Libertà religiosa, il diritto di liberare la verità
Ovvio poi, ma comunque utile, l’accento sui paesi dove la violenza tra gruppi religiosi o contro gruppi religiosi. Così in particolare il rapporto, che si riferisce al 2011, esamina la situazione del Medio Oriente anche a seguito della “primavera araba”, o il dramma della Nigeria, o l’impossibilità di cambiare religione in paesi come l’ Arabia Saudita. Del resto basta ascoltare le parole del vescovo cappuccino Paul Hinder vicario apostolico d’Arabia, una “diocesi” di cinque Paesi: Emirati Arabi, dove ci sono sette parrocchie, Oman ,4 parrocchie, Yemen, 4, Qatar e Bahrein con una sola parrocchia per paese. Una vita difficile per i non islamici anche solo perché le chiese non hanno segni esterni né simboli visibili, come croci o campanili. I fedeli si riuniscono per pregare in case private, spesso situate in periferia. Ma questo è solo un aspetto della vita di alcuni paesi che sappiamo non ammettere neanche una certa “libertà di culto”. Altrettanto si può dire della situazione in Cina, dove la Chiesa cattolica combatte ogni giorno con la difficoltà anche solo di ordinare un vescovo fedele al Papa e non al Governo.
Ma veniamo ai fatti di casa nostra. Il rapporto Usa a proposito dell’ Italia riporta alcune vicende di cronaca su fatti di antisemitismo e la vicenda della moschea di Torino o di Genova. Racconta anche delle sentenze sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e via dicendo. Ma quello che non sfugge al report è se e come i credenti possono operare nella società nel rispetto dei principi della loro fede. Questo è uno dei grandi dibattiti del mondo occidentale dove le costituzioni rispettano e riportano i diritti fondamentali dell’uomo. Tra i diversi rapporti ed osservatori uno che da anni segue il problema della libertà religiosa con occhi diversi è quello curato da ACS, Aiuto alla Chiesa che Soffre. La fondazione di diritto pontificio che dal 1947 sostiene “concretamente la Chiesa nei Paesi in cui le difficoltà economiche o la violazione della libertà religiosa rendono difficile se non impossibile la sua missione evangelizzatrice.”
Interessante la scheda che riguarda proprio gli Stati Uniti. “Negli Stati Uniti – si legge nel rapporto di ACS- sono paradossalmente le leggi federali in materia di fisco a costituire un ostacolo al diritto ad esprimersi liberamente, perché implicano una limitazione degli interventi nella politica da parte delle comunità che beneficiano di esenzioni fiscali.” Ecco il paradosso è evidente e deriva probabilmente proprio da questa “confusione interpretativa” sul principio di libertà religiosa. Tra i tanti esempi quello più recente è quello sulla “assistenza anticoncezionale obbligatoria” che ha visto in prima fila il cardinale di New York Timothy Dolan. Il cardinale ha sostenuto che il presidente Obama di fatto sta creando un ghetto cattolico con la legge sulla contraccezione. Sta “strangolando” la Chiesa, obbligando la copertura assicurativa anche per i metodi contraccettivi. Si è esenti solo se si dimostra la unica missione di «propagare la fede», impiegare solo cattolici e prestare servizi solo a cattolici. Questo significa limitare la libertà religiosa.
La percezione dei cattolici americani è di essere spinti fuori dal dibattito pubblico in un modo che non accade per nessun gruppo religioso in Italia ad esempio. E allora come possono gli Stati Uniti puntare il dito contro altri paesi? La domanda è stata posta all’Ambasciatore Cook, donna di colore, pastore battista e cappellano nella polizia di New York dal 1996 al 2010, anche, quindi, in quel dannato 11 settembre 2001. “ Noi non siamo perfetti, ma abbiamo imparato strada facendo anche dagli errori e dalle cose sbagliate. Spero che il rapporto non sia visto come un dito puntato, ma solo come un racconto di come stanno le cose sul terreno. Le nostre informazioni arrivano dalle ambasciate, dalla società civile, da un certo numero di fonti. É una tendenza, fatti riportati. Negli Usa la libertà religiosa è nella Costituzione e ci sono uffici che si occupano dei diritti civili, e dove ci sono problemi da risolvere abbiamo i mezzi per farlo. Ma in tutto il mondo ci sono persone perseguitate regolarmente. Con questo rapporto vogliamo incoraggiare i governi a guardare alle cause sistematiche del problema. Devono fermare le violenze, devono proteggere le minoranze religiose, abolire e riformare le leggi. É un lungo processo, un lavoro in corso che certo non si risolverà nel 2012. Un lavoro che deve continuare.”
Susan Johnson Cook conclude con un ricordo personale: “Ero in prima fila l’11 settembre del 2001. Allora ero un cappellano della polizia a New York City. È la città più varia nel mondo. Una esperienza che mi è stata molto utile nel mio lavoro di oggi. Dopo 9/11 dobbiamo trovare un terreno comune. Mi sono trovata a Ground Zero tenendo la mano di un vigile del fuoco irlandese, in piedi accanto a un rabbino ebreo, in piedi accanto a un poliziotto che era italiano. E non importava in quel momento di che etnia, di che sesso, di che razza eravamo. Quello che contava era che volevamo andare avanti insieme.” Il finale è programmatico, ma ancora una volta vede solo una parte del problema: “ Non ci occupiamo delle percezioni, ci occupiamo di realtà, e la realtà è che ci sono molte persone che stanno morendo in tutto il mondo, sono detenuti o in carcere o perseguitati a causa della loro fede o quando vogliono convertirsi ad un’altra convinzione. E continueremo a fare pressione sui governi per consentire alle persone per avere la libertà di religione.”
Ottimo intento certo, ma forse bisognerebbe ricordare che senza la possibilità di operare nella società liberamente secondo i veri principi della fede non si arriverà facilmente a contrastare violenza e soprusi. Perché la libertà religiosa, come ricorda Benedetto XVIl nel Messaggio per la Pace del 2011, “va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità.”