ‘La primavera di Praga. 1968: la rivoluzione dimenticata’–. Prima una lunga inchiesta sulla cultura francese al crepuscolo del gollismo. Poi Spadolini mi mandò a Berlino per il ferimento di Dutschke. Quindi fui richiamato a Parigi per il Maggio. Finalmente a Praga ebbi sotto gli occhi una rivoluzione vera”.
Come scrive nella prefazione al suo libro: “A Praga nessun lusso espiatorio, autolesionistico, nessuna pittoresca rivolta freudiana contro i padri disprezzati. Al contrario: era l’immagine liberale dei fondatori della patria binazionale, Masaryk e Benes, che quella ‘primavera’ riportava alla mente non più prigioniera dei cechi e slovacchi. Mentre a Parigi, a Berlino, a Milano, negli stessi giorni, i figli avrebbero voluto sterminare i padri e uscire dalla storia, a Praga padri e figli volevano rientrare insieme nella storia, ricongiungersi al passato tradito e calpestato dai despoti del comunismo sovietizzato. Era la faccia più intensa, alla fine più disperata, del ’68 europeo”. Fin dalla metà degli anni ‘60 in tutto il Paese si erano percepiti segni di crescente malcontento verso il regime. Le istanze dei riformisti, il cui leader era Alexander Dubček, avevano trovato voce in alcuni elementi all’interno dello stesso Partito Comunista Cecoslovacco.
Le riforme politiche di Dubček, che egli stesso chiamò felicemente ‘Socialismo dal volto umano’, in realtà non si proponevano di rovesciare completamente il vecchio regime e allontanarsi dall’Unione Sovietica: il progetto era di mantenere il sistema economico collettivista affiancandovi una maggiore libertà politica (con la possibilità di creare partiti non alleati al partito comunista), di stampa e di espressione. Tutte queste riforme furono sostenute dalla grande maggioranza del paese, compresi gli operai. Ciononostante queste riforme furono viste dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all’egemonia dell’URSS sui paesi del blocco orientale, e, in ultima analisi, come una minaccia alla sicurezza stessa dell’Unione Sovietica. La stagione delle riforme ebbe bruscamente termine nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, quando una forza stimata fra i 200.000 e i 600.000soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati invase il paese.
Il grosso dell’esercito cecoslovacco, forte di 11 o 12 divisioni, obbedendo ad ordini segreti del Patto di Varsavia, era stato schierato alla frontiera con l’allora Germania Ovest, per agevolare l’invasione e impedire l’arrivo di aiuti dall’occidente. L’invasione coincise con la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, che avrebbe dovuto sancire definitivamente le riforme e sconfiggere l’ala stalinista. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubček, furono costretti dal precipitare degli eventi a riunirsi clandestinamente in una fabbrica, ed effettivamente approvarono tutto il programma riformatore, ma quanto stava accadendo nel paese rese le loro deliberazioni completamente inutili. Successivamente questo congresso del partito comunista cecoslovacco venne sconfessato e formalmente cancellato dalla nuova dirigenza imposta da Mosca a governare del paese. I Paesi democratici si limitarono a proteste verbali, poiché era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda non consentiva ai paesi occidentali di sfidare la potenza militare sovietica schierata nell’Europa centrale ed in quanto, in seguito agli accordi sottoscritti dalle potenze alleate a Yalta, la Cecoslovacchia ricadeva nell’area di influenza sovietica.
Dopo l’occupazione si verificò un’ondata di emigrazione, stimata in 70.000 persone nell’immediato e di 300.000 in totale, che interessò soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale. Gli emigranti riuscirono in gran parte ad integrarsi senza problemi nei paesi occidentali in cui si rifugiarono. Nell’opera ‘Il potere dei senza potere’ Vaclav Havel scrive: “Uno spettro terrorizza l’Europa orientale: in Occidente lo chiamano ‘dissenso’. Lo spettro non è piovuto dal cielo: è una naturale manifestazione e un’inevitabile conseguenza dell’attuale fase storica attraversata dal sistema che esso terrorizza. Lo ha cioè generato il fatto che da una parte questo sistema ormai da tempo non può più, per mille motivi, fondarsi su un mero e brutale arbitrio di potere che esclude qualsiasi manifestazione non conformista, e d’altra parte è arrivato ad un punto di immobilismo politico tale da non permettere che alla lunga queste manifestazioni si affermino nell’ambito delle sue strutture ufficiali”.