Bosnia- Erzegovina, una Chiesa senza etnie
«Chi crede di giungere ad una soluzione attraverso nuove divisioni, deve avere una concezione disastrosa della pace». Così Johannes Heereman von Zuydtwyck ha commentato i tentativi di risolvere i conflitti in Bosnia-Erzegovina separando i gruppi etnici. Il presidente del consiglio esecutivo internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre è appena rientrato da un viaggio nel Paese balcanico, nel corso del quale ha visitato tutte le diocesi cattoliche ed incontrato numerosi esponenti della Chiesa locale. Molti dei villaggi un tempo abitati dai cattolici croati sono ora disabitati e in rovine. Dal 1991 – anno d’inizio della guerra – nella Repubblica Srpska la popolazione non serba è diminuita drasticamente e come ha recentemente denunciato ad ACS l’arcivescovo di Sarajevo, il cardinal Vinko Puljic, «nonostante le promesse internazionali» moltissimi cattolici – di origine croata – non possono ancora farvi ritorno. Il loro rimpatrio non sembra essere in cima all’agenda della maggioranza dei politici nazionali e internazionali.
«Ho l’impressione – afferma Heereman – che siano in molti a voler togliere il problema dalle proprie scrivanie semplicemente creando nuove separazioni. Ma i gruppi etnici non giungeranno alla pace se non insieme. Ed è nostro compito aiutarli a trovare un cammino di riconciliazione». Durante il viaggio in Bosnia-Erzegovina, il presidente esecutivo di ACS è rimasto profondamente colpito dall’immenso contributo della Chiesa cattolica – sebbene si tratti di una ristretta comunità – alla riconciliazione sociale. «Essere una piccola minoranza non ci impedisce di contribuire allo sviluppo della società», ha dichiarato ad ACS il cardinal Puljic. La pastorale giovanile, ad esempio, unisce ragazzi e ragazze di diversa etnia. Che attraverso lo sport hanno modo di conoscersi, ponendo le basi per una società più pacifica. Il sostegno della Chiesa non si limita ai soli fedeli. «Mi ha molto impressionato l’amorevole cura dei disabili e degli anziani, solo in minima parte cattolici. – continua Heereman – La Chiesa ha a cuore i più poveri senza guardare al loro credo: quale migliore testimonianza di fede».
Oggi però, a diciassette anni dalla fine del conflitto, la Chiesa ha bisogno di aiuto. Molti edifici religiosi, monasteri e chiese sono ancora gravemente danneggiati. Tanti villaggi devono essere ricostruiti, affinché i numerosi profughi possano finalmente avere una casa a cui tornare. Degli 820mila cattolici che vivevano in Bosnia prima della guerra, oggi ne sono rimasti solo 460mila. Circa il 10 percento della popolazione, contro il 40 percento di islamici e il 31 percento di serbo-ortodossi. Nel 2011 Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto la Chiesa in Bosnia-Erzegovina con un contributo di quasi 850mila euro. Oltre ai numerosi interventi di ricostruzione di chiese ed edifici religiosi distrutti durante la guerra – tra cui la canonica della parrocchia di Modrica, nell’arcidiocesi di Sarajevo – la Fondazione pontificia sostiene diverse pubblicazioni religiose, come la rivista teologica della Facoltà teologica cattolica di Sarajevo.